La Paura e le paure




La paura fa paura. La paura di avere paura è una sofferenza psicologica e fisica superiore ad ogni singola e ben determinata paura di qualcosa o di qualcuno. Essa è lo sfondo originario da cui scaturiscono tutte quelle emozioni perturbanti e angosciose generate dal nostro essere inseriti in una vita e in una realtà non sempre spiegabili e dominabili. Per questo è la più temibile e destabilizzante: essa tocca la radice del nostro essere che nell’assenza di punti fermi stabilmente acquisiti si dà come nulla, come abisso oscuro e come vertigine spaventosa. Posso avere paura del buio, della malattia fisica o mentale, oppure della vita stessa con le sue incognite, paura di affrontare cose pratiche e tangibili o di addentrarmi in questioni metafisiche e inafferrabili. Ma dietro le quinte di questo dramma interiore vi è una sola paura, quella della morte, causa prima di tutte le altre. Della fenomenologia complessa della paura si è parlato la scorsa settimana nel corso di un incontro con il prof. Maurizio De Vanna presso il Circolo della Stampa.
A voler sintetizzare le indicazioni che la psicologia ci offre per aiutarci a gestire la nostra paura e la nostre paure, il punto fermo da cui partire è la presa di coscienza che la paura può essere — a seconda delle sue manifestazioni, delle sue conseguenze e della sua effettiva corrispondenza ad un contesto reale che la giustifichi — un limite da rimuovere o da trasformare oppure un’emozione positiva che ci aiuta a orientarci nell’esistenza con equilibrata e saggia vigilanza. La paura fa parte della storia dell’umanità. La paura di essere sopraffatti dalle forze della natura è l’origine di ogni civiltà. Tutto il progresso nei sistemi di organizzazione sociale, politica ed economica in qualche modo è nato dalla necessità di non essere travolti e annientati dalle forze distruttrici della vita, della natura e dell’intera realtà inclusiva di molteplici piani di relazioni da gestire e armonizzare.
Lo smarrimento panico dell’uomo immerso in un contesto vitale spesso sfuggente e misterioso è stato uno dei principali pungoli dell’evoluzione e del progresso, tecnico, scientifico, economico ma anche culturale e spirituale. Se con il progresso materiale l’umanità ha edificato nei millenni possenti baluardi contro l’irrompere scatenato e selvaggio delle forze naturali, con il progresso intellettuale e culturale e con l’elaborazione di miti e di sistemi religiosi ha cercato di illuminare, ordinare e spiegare la propria vita interiore, il proprio essere e i grandi misteri della vita e dell’universo.
Anche l’arte e la letteratura sono nate da questa volontà di rendere ragione di tutto ciò che esiste e vive nel creato. Possiamo dire che, mosso dalle pulsioni angosciose generate dalla paura di essere annientato e dissolto, l’uomo nel corso della sua storia ha cercato di far emergere dal caos apparente della vita il cosmo ordinato in esso nascosto. Per questo si è slanciato sempre in avanti, in una corsa spesso affannosa verso un ideale patria di sicurezza e di dominio sulle cose. Dalla matrice onnicomprensiva di questa paura radicale, scatenata dalla primitiva percezione, anteriore a ogni presa di coscienza, dell’essere gettati nel mondo come creature fragilissime e mortali, si diramano come tanti fiumi le singole paure. Ognuno di noi, sulla base della comune paura o terrore primordiale di esistere in una forma che soffre e ansima nella ricerca delle proprie ragioni di essere e di esistere, ha delle paure particolari e diverse tra loro. Alcune sono paralizzanti e dannose, oltre che sproporzionate rispetto alle reali dimensioni della causa scatenante. Se si lascia ad esse libero corso, possono diventare delle fobie invalidanti. Altre invece sono feconde in quanto mantengono sveglia la coscienza individuale spingendola a riflettere su se stessa, a ricercare i propri perché e le possibili ragioni sottese alla questione “perché l’essere e non piuttosto il nulla”. Alcune ci costringono a chiuderci in casa e a non vedere nessuno, altre ci accompagnano nella vita come angeli custodi che al momento opportuno ci danno sempre il giusto consiglio e ci preservano dall’errore, dalla sventatezza e dall’incoscienza.
