La pace dei cristiani




Al pari della parola “amore”, anche il significato autentico della parola “pace” negli ultimi decenni si è andato progressivamente smarrendo nelle nostre comunità cristiane d’Occidente. Beninteso, il termine nel linguaggio pubblico ha avuto invece un larghissimo uso, eppure questo resta uno di quei casi in cui al diffondersi del concetto su scala non è seguita un’analoga presa di coscienza che contribuisse a ridefinirne i contorni. In effetti, anche per i ben noti risvolti politici sul piano internazionale nel Secondo Novecento – per scongiurare le prospettive, tutt’altro che remote, di un terzo conflitto mondiale – si è parlato tantissimo di pace. In quest’inizio di XXI secolo pure. I cristiani dal canto loro si sono accodati quasi sempre alla corrente, sposando una volta di più paradigmi e prassi del mondo. Conversioni se ne sono viste poche, a dire la verità, in compenso i tavoli, le manifestazioni e le marce sulla pace si sono decuplicati ovunque. Il che, in sé, non è ovviamente un male purché si stia attenti a non scambiare il valore alto della pace intesa come risultato pratico del riconoscimento della dignità della persona con un’ideologia sconclusionata intrisa di materialismo politicante. Ora, su tutto questo è tornato provvidenzialmente il Papa nel corso del suo ultimo viaggio a Sarajevo, in occasione dell’omelia per la Messa tenuta allo stadio Koševo. Commentando le letture del giorno (Isaia, San Paolo ai Colossesi e il Vangelo di Matteo) Francesco ha richiamato le caratteristiche che la vera pace deve avere, particolarmente per un cristiano, sottolineando che questa resta sempre un dono di Dio, da coltivare con l’aiuto della sua Grazia e da praticare con le buone opere (non con le teorie) frutto del comandamento dell’amore del prossimo. Il credente, infatti, è mosso dalla battaglia per la pace anzitutto meditando il mistero del Padre comune che è nei Cieli, come recitiamo nella preghiera per eccellenza della nostra fede. In ogni caso, si tratta di un lavoro ‘artigianale’ – ha spiegato il Papa – che richiede pazientemente tempo, sforzi e applicazione. Soprattutto: “non illudiamoci che questo dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace”. Si scopre allora che il vero protagonista della pace è una Persona che non è stata mai invitata – ancor meno citata – ai grandi tavoli di risoluzione delle crisi internazionali: lo Spirito Santo.

Non può esserci azione dello Spirito, tuttavia, senza apertura alla Grazia sacramentale e, in primis, alla confessione che sana i cuori feriti e guarisce le anime più indurite: “andando in profondità, l’Apostolo [San Paolo] dice che la pace è dono di Dio perché è frutto della sua riconciliazione con noi. Solo se si lascia riconciliare con Dio, l’uomo può diventare operatore di pace”. La conclusione del Papa a Sarajevo – un luogo quantomai significativo per un’omelia del genere – è tanto assertiva quanto esemplare, e non lascia spazio a ipotetiche terze vie di compromesso: “questo è il cammino che rende felici, che rende beati”. Come dire che se si vuole veramente la pace nelle grandi questioni globali bisogna tornare a pensare anche tutta la realtà pratica e socioeconomica in cui siamo immersi in modo trascendente e rivendicare il primato originario dell’unico che per misericordia la può concedere, il Padre nostro che è nei Cieli. Ci pare che ci sarebbe molto di che riflettere onestamente, dentro e fuori la comunità ecclesiale, ma state pure tranquilli che anche questa volta non succederà nulla. La tattica del mondo, inteso come il dominio prediletto dell’angelo ribelle e decaduto, dopotutto resta sempre la stessa: ogni volta che qualcuno – o qualcosa – riporta l’attenzione generale sul Creatore e sull’eterno, cambiare subito radicalmente argomento per favore e trovare qualcos’altro di cui parlare. Non disturbare il manovratore, mi raccomando, per nessun motivo, e avanti così allegramente appresso al pensiero dominante.

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