«Ma perché l’abbiamo chiamato Piero!?!»
Ogni tanto mamma Elena sbotta. E ha ragione, perché il piccolo Piero crescendo è diventato Pierino, il classico «Pierino la peste» delle barzellette di un tempo: un ragazzino ingestibile.
Lunedì scorso però mamma Elena si è sciolta per la commozione. Rientrata in casa, carica di sporte, ha trovato la tavola apparecchiata con cura, l’acqua che già bolliva, un bellissimo mazzo di fiori in sala, e sul suo tovagliolo un pacchetto: dentro c’era un gioiellino di valore non eccelso, ma davvero elegante. Mai compleanno fu più dolce. Alla sera, sul divano col marito, Elena fa un sospiro «Anche le piccole pesti hanno un cuore». Forse Elena sarebbe meno commossa se sapesse che Pierino si era messo avanti. Settimana per settimana aveva prelevato 10 euro dalla sua borsetta, fino a raggiungere la somma necessaria per i fiori e per il gioiellino. Più un extra per lui, per il servizio.
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La Buona Scuola ha rotto un tabù: per la prima volta le rette delle scuole paritarie sono detraibili dalle imposte! Detta così sembrerebbe una buona notizia. Poi si va ad analizzare, e la notizia non è poi così bella. Non ragionerò di massimi sistemi, mi limito ad analizzare la situazione basandomi sui dati della scuola materna parrocchiale del mio paese. Ci sono passato come bambino, poi come genitore giro 1, genitore giro 2, genitore giro 3, e ora come nonno. Il bilancio della scuola è pubblico e sta in bacheca; a richiesta la direttrice fornisce tabulati e relazioni.
La retta media per bambino è di 2400 euro l’anno, 240 euro per 10 mesi. E’ una retta di pura sussistenza, visto che l’utile 2014 della scuola è stato di 557,88 euro, a fronte di 39.910,69 euro di vecchie perdite da ripianare.
La Buona Scuola consente di mettere in detrazione le rette fino a 400 euro l’anno (neanche il 17% dei 2400 euro di retta). Sui 400 euro la detrazione è del 19%, pari a 76 euro, 8 euro al mese. Questa detrazione, già insignificante, è messa in alternativa alle erogazioni liberali. Se una famiglia ha fatto un’offerta alla scuola, deve scegliere: o mette in detrazione l’offerta, o mette in detrazione i 400 euro di retta.
Ma la cosa più inquietante è che 115 moltiplicato 76 fa 8740. Non vi inquieta questa moltiplicazione? Eh, non vi inquieta perché siete come mamma Elena: di fronte al piccolo dono di 76 euro del governo vi accontentate e dite che anche i governi non eletti e depredatori hanno un cuore.
Il governo, come Pierino, si era messo al coperto per tempo: ha tagliato i contributi per un importo pari al numero di bambini presenti nel 2014-2015 moltiplicato la detrazione di 76 euro. Per la scuola del mio paese 115 bambini x 76 euro di detrazione = 8740 euro tagliati alla scuola (2).
E’ un colpo di genio mediatico, che possiamo riassumere in 6 passaggi.
– Il governo si fa bello con l’annuncio delle detrazioni per le rette alle paritarie.
– Gli statalisti inveiscono contro il governo che «dà i soldi alle private».
– Il governo si accredita quindi come “moderato” rispetto agli estremisti statalisti tipo Sel o Movimento 5 Stelle.
– Il governo è tranquillo perché tanto ha già tolto nel 2015 alle scuole ciò che erogherà nel 2016 alle famiglie (1).
– La scuola potrebbe recuperare gli 8740 euro tagliati solo crescendo le rette di 76 euro.
– E così il governo sarà il “buono” che dà le detrazioni, e la scuola la “cattiva” che alza le rette.
Povera mamma Elena, se sapesse delle furbizie del suo Pierino. Poveri noi, coi Pierini che stanno al governo, che prima prelevano alle scuole (e stanno zitti) e poi erogano qualcosa alle famiglie (e qui suonano le trombe).
