La fragilità dolente di Francesco Baccini




“Io sono fragile, ho un supermercato pieno di incertezze”

Con lo pseudonimo iniziale “Espressione musica”, Francesco Baccini esordiva nel panorama della musica leggera italiana. Dopo un percorso giovanile di educazione musicale classica, il cantautore genovese vinceva con la canzone: “Figlio unico” l’edizione 1989 di “Un disco per l’estate”. In quel testo egli rimarcava la fragilità infantile e dolente di sentirsi solo, proprio come un figlio unico: «Sono figlio unico pure di madre vedova, magari un po’ nevrotica (…) io sono un caso clinico, magari anche poliedrico, d’infantilismo cronico». L’anno successivo, con Paolo Belli, vinceva il Festivalbar con il tormentone commerciale “Sotto questo sole”: «Sotto questo sole è bello pedalare sì ma c’è da sudare (…) sotto questo sole, rossi e col fiatone e neanche da bere». Con l’altro famoso cantautore genovese Fabrizio De Andrè dedicava un brano al capoluogo ligure: “Genova blues”, con il quale esprimeva il suo attaccamento alla città: «Genova, non mi basta un blues per amarti un po’ di più. Genova, io questa notte ti vorrei parlare e invece parto per mandarti a dire che tu sei bella sì, ma da ricordare…».
La definitiva consacrazione commerciale (ad ora Francesco Baccini ha venduto oltre due milioni di dischi) avveniva nel 1992 con l’album “Nomi e cognomi”, dove a vari personaggi famosi, nel bene e nel male, da Giulio Andreotti a Renato Curcio, dedicava un profilo ironico. Nel 1993 esordiva anche come scrittore, pubblicando un libro e un brano musicale dal medesimo titolo: “Ho voglia di innamorarmi”, con il quale manifestava un desiderio di amore fra sogno e realtà: «Ho voglia di innamorarmi sì, ho voglia di star male (…) e come qualche anno fa stare sotto il tuo portone, poi vederti passare e nascondermi fra le persone senza avere il coraggio di dirti una parola, poi tornare a casa per sognarti ancora…». La stravaganza e l’eccentricità di Baccini hanno raggiunto la blasfemia non solo per una bestemmia trasmessa in diretta alla televisione durante un reality, ma soprattutto per testi che, sin dal titolo (ad esempio il brano “Dalla parte di Caino”) presentavano temi discutibili, come la parodia dissacrante di “Radio Maria”: «Radio Maria mostrati, faccela vedere la luce del tuo sorriso sulle frequenze del paradiso. Radio Maria aiutaci, liberaci dal male e se Cristo non è d’accordo noi gli sapremo spiegare». Sovente Francesco Baccini è stato accostato, non solo per somiglianza fisica, a Luigi Tenco; certamente la riservatezza, il non essere un personaggio da gossip può accomunarlo al cantautore piemontese suicida. In Baccini (come in Tenco e molti altri cantautori del panorama musicale italico) l’assenza di un riferimento trascendente l’hanno fatto avvitare su se stesso, come da sue esplicite dichiarazioni rilasciate alla stampa: «Ciascuno è il regista della sua vita, la mia vita l’ho sempre vista come un film (…) libertà è poter dire quello che penso».
Questa amarezza di fondo che accompagna i suoi testi non solo è causata, a mio modo di vedere, da questa fragilità costitutiva dell’essere ma dal pessimismo diffuso che fanno vedere la realtà con degli occhiali neri, come è testimoniato dal pezzo un po’ paradossale “Il topo mangia il gatto”: «La situazione è nera, ho l’anima che è scura, vorrei una vita vera (…). Siamo pupazzetti appesi, legati a un filo inesistente, siamo angeli corrotti, non ci frega mai di niente. Siamo angioletti appesi in bilico sul fuoco ardente, con le ali ormai bruciate, tanto non sentiamo niente…». Cantando si impara con Francesco Baccini a contrastare, sempre con le sue stesse parole, «la dittatura moderna che ha cancellato il senso critico nel nome dell’omologazione verso il basso». Cantando si impara a rinvenire nelle sue canzoni un apripista del dissenso ma anche una personalità piuttosto fragile con un’identità da scoprire: «Sono un bancone specializzato in insicurezze e ho provato pure con lo yoga e la meditazione(…) vi prego, maneggiatemi con molta cura, se no va subito in mille pezzi questa mia armatura». Nonostante abbia scritto una lettera aperta di denuncia contro la “popolazione passiva”, i “colleghi-schiavi” e persino i cosiddetti “web-idioti”, Francesco Baccini ha rappresentato il desiderio di fuga (sulla scorta di un suo idolo, il ciclista Marco Pantani) da una realtà vissuta con troppo pessimismo e disillusione.

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