A Trieste servono collaborazione, valorizzazione di chi ha esperienza della città, aperture di respiro internazionale, utilizzazione dei fondi europei, mentre sta partendlo la programmazione europea 2014-2020: una occasione da non perdere.

Trieste secondo Pirzio-Biroli




Oggi si torna a misurare le grandi potenzialità di un assetto urbano, palcoscenico complice il restauro della Centrale idrodinamica alla presenza dei più importanti esponenti del mondo dei Beni Culturali. L’architetto Pirzio Biroli, docente presso numerose università, come il College of Environmental Design di Berkeley, l’Università di Potsdam o l’Università di Lubecca, ha partecipato a concorsi di progettazione nazionali e internazionali, a tre Biennali di Architettura di Venezia e, nel 1994, ha vinto il “Premio Piranesi” in Architettura con il progetto: “Parco del Cormor-Padiglione degli Incontri e delle Feste” di Udine, opera realizzata con fondi ministeriali. Nel 2011 ha consegnato in Portogallo all’amministrazione di Arcos de Val de Vez il progetto del Museo dell’acqua open-air lungo il fiume Vez con 75 proposte di interventi di restauro e ripristino di architetture idrauliche e di archeologia industriale, che verranno realizzati con fondi europei a cominciare dal 2012.

Promuovere, cooperare, accogliere, reinventarsi continuamente a ridisegnare i confini: azioni che possono dare un lancio decisivo per incentivare anche gli scambi commerciali.

Un pensiero emerso ascoltando la grande esperienza dell’architetto Piroli, è quello volto alla ricerca continua di strategie in grado di produrre risposte concrete alle sfide poste dalla complessità della città contemporanea, che nell’assetto urbano trova la sua dimensione come strumento.

 

Architetto, ancora una volta lei si trova a Trieste,  in occasione del restauro della Centrale idrodinamica. Cosa prova ogni volta che torna in questa città?

Ho la sensazione di una città con un gran potenziale non utilizzato. La conquista del Porto vecchio all’interno del tessuto della città deve passare attraverso delle regole, bisogna allearsi a queste regole che possono essere proposte dall’Autorità portuale perché dentro di esse ci sono le istituzioni che sono necessarie per creare le cooperazioni, che non si creano attraverso separazioni o contrasti ideologici, si crea lavorando insieme. Forse manca a Trieste questa solidarietà che esiste ed è una predominante forte nelle città anseatiche. Un altro aspetto può essere la mancanza di una presa di coraggio verso investimenti che seguano un canale di internazionalizzazione.

Il “Paese europeo”, geograficamente, è talmente piccolo che si arriva da un posto all’altro molto velocemente. Io lavoro in Polonia, in Germania, in Portogallo e ad Amburgo, tengo delle lezioni alla Miami University e in questi spostamenti noto che ovunque si cerca specialmente lo scambio di esperienza.

Quali attori possono essere coinvolti?

I protagonisti sono quelli che conoscono la storia del porto, non possono essere degli attori esterni. Possono essere i vecchi curatori che hanno scritto i testi principali, coinvolgere le persone che conoscono la storia e il vissuto. Per esempio, la dott.ssa Caroli, esperta in archeologia industriale. Ne posso dedurre che, la città, come ogni Paese, è una successione di strati culturali e sociali oltre che storici, di frammenti e motivi fisici. Il dinamismo che ne viene scaturito, deve essere emanato dall’insieme, che può sfociare in un contributo innovativo. La partecipazione è un’opportunità che coinvolge le persone nel costruire la propria identità, nel riconoscersi in una comunità, nel riappropriarsi del proprio ambiente di vita. In occasione dell’incontro internazionale avvenuto l’anno scorso, che ha toccato quattro tappe sedi di porti storici, ovvero Lubecca, Amburgo due volte e Stoccolma, incontrando l’Autorità portuale, in queste occasioni non abbiamo avuto altro che uno scambio di informazioni scientifiche.

Senza capitali come si possono creare cooperazioni?

Bisogna avere il coraggio di non chiudersi nelle tre imprese più strette territorialmente, per cui ho una grande stima e sono grande sostenitore, ma bisogna entrare in un contesto internazionale essendo consapevoli che, incentivando la partecipazione di imprese internazionali, si può andare in contro alla possibilità di avere partnership che hanno la possibilità di gestione. Tra poco parte la programmazione europea degli investimenti 2014- 2020, nella quale ricadono anche molti fondi europei non spesi. Solo in questa regione, si pensi, solo i fondi non spesi per la cultura si aggirano attorno agli otto milioni di euro, senza parlare di quelli non usufruiti dedicati all’ambito rurale. Tutti fondi non spesi perché non sono state fatte le richieste. Con il Porto vecchio si può fare un progetto europeo speciale, magari insieme ad una città quale Brema. Berlino, Lisbona, Stoccolma, Parigi e in Italia Genova e Torino, hanno investito sulla valorizzazione delle risorse naturali, economiche e architettoniche attraverso interventi mirati a valorizzare e recuperare il territorio urbano.

La città di Trieste come potrebbe reagire a queste cooperazioni?

Il problema non è la preparazione culturale necessaria per affrontare un percorso che ci deve essere, ma il proporsi. Il restauro va costruito anche con il rapporto con gli enti. Se Trieste si sviluppasse verso una forma metropolitana, se la sua forma giuridica si sviluppasse con orientamenti in varie direzioni come, ad esempio, la città asiatica, oppure avvicinandosi a un impronta similare alla città di Amburgo, sarebbe molto più potente.

(a cura di Francesco La Bella e Isabella Urso)

foto di Francesco La Bella

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