Oltre trenta monasteri aperti al pubblico in Germania e Olanda. L'evento segue quello della "Notte Bianca delle Cattedrali". Ma ai Monaci non interessava fare delle opere d'arte, ma cercare Dio.

La notte bianca dei Monasteri




La notizia della settimana tedesca è senz’altro la storica apertura al pubblico di oltre trenta monasteri, tra cui alcuni sede di antichissime comunità claustrali, in diverse città della Germania e anche della vicina Olanda. L’iniziativa, che segue a ruota la ‘notte bianca’ delle cattedrali (“Nuit des cathédrales”, sito internet di riferimento: http://nuit-des-cathedrales.org/) in Francia e Lussemburgo, è mossa dallo stesso desiderio di avvicinare i lontani e gli indifferenti all’annuncio cristiano mostrando – letteralmente – dall’interno come si svolga e in che cosa consista la vita cristiana pienamente vissuta all’interno degli ordini contemplativi più rigorosi ed esigenti. E’ anche un’occasione inedita di alta cultura, ovviamente, perchè le sale interne e i refettori dei monasteri sono spesso dei capolavori ineguagliati di bellezza pittorica e figurativa in genere. Tuttavia, se le visite guidate che porteranno i turisti interessati nel cuore della spiritualità cristiana si fermeranno alle tele d’epoca, ai marmi e magari anche agli organi (con tutto il rispetto per gli organi, ovviamente, e i raffinati artisti che li maneggiano), l’obiettivo dell’iniziativa sarà – con ogni probabilità – tristemente fallito. Perchè per quanta ne possano custodire di bellezza umana, non è questa in ultima analisi la ragione della loro esistenza. Al contrario, i monasteri europei storicamente sono nati proprio, citando una celebre espressione di Benedetto XVI al Collège des Bernardins di Parigi (antica sede di una comunità cistercense, che data le sue radici al XIII secolo), per “quaerere Deum”, cioè per dedicarsi solo alla ricerca di Dio e alla sua contemplazione. Il loro motto, mutuato dalla tradizione benedettina, era il celebre “Ora et labora et lege”, dove l’accento viene posto anzitutto sulla spiccata dimensione meditativa del primo e del terzo termine. Il fatto che poi, nel corso del tempo, per vari motivi, siano diventati anche i custodi dell’arte occidentale e delle sue più ispirate avventure, salvando così fior di patrimoni librari e pittorici, non deve oscurare il dato originario essenziale: i monaci volevano riportare sensibilmente il primato di Dio nel mondo. Non andando per le strade, come facevano gli ordini mendicanti, ma – al contrario – cercando la Sua presenza nel silenzio della clausura tra il suono solitario delle campane e le veglie notturne interrotte dai ritmi sacrali del gregoriano.

Non fu una fuga precipitosa dal mondo, almeno non nel senso che gli attribuiremmo noi oggi con pietose venature malinconiche, ma una ricerca appassionata dell’unica cosa che conta: fare la volontà di Dio e salvarsi così l’anima per l’eternità. Facendo questo, come è stato osservato da innumerevoli studiosi, hanno finito anche per migliorare la civiltà circostante: ad esempio dando ospitalità ai pellegrini malati e bonificando diverse terre paludose per la futura coltivazione, oltre che salvando intere biblioteche ricche di codici preziosi. Ma tutto ciò non sarebbe mai accaduto se prima non ci fosse stata la ferma decisione di seguire la voce di Dio che si manifestava nel silenzio. E’ questo il passaggio fondamentale da capire per noi oggi, nel caos urbano postmoderno. Siamo ormai così abituati a vivere nel frastuono e nell’attivismo che il fatto di spendere una vita intera meditando nel silenzio della clausura ci pare un’immane, insopportabile assurdità. A volte, addirittura, capita di sentirlo affermare chiaro e tondo persino da persone che si professano credenti. Non vorremmo che finisse così anche nella prossima notte bianca dei monasteri. Se tra i patroni d’Europa ci sono due monaci, d’altronde, San Benedetto di Norcia – appunto – e Santa Teresa Benedetta della Croce, qualcosa vorrà pur dire e secondo noi, singole virtù eroiche a parte, vuol dire tra l’altro che il monachesimo rappresenta una costola ineliminabile dell’Europa, anche oggi. Dai nostri Montecassino e Subiaco fino a Reichenau e San Gallo, benedettini, cluniacensi e cistercensi hanno lasciato una traccia viva che dice ancora molto su chi siamo e da dove proveniamo. A volte, per inciso, ci suggeriscono anche le vie d’uscita dalle crisi. Se la barbarie tutt’intorno avanza, guardando a loro troveremo sempre un modello di civiltà ordinata da seguire. Poi, fosse anche solo per il fatto che mentre noi dormiamo beatamente sui proverbiali sette cuscini loro pregano ininterrottamente per noi, dovremmo avere un debito di gratitudine semplicemente immenso nei loro riguardi. Perchè anche pregare per uno sconosciuto è un atto di carità, e anzi tanto più grande e puro in quanto non vi è nemmeno il lontano retropensiero che quello – prima o poi, un giorno – possa ripagarti a sua volta il debito.

Una risposta a “La notte bianca dei Monasteri”

  1. effe ha detto:

    Sono capitato a Vienna in occasione della notte bianca della diocesi. Niente di più che una visita turistica alle chiese aperte fino a tardi, con la Cattedrale di Santo Stefano illuminata da luci multicolori a mo di arcobaleno che ne deturpavano le forme gotiche invece di esaltarle come era forse intenzione degli organizzatori ed estenuanti testimonianze perlopiù incentrate sull’opera sociale della diocesi e delle parrocchie. Dolcetti e libagioni nei cortili e centinaia di persone che vagavano guardando qua e la. canti gospel
    di Cristo e della sua Chiesa la notte bianca non diceva nulla.

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