Occasione o illusione? È sentire diffuso il senso di sfiducia nei confronti della politica. Ma può sembrare utile porre alla nostra attenzione delle sottili ma decisive differenze che possano in qualche modo invitarci a una riflessione più profonda sulla dimensione alquanto variegata del mondo politico. Potremmo chiederci in termini scientifici cos’è la politica, ma questo probabilmente ci porterebbe troppo lontano, tanto articolati e complessi sono gli studi contemporanei di politologia. Però è interessante far notare che se qualcuno ci chiedesse cos’è la politica, in un primo momento verrebbe da rispondere come sant’Agostino a chi gli avesse domandato cosa fosse il tempo: «io so cosa è il tempo, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo». Tutti “sappiamo” cos’è la politica ma quando ci chiedono di definirla, allora iniziano i problemi, non si sa da dove iniziare talmente vasto sembra essere il suo campo. Di definizioni potremmo trovarne a decine, tutte diverse ma forse anche tutte più o meno valide.

La partecipazione del cittadino alla vita politica.




Occasione o illusione?

È sentire diffuso il senso di sfiducia nei confronti della politica. Ma può sembrare utile porre alla nostra attenzione delle sottili ma decisive differenze che possano in qualche modo invitarci a una riflessione più profonda sulla dimensione alquanto variegata del mondo politico. Potremmo chiederci in termini scientifici cos’è la politica, ma questo probabilmente ci porterebbe troppo lontano, tanto articolati e complessi sono gli studi contemporanei di politologia. Però è interessante far notare che se qualcuno ci chiedesse cos’è la politica, in un primo momento verrebbe da rispondere come sant’Agostino a chi gli avesse domandato cosa fosse il tempo: «io so cosa è il tempo, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo». Tutti “sappiamo” cos’è la politica ma quando ci chiedono di definirla, allora iniziano i problemi, non si sa da dove iniziare talmente vasto sembra essere il suo campo. Di definizioni potremmo trovarne a decine, tutte diverse ma forse anche tutte più o meno valide.

Ebbene per fortuna spetta ai politologi definire e spiegare questo concetto stimolante da una parte, ma altrettanto eclettico dall’altra e dunque di difficile esplicazione. Anche se è possibile aprire una piccola parentesi, in quanto pare giusto almeno informare che in maniera più o meno univoca i politologi convergono quasi tutti sull’idea base che l’oggetto qualificante, anche se non esclusivo, dell’analisi politica sia il potere, quale concetto «capace di definire e di esplicare per via empirica il campo della politica». Per il politologo Mario Stoppino ad esempio il fine della politica è quello di istituire un ordine che, sulla base di un potere stabilizzato (tendente all’astrazione) e generalizzato (fonte di conflitto), quindi di un’“autorità”, possa produrre dei “poteri garantiti” (diritti e doveri). Il potere politico non è una forza bruta che si impone in tutta la sua violenza ma è un potere che può garantire dei diritti e imporre dei doveri. Questa premessa è utile per capire che esercitare un diritto riconosciuto dall’ordinamento e dalle leggi di uno Stato equivale in qualche misura a esercitare un altrettanto potere in grado di incidere e vincolare, in modo più o meno efficace, l’azione politico-amministrativa. Al di fuori della rappresentanza democratica della popolazione in Parlamento, le varie modalità di partecipazione del cittadino alla vita del nostro Paese sono una forma di potere che si può e si dovrebbe esercitare tenendo conto non soltanto di interessi personali, ma anche di tutti gli interessi pubblici in gioco. Ciò che inoltre si potrebbe mettere in evidenza è la differenza sostanziale che intercorre tra il “politico” e la “politica” in generale e ciò che invece riguarda l’“azione politica”. È chiaro che è molto più semplice dire che un politico è incapace, corrotto, incompetente, ecc…, ed è anche facile dire che la politica fa schifo, che non ci si fida più della politica, ecc… ma molto più difficile è indagare l’azione politica concreta e contingente che ha ovviamente caratteri empirici e per la quale il nostro ordinamento non incarica solo il legislatore come un deus ex machina, ma affida anche a noi, “semplici cittadini”, importanti e a volte decisivi incarichi di controllo, di indirizzo, propulsione e persino facoltà di abrogare leggi o atti aventi forza di legge.

