Il centenario dell’istituto regionale Rittmeyer per i ciechi rappresenta un evento importante per tutta la città di Trieste. Nato nel 1913 con la finalità di ricovero per ciechi indigenti, è diventato un modello all’avanguardia.

Istituto Rittmeyer, cento anni di attività al servizio dei non vedenti




(articolo di Virna Balanzin)

Il centenario dell’istituto regionale Rittmeyer per i ciechi rappresenta un traguardo decisamente storico ed un evento importante da celebrare per tutta la città di Trieste. Nato nel 1913 dalla donazione della baronessa Cecilia de Rittmeyer con la finalità di ricovero per ciechi indigenti, è diventato un modello all’avanguardia tra le istituzioni che si occupano di persone con disabilità visiva di vario livello.
Restando sempre al passo coi tempi, l’istituto ha saputo ben conciliare l’avvento del progresso scientifico e sociale con le esigenze degli utenti trasformandosi da centro prevalentemente assistenziale (anni ‘20-’30) ad ente educativo (metà anni ‘70) con l’apertura persino di laboratori occupazionali, senza scordare l’attività di integrazione scolastica per i ragazzi, la residenza per anziani minorati della vista e il costante supporto per non vedenti, ciechi assoluti e ipovedenti.
Elena Weber, dal 1° agosto 2008 direttore generale dell’Istituto Rittmeyer, ci racconta la sua esperienza: «Provenivo da una realtà lavorativa diversa, non afferente al sociale, e arrivare all’Istituto è stato un po’ spiazzante: il relazionarmi quotidianamente con gli utenti mi ha dato la possibilità di un contatto anche umano e poi l’apertura alla comprensione dei loro problemi e istanze è stata una sorta di “salto nel buio”, sicuramente non facile, ma che mi ha dato molto, perché fare qualcosa di positivo per gli altri alla fine fa stare bene noi stessi».
Il lavoro all’istituto è stato ed è quindi per Weber proficuo e ricco di soddisfazioni, ma diventa più problematico quando è necessario rapportarsi all’esterno. «Non è sempre facilissimo — ci spiega — essere presenti nella e alla nostra città; non tutti sanno le tante attività che svolgiamo. Proprio per questo il programma del centenario — in coorganizzazione col Comune di Trieste, per il programma vedere il sito www.istitutorittmeyer.it — diventa un’ottima occasione per evidenziare opera e percorso dell’istituto». «Il lascito originale della baronessa Rittmeyer — continua — consisteva nel palazzo di famiglia, ora Conservatorio Tartini, ma lo spazio esterno risultava ristretto per varie attività destinate ai disabili visivi. Lo spostamento all’attuale sede di Barcola — un’ala vecchia, l’antica villa Prandi, e una più nuova — ha permesso una maggiore estensione esterna, delocalizzando però l’istituto dal contatto diretto con la città». Risulta fondamentale a tal fine la reale conoscenza del grande lavoro svolto da diverse figure professionali all’interno del Rittmeyer per crescita e sviluppo autonomo degli utenti che vi accedono e, di conseguenza, è basilare sapere che sono veramente tanti gli ambiti di intervento: dalla tiflopedagogia (pedagogia per persone con disabilità visiva) alla psicologia e alla psicomotricità; dalla fisioterapia, musicoterapia alla logopedia e alla rieducazione visiva; e, ancora, stimolazione di base, pet therapy, plurihandicap, terapia orticolturale, autonomia personale, orientamento, mobilità.
Barra Braille e la sintesi vocale rappresentano poi due novità dalle nuove tecnologie  in un percorso di sviluppo delle attitudini e dell’autonomia di chi è disabile visivo. Un centinaio gli utenti dell’Istituto: dai piccoli di 6 mesi che frequentano alcune ore alla settimana per lo sviluppo del visus residuo (ciò che resta della vista) ai ragazzi del doposcuola per il supporto scolastico e quelli per la qualifica professionale, per arrivare alle persone con disabilità aggiuntive a quella visiva che frequentano i laboratori occupazionali del centro diurno sino alla residenza per i disabili visivi della 4ª età. Un mondo variegato, complesso, ma pregno di umanità pronto a dare il suo contributo aprendosi alla vita della città.

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