La Notte dei Classici al “Dante”




L’idea che i giovanissimi di oggi siano in gran parte disinteressati alla cultura e tentati da un disincanto universale senza precedenti è spesso più un luogo comune che una verità. A dimostrarlo ci ha pensato un professore di greco e latino presso il liceo classico “Pennisi” di Acireale, lanciando l’idea di una serata organizzata dagli studenti e interamente dedicata ai “classici”: musica, teatro, letteratura, poesia e… tanta tanta passione e spirito di iniziativa. L’idea si è allargata a macchia d’olio risvegliando la curiosità e l’interesse di insegnanti e studenti di un centinaio di licei italiani.

Anche Trieste ha risposto all’appello e con un’originalità, uno slancio e una voglia di mettersi in gioco da parte di docenti, uomini di cultura e studenti che hanno schierato in campo, in modo libero e felice, tutte le risorse dell’intelligenza, del cuore e del sapere dei ragazzi. Le barriere tra chi insegna e chi impara, nella lunga serata di venerdì 16 gennaio, sono state abbattute e le parti si sono invertite: professori seduti ad ascoltare e studenti in piedi a “insegnare” tutto il loro amore per i grandi autori della classicità, le loro idee, le loro domande, le loro passioni, inquietudini e le loro  risposte sempre attuali.

La serata al “Dante” ha avuto in apertura un ospite di eccezione: l’attore Alessandro Preziosi, uomo di profonda cultura e di grande preparazione teatrale, che ha parlato per più di un’ora della propria storia di “studente”, del proprio rapporto con i classici e del senso che la loro lettura può avere oggi per tutti noi. Ne sono scaturite scintille, che per alcune ore hanno sgretolato la superficie spesso fredda e marmorea dietro la quale insegnanti rigoristi e vecchio stile celano la carne viva e palpitante della conoscenza direttamente sperimentata.

Ad animare l’inanimato — o quello che diventa inanimato al tocco raggelante di lezioni stanche e vetuste — è stato il coinvolgimento dei ragazzi, mescolato al vino forte e speziato della giovanile curiosità ed esuberanza. Il repertorio è stato ricco e variato: musica dell’antica Grecia, “I sette contro Tebe” di Eschilo, “Viaggio all’Inferno”, “Cantare alla maniera di Orfeo” con musica rinascimentale e barocca, teatro ripreso da Sofocle, Aristofane e Plauto, un adattamento moderno del “Satyricon” di Petronio, Dante e Petrarca, fino all’originalissimo “Processo ai classici”. Novello anfitrione e imitatore, sia pure con un tocco in più di eleganza, del sontuoso Trimalcione, il gruppo dei ragazzi artisti ha allestito un vero banchetto che ha riscaldato cuori già caldi e ritemprato le menti piacevolmente ebbre di entusiasmo e novità.

Chi avrebbe mai pensato — e lo dico con una punta di ironia — che i ragazzi amassero anche la festa dell’intelligenza che nutre e non solo quella dell’ubriachezza che inebetisce? Un’occasione come questa dimostra forse che non è poi tutta colpa dei giovani se spesso non hanno voglia di studiare e di conoscere. Se la cultura classica che viene ad essi impartita non va oltre una sequenza di vuoti calchi da ripetere a memoria per avere un bel voto che faccia contenti docenti e genitori, non si può accusare solo la disaffezione e lo scontento dei discenti. Questa serata ha dimostrato che la demarcazione tra cattedra del professore e banchi degli studenti non funziona più: il confine va ammorbidito, il coinvolgimento stimolato con iniziative che sospingano, come un vento gagliardo, il cuore dei ragazzi dalla platea al palcoscenico.

Le correnti che guidano la navigazione della vita nei verdi anni sono il desiderio di novità, avventura ed esperienze forti che ti lascino un segno profondo e prezioso — come il “vero libro” di cui parlava Kafka, che deve essere un colpo di maglio che ti ridesta e ti allerta tutti i sensi, fisici e spirituali. Senza queste correnti e maree l’acqua ristagna e anche il cuore traboccante della giovinezza piano si prosciuga, disseccato dalla salsedine di lezioni troppo rigide, formali e severe. Rimangono solo tanti gusci svuotati che si lasciano sbattere dalle onde qua e là, fino ad arenarsi in qualche anfratto sperduto. Mortificare la fame di vita dei ragazzi infatti, trasformando le giovani intelligenze duttili e assetate in desolati e spogli archivi di codici e di nomi, è la morte dell’insegnamento.

Qualche volta, come è accaduto nella serata di venerdì 16 gennaio, noi adulti dovremmo prendere il largo con spirito coraggioso e pronto, invertendo le parti e lasciando che i professori si siedano ad ascoltare e gli studenti si alzino in piedi a insegnare, a leggere, a interpretare, a rispondere alle domande dei grandi! Affinché gli otri vecchi vengano sostituiti da otri nuovi in grado di accogliere il vino spumeggiante e forte della sapienza viva e vissuta. Quel vino che i ragazzi del Dante ci hanno fatto bere, vestendo per una sera i panni inusuali di coppieri solleciti e di ospitali e sapienti padroni di casa.

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