 Si pensi soltanto al referendum del 4 dicembre 2017 con cui siamo stati chiamati per confermare o abrogare la legge di riforma costituzionale promossa dal governo Renzi. Lì abbiamo esercitato un potere enorme che ha reso inefficace una legge già approvata secondo la procedura aggravata, stabilita dall’art. 138 Cost., la quale prevede che per le riforme costituzionali la Camera dei Deputati e il Senato votino la legge due volte, con un intervallo non inferiore a tre mesi, e sia approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Ma molte altre sono le forme di partecipazione dei cittadini: l’accesso ai documenti amministrativi, l’istanza, la petizione, le libere forme associative, l’azione popolare, i referendum locali e nazionali. Il nostro ordinamento riconosce come una necessità la partecipazione dei cittadini alle decisioni e alle azioni politiche e amministrative; infatti la nostra presenza attiva consente di controllare l’operato pubblico, permette un confronto diretto fra le diverse posizioni e stimola la realizzazione di politiche pubbliche all’insegna dell’economicità e dell’efficienza. Si crea così una sorta di responsabilizzazione reciproca, dato che coloro che decidono sono tenuti a rispondere e dare conto delle proprie azioni in prima persona, mentre i cittadini sono chiamati a farsi carico dei problemi e interessi diffusi e spronare con tutti i mezzi possibili (e sono molti) le pubbliche amministrazioni affinché compiano scelte più immediatamente convenienti e maggiormente adeguate alla cura dell’interesse pubblico. Ad esempio la Legge 241 del 1990 ha ridisciplinato notevolmente il rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadini. Essa permette il coinvolgimento del singolo nel farsi dell’attività amministrativa, sia direttamente, attribuendogli una pluralità di poteri che lo configurano come coamministratore, ovvero come un soggetto che non è il mero destinatario dell’agire amministrativo, sia indirettamente, mediante l’obbligo di trasparenza della stessa, la quale non è più intesa come arcana imperii, essendo venuto meno il principio della segretezza sostituito da quello della ostensibilità dei documenti amministrativi, come ricorda Lucio Franzese.

Gli articoli dall’8 all’11 del D.lgs 267/2000 cosiddetto TUEL (Testo Unico Enti Locali) invece disciplinano gli istituti di partecipazione popolare alla vita degli enti locali, lasciando nello specifico al loro potere statutario la definizione dei criteri generali nel rispetto e in attuazione dei principi della partecipazione e della trasparenza. Gli statuti dei comuni dovrebbero esplicitare le modalità con le quali il comune, di propria iniziativa, attua forme di consultazione popolare su temi di sua competenza. In queste forme di consultazione il comune può fare sondaggi sul gradimento dei servizi, illustrare proposte di provvedimenti da adottare, acquisire pareri anche su atti di programmazione territoriale o economici.

Con l’istanza inoltre il cittadino può chiedere all’amministrazione di pronunciarsi, di rispondere, di avviare un procedimento o di emettere un provvedimento. La petizione invece è un atto di partecipazione plurisoggettivo, ed è un mezzo di espressione di partecipazione allargata con cui i cittadini possono chiedere il perché di una scelta piuttosto che un’altra, segnalare bisogni trascurati o ignorati, evidenziare situazioni di ritardo o disagio, invitare l’amministrazione a prendere iniziative di largo respiro. L’azione popolare legittima ad agire in giudizio i componenti della comunità amministrata. Essa è una forma di partecipazione diretta con cui i cittadini hanno la possibilità di sostituirsi all’ente per far valere le azioni a tutela del patrimonio dell’ente a vantaggio della collettività. Il cittadino infatti constatando l’inerzia del comune può sostituirsi a esso non in quanto singolo ma come componente di una collettività. Il cittadino per difendere gli interessi collettivi che l’ente non può o non vuole difendere intraprende della azioni di tipo suppletivo o sostitutivo.

Tra le varie forme di referendum c’è anche quello locale a cui si attribuisce un significato che va oltre la semplice consultazione e che può riguardare materie proposte sia dall’amministrazione sia dai cittadini. Nei diversi statuti dei nostri comuni, che ognuno può e dovrebbe consultare sul sito «http://dait.interno.gov.it/territorio-e-autonomie-locali/statuti», sono chiaramente esplicitati e regolati, oltre alle tipologie menzionate, altri istituti di partecipazione come le Commissioni consultive composte dai cittadini appartenenti alle categorie interessate o dai rappresentanti di enti, organizzazioni o libere associazioni accreditate (un esempio sono anche i comitati). La Commissione consultiva di propria iniziativa può formulare pareri o proposte al responsabile del settore o direttamente al Sindaco.

Inoltre ricordiamo la partecipazione ai servizi che si rifà al principio di sussidiarietà orizzontale, art. 118 della Costituzione, secondo cui i cittadini, singoli e associati, devono avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire e nello svolgere attività di interesse generale. Vengono menzionate altre forme di partecipazione quali l’associazionismo e il volontariato che potrebbero essere coinvolte nella gestione dei servizi, nell’attuazione di iniziative sociali e addirittura ufficialmente accreditate presso il comune, con la possibilità di essere consultate dall’amministrazione comunale in merito a iniziative da intraprendere nel settore di competenza.

Sembra dunque evidente come l’intenzione dei padri costituenti sia stata ripresa, approfondita e disciplinata dagli apparati legislatori per garantire trasparenza e partecipazione, riconosciute come condizioni importanti per rendere efficienti le politiche pubbliche che si rendono concrete, necessarie e attuabili dall’azione politica di tutti noi. Inoltre il voto è forse uno degli strumenti più efficaci per incidere significativamente sul futuro del proprio Paese. E se anche abbiamo perso fiducia nella politica, non votare è un’occasione sprecata per scegliere un “male minore” piuttosto che un “grande male”. Infatti come ricorda il proverbio: «Per fuggire il fumo, non si deve saltar nel fuoco».

Francesco Recanati

Università degli Studi di Trieste

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