L’innato legame dell’uomo con la dimensione spirituale e trascendente ha avuto spesso contatti con il mondo della paura. Nelle religioni antiche ogni aspetto della vita, visibile o invisibile, era posto sotto l’egida di dei temibili da onorare e rendere propizi. Tutta la realtà era spiegata con l’azione di forze divine superiori all’uomo, positive o negative, spesso incontrollabili se non attraverso il sacrificio, il culto e la devozione. Il mondo mitologico è anche una galleria di creature mostruose e demoniache che raffigurano le potenze ctonie e sotterranee della vita, il volto notturno dell’universo che solo gli eroi, i semidei o gli dei possono combattere e dominare. La letteratura fantastica di tutti i tempi e di tutti i paesi ha inventato storie e personaggi che incarnano le paure profonde dell’uomo e il suo terrore di essere sopraffatto e distrutto da qualcosa di invisibile che sfugge ad ogni controllo. Il fine di queste invenzioni fantastiche dovrebbe essere catartico e liberatorio, sia per l’autore che per il lettore. Fissando negli occhi i propri mostri, l’artista e il fruitore dell’opera cercano di tener loro testa e di addomesticarli, come si fa con gli animali feroci. Ma l’esorcismo non sempre riesce, anzi, spesso si desidera prolungare questa singolare forma di terrore riflesso che ci consente di provare fortissime emozioni senza alcun pericolo. È la Medusa che perde i suoi poteri qualora la si guardi riflessa in uno specchio. Ma è anche quello che lo scrittore americano Edgar Allan Poe chiamava il “demone della perversità”, indicando una particolare forma di voce interiore che ci spinge a fare esattamente il contrario di ciò che sarebbe giusto fare. A parte le fole popolari che attraversano la storia come un inesauribile fiume carsico, esiste tutto un filone narrativo popolato dai fantasmi ancestrali che infestano l’immaginazione umana. In epoca moderna, la letteratura romantica e poi decadente ha privilegiato il racconto e il romanzo gotico come ideali sonde per esplorare e raccontare la terra delle ombre e del dolore.
Pensiamo ai racconti di Poe, con i suoi fremiti angosciosi, le sue figure femminili sospese tra la vita e la morte, le sue dimore simili ad organismi viventi che si disfanno come corpi umani sotto la spinta di misteriose e ancestrali malattie. O la figura tipo del terrore originario, generato dalla percezione di un’immensa “atmosfera” oscura carica di influenze negative gravitante tutt’intorno a noi: “Le Horla” di Guy de Maupassant, invisibile ospite che segue il personaggio del racconto senza mai mostrarsi, se non lasciando qualche piccolo indizio sempre incerto e irrisolto. Alter ego, fantasma, spettro di una memoria ferita, demone o allucinazione? Horla è tutto questo e insieme tanto di più, creatura terrificante, alone nero in cui vibrano tutte le paure e le angosce che da sempre perseguitano l’umanità. Non dimentichiamo che i bambini sono i soggetti più fragili e indifesi di fronte alle paure e i più esposti a subirne l’influenza: le favole sono per loro la prima forma di elaborazione di ogni tipo di paura.
Fino a qui la risposta umana alla paura, elaborata con mezzi umani dall’ingegno, dalla fantasia e dall’elucubrazione visionaria e allucinatoria. Una risposta che, a ben guardare, non ha mai sradicato del tutto la paura dal cuore dell’uomo, paura che, in relazione a quanto premesso all’inizio, è alla radice paura della morte, la paura di tutte le paure. L’uomo viene al mondo per essere e rimanere vivo, ma la sua intima costituzione lo destina alla morte e alla dissoluzione. La grande tradizione ebraico-cristiana è frutto dell’incontro tra un Dio che si rivela e la sua creatura chiamata a ricevere questa rivelazione che gli mostra ciò che egli è e perché è ed esiste. Se la vita fisica è all’apparenza solo un soffio, sparsa rugiada che il sole prosciuga in un istante, la vita in senso pieno è inestinguibile in quanto partecipe di una sorgente eterna. La discesa di Dio nella carne dell’uomo e del mondo è il compimento della Rivelazione iniziata con i patriarchi dell’Antico Testamento. In Gesù Cristo, trionfatore della morte, ogni paura è vinta perché la paura di tutte le paure viene per sempre annientata. Credere che Gesù è risorto è la sola via che ci salva dall’angoscia perché congiunge e concilia l’anelito fisico e spirituale delle creature verso l’eternità. Se la morte è vinta, allora ogni paura è vinta. Rimane il timore, dono dello Spirito Santo, che è riconoscimento della potenza e signoria assolute di Dio su tutto l’universo. Se la paura è spesso sgomento infecondo, il timore è soffio delicato che ci colma di gioia e gratitudine verso la maestà di Dio la cui gloria e grandezza ci invitano senza sosta alla preghiera e alla lode. Il vero guaritore che sana alla radice ogni nostra paura perché ci libera dalla regina di tutte le paure che è la morte, è Cristo morto e risorto. Senza di lui l’angoscia è inguaribile perché, qualunque cosa si faccia e si pensi, qualunque meta si raggiunga e qualunque impresa si porti a termine, la terra sotto i nostri piedi prima o poi si squarcerà e si richiuderà sopra di noi, polverizzando tutto ciò che abbiamo edificato. Solo in Dio tutto si salva e si compie. Fuori di Dio tutto va perduto. Forse questa è la ragione delle profonde radici che la paura ha oggi nella vita e nella società: se si esclude il divino dai nostri orizzonti, il cosmo regredisce a caos e la percezione di esistere si fa pura angoscia. Le speranze umane e terrene sono ben poca cosa rispetto alla Speranza che solo Dio ci dona: perché se non moriamo mai del tutto e siamo certi di essere venuti al mondo per diventare partecipi dell’eternità, che cosa o chi potrà farci paura?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *