La misericordia di Dio e del buon Samaritano




Domenica scorsa – 14 luglio – Papa Francesco ha commentato la parabola del buon Samaritano (Lc 10, 25-37), prima dell’Angelus pronunciato presso la residenza di Castel Gandolfo.

Gesù, nella parabola, narra la vicenda dell’uomo ferito a sangue e soccorso dal Samaritano, come risposta alla domanda di un dottore della Legge che lo interpellava su chi sia il nostro «prossimo». E, proprio perché «si prese cura» di quell’uomo – ha detto il Papa -, il Samaritano è «l’esempio dell’amore per il prossimo»: è lui, cioè, che «mette in pratica la volontà di Dio», che desidera «la misericordia più che i sacrifici» (cfr Mc 12, 33).

Papa Francesco ha dunque invitato tutti a farsi «buoni samaritani» nei confronti del nostro prossimo, soprattutto nelle opere, indicando come esempio l’opera di san Camillo de Lellis (1550-1614), patrono dei malati e degli operatori sanitari e fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari Ministri degli infermi (i Camilliani). San Camillo seppe esercitare il proprio «carisma di carità a contatto quotidiano con i malati», vivendo completamente il Vangelo del buon Samaritano, che imitò «la misericordia di Dio verso chi ha bisogno».

Dio, infatti, – ha spiegato il Santo Padre – «vuole la misericordia del cuore» verso tutti e «non la condanna». Egli, per primo, «è misericordioso e sa capire bene le nostre miserie, le nostre difficoltà e anche i nostri peccati». Il tema della compassione, del «prendersi cura» degli altri, delle loro ferite interiori ed esteriori, è stato presentato con frequenza da Papa Francesco, durante questi primi mesi del suo pontificato.

Nella sua prima Enciclica “Lumen Fidei”, il Papa era tornato a parlare della «misericordia», nella sezione che tratta della «connessione tra la fede e il Decalogo» (n. 46). Il Decalogo, in particolare, è molto diverso da ciò che comunemente si crede: non è – scriveva il Santo Padre – «un insieme di precetti negativi», bensì una sorta d’«indicazioni concrete» per uscire dal proprio egoismo, dal «deserto dell’ “io” autoreferenziale». Seguendo tali indicazioni ci lasciamo abbracciare dalla «misericordia» di Dio e, di conseguenza, diventiamo capaci di «portare la sua misericordia» ai nostri fratelli.

Al n. 54 dell’Enciclica, Papa Francesco definisce la fede come «esperienza della paternità di Dio e della misericordia di Dio» che, dilatandosi in noi, «diventa luce per illuminare tutti i rapporti sociali». In Dio Padre – e solo il Lui – ci riconosciamo tutti fratelli: nel Padre torniamo «alla vera radice della fraternità» e, quindi, della misericordia amorevole.

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