Nell’iniziare quest’articolo sulla complessa questione della Ferriera mi viene prepotentemente in mente un episodio raccontato dall’on. Raffaello Vignali in un incontro pubblico tenuto a Trieste nell’anno appena trascorso. Un suo amico procuratore viene a conoscenza di ingenti sversamenti inquinanti in un torrente di una vallata brianzola ad alta intensità di concentrazione industriale da parte di una fabbrica. Lo scoppio del caso avrebbe provocato ripercussioni su tutto il complesso industriale, anche su aziende completamente estranee al misfatto. L’impresa viene convocata (in sordina, senza clamori) dal procuratore, gli viene intimato un risanamento ambientale immediato e perentorio entro 3 mesi, pena azioni penali e simboliche con ricadute anche di immagine sull’azienda. Dopo tre mesi le indagini ambientali sul torrente commissionate dalla procura confermano il rientro di tutti i parametri.
Questo episodio veniva portato a esempio virtuoso di eccezione in un panorama pubblico e civile, quello nostrano, dove la pesante macchina dello Stato, con la sua coda di faziosità politica, funziona in modo esattamente opposto: tremendo lassismo (per anni), scoppi improvvisi di panico sociale e “casi” giudiziari, azioni politiche e amministrative caotiche e poi di nuovo immobilismo, scaricabarile delle responsabilità e successivo deterioramento dei problemi, che non trovano mai soluzione.
Ecco, pensando alla Ferriera di Trieste, mi veniva in mente questo episodio, ovviamente senza nessun paragone col caso specifico che ha altra natura e caratteristiche. Comunque la questione della Ferriera ritorna per l’ennesima volta alla ribalta delle cronache quando ad agosto 2013 un’inchiesta della Procura di Trieste mette in luce pesanti indizi di inquinamento degli ambienti di lavoro della fabbrica. L’inchiesta mette in evidenza come dal 2000 a oggi siano morti 83 operai di tumore, a causa (questa la tesi dei periti della procura) di esposizione eccessiva a benzopirene e idrocarburi. Inoltre a pochi metri dal complesso siderurgico ci sono i nuclei abitativi della zona di Servola. Fin qui la parte ambientale e di salute pubblica. Pesante, pesantissima.
C’è poi il problema del complesso industriale, e delle famiglie che di quella attività vivono; della sua continuità in condizioni che non ledano il diritto dei cittadini e dei lavoratori a dignitose e salubri condizioni di vita e di lavoro. Nel frattempo l’amministrazione comunale si era prodigata con ben tre diffide nei confronti della Lucchini (proprietaria della Ferriera) cui erano seguiti altrettanti ricorsi da parte dell’azienda. Tutti ovviamente fermi al Tar, con tanto di consulenze e pareri dei soggetti coinvolti nell’affaire: Regione, Provincia, Comune, Azienda Sanitaria, Arpa, Ministero dell’Ambiente, e già basta l’elenco interminabile dei livelli di intermediazione per capire che non se ne caverà nulla, se non contorsioni burocratiche infinite. Come sempre in questi casi i problemi non si sciolgono mai con le sole procedure e intermediazioni giuridiche se non interviene il fattore morale (responsabilità, tensione al bene comune).
L’ultima possibilità per il proseguimento dell’attività siderurgica è data dal gruppo industriale Arvedi, che dovrebbe firmare il contratto di affitto dell’impianto per i prossimi otto mesi, a cui potrebbe seguire l’acquisto definitivo e il subentro a Lucchini nella gestione dell’impianto. Il tutto è ovviamente vincolato alla disponibilità da parte di Arvedi a investire nell’ammodernamento dell’impianto, soprattutto la parte degli altiforni incriminata dal punto di vista dell’inquinamento. L’investimento, ingente, è di decine di milioni di euro. Arvedi ha manifestato interesse e disponibilità, ma vuole garanzie. E soprattutto che si sciolgano due nodi. Uno è quello di risolvere il contratto (cosiddetto Cip6) che lega Lucchini alla società Elettra, che produce energia elettrica in cogenerazione con i gas di risulta della Ferriera, passando tramite deliberazione del Gse (gestore dei servizi energetici). E questo sembrerebbe risolto con la risoluzione del Cip6 da parte del Gse. L’altro nodo da sciogliere è legato all’accordo di programma che chiarirà come e chi dovrà mettere mano al risanamento ambientale di tutta l’area. Risanamento su cui Arvedi non vuole mettere un soldo e d’altro canto vuole rassicurazioni precise sull’intervento pubblico.
Questa è una partita complessa dal punto di vista politico perché mette in gioco i meccanismi di potere tra i vari “soggetti” coinvolti. Sarà la governatrice della Regione Debora Serracchiani, in qualità di commissario straordinario dell’area, a dare attuazione all’accordo di programma (ad oggi incognito nei suoi contenuti). Serracchiani nel frattempo ha convocato per il 15 gennaio un tavolo per tranquillizzare i Sindacati: «gli ammortizzatori sociali saranno attivati per il periodo strettamente necessario, che confidiamo sia molto breve», si è affrettata a dichiarare. Vedremo come va a finire. Ma è opportuno richiamare quanto già detto: senza responsabilità morale la legittima dialettica politica diventa sterile guerra di trincea. Quando la guerra sarà finita rimarranno solo le macerie. Speriamo che in questa delicata faccenda tutti ne tengano conto.
(Foto Lasorte)
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