La Buona Scuola ha promesso che poi sistemerà la situazione delle paritarie. Certo, come no. Le promesse si rincorrono da 15 anni, e il risultato è sempre quello: tagli. Tra l’altro la promessa ha anche un suono inquietante: «Istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei livelli essenziali, prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione, da parte dello Stato con trasferimenti diretti o con la gestione diretta delle scuole dell’infanzia».
Sembra quasi che i “livelli essenziali” siano ampiamente raggiunti dalle scuole di Stato, mentre il governo tirerà su il livello delle paritarie, poverine. Oppure le gestirà direttamente, Dio ce ne scampi. In realtà la situazione è all’opposto. Al mio paese il 37% dei bambini in età di scuola materna va alla paritaria, dove c’è la retta da pagare. Considerato che in paese c’è una scuola di Stato senza retta, e considerato che i praticanti cattolici non superano il 15%, il numero di chi sceglie la paritaria è inspiegabile. Evidentemente i “livelli essenziali” di qualità sono già pienamente raggiunti e superati.
Perché i Pierini del governo devono fare questi giochetti di prestigio, dove si finge di erogare mentre si continua a tagliare? Perché non sanno, o non possono, o non vogliono affrontare i nodi veri. I nodi principali del bilancio dello Stato sono tre: interessi passivi, scuola di Stato e sanità. Lascio perdere la sanità: è demandata alle regioni, e quindi controllabile a fatica; inoltre la sanità di Stato non ha alternative disponibili: è possibile che l’ente sanitario privato costi meno dello statale, ma il “costare meno” va a beneficio del legittimo utile di impresa.
Per la scuola di Stato invece l’alternativa esiste, perché il “privato” non lavora per gli utili, ma per dovere educativo. In concreto, quanto costa un bambino nelle materne di Stato? La cifra al centesimo la trovate nel sito del MIUR: 5.739,17 euro. Quanto costa un bambino nella paritaria del mio paese? 3.836,27 nel 2013, 4.112,42 euro nel 2014 in presenza di forti spese sull’edificio: dal 28% al 33% in meno. Le motivazioni sono molteplici: contratto di lavoro dei dipendenti più modesto, volontariato, efficienza (checché ne dicano, piccolo è bello; e una scuola con grandi numeri non è più efficiente: è semplicemente una scuola peggiore).
Di questo costo modesto lo Stato in tutte le sue componenti (Stato, Regione, Comune) paga 1.180,47 euro per bambino: ogni bambino che lascia le paritarie e va alle statali comporta quindi un maggior onere di 4.558,70 euro (differenza tra i 1.180,47 e i 5.739,17 euro). Lo Stato che vuole risparmiare deve incentivare i bambini a scegliere la scuola paritaria. Il paradosso è che finché una scuola paritaria è viva lo Stato non vuol dare niente di più di quei 1.180,47 euro; quando poi la scuola paritaria muore, lo Stato trova immediatamente i 4.558,70 euro in più per gestire i bimbi in proprio. “Spending review” rovesciata.
Evidentemente lo Stato non vuole risparmiare, vuole fagocitare. Non vuole l’educazione libera, secondo Costituzione, ma vuole l’educazione di Stato. Se l’obiettivo è tagliare le spese, le scuole paritarie sono la soluzione. Se invece l’obiettivo è il pensiero unico, allora le scuole paritarie diventano l’ostacolo.
L’altro nodo del bilancio sono gli interessi passivi, ma ne parleremo la prossima volta. Intanto digerite questi numeri, per favore: sono l’antidoto allo sciocchezzaio sulle scuole paritarie, che riempirebbe interi libri.
giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com
NOTE
1 – Tra l’altro li erogherà solo in parte; non tutti infatti potranno usufruire della detrazione di 76 euro: chi fa offerte non ne usufruirà, chi presenta solo la C.U. non ne usufruirà, chi è incapiente non ne usufruirà.
2 – 8710,20 euro, per la precisione.
(da Prima Pagina Reggio, lunedì 14 dicembre 2015)
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