Quest'intervista è stata realizzata di persona durante un ritiro predicato da Padre Cassian a Chicago per le oblate americane del monastero benedettino di Norcia. Padre Cassian ha generosamente concesso all'autore di pubblicare una trascrizione dell'intervista

Intervista con l’Abate Folsom OSB sulla bellezza del Rito Romano




Quest’intervista è stata realizzata di persona durante un ritiro predicato da Padre Cassian a Chicago per le oblate americane del monastero benedettino di Norcia. Padre Cassian ha generosamente concesso all’autore di pubblicare una trascrizione dell’intervista

Julian Kwasniekski: Lei aveva l’intenzione di diventare monaco in gioventù?
Padre Cassian: Beh, non esattamente. Io in gioventù volevo diventare un prete. Ma non avevo mai sentito parlare del monachesimo, finché ero al collegio.
JK: Davvero?
PC: I non avevo mai saputo che esistessero. Così, questo è stato un dono di Dio.
JK: Allora, quale fu la sua prima esperienza monastica? Come ha scoperto il monachesimo?
PC: Ero matricola all’Università dell’Indiana, che dista solo due ore da St. Meinrad. C’erano due monaci da St. Meinrad che quell’anno studiavano all’università. E così li ho incontrati alla Messa quotidiana: questo fu il mio primo contatto con dei monaci. Allora, in seguito, mi sono recato a St. Meinrad con qualche altro amico, per una sorta di gita, tutto qui. C’era certamente l’azione di Dio in ciò; è stato amore a prima vista, ne fui attratto immediatamente. Stavo già pensando di cambiare il mio indirizzo e una serie di altre cose del genere, ed ero interessato ancora una volta a recarmi in seminario. Da quando St. Meinrad aprì un seminario, mi trasferii dall’Università dell’Indiana al collegio del seminario a St. Meinrad durante il mio secondo anno. Ho vissuto circondato da monaci…
JK: …e quella fu la fine!
PC: Già.
JK: Così lei fu inizialmente monaco al monastero di St. Meinrad.
PC: Esattamente.
JK: E quand’è che, da St. Meinrad, fu coinvolto nella fondazione di Norcia?
FC: Io entrai a St. Meinrad nel 1979, fui ordinato nell’aprile dell’84 e a giugno fui mandato a Roma per studiare. Così mi ci vollero cinque anni (sto solo facendo un piccolo riassunto) per i miei studi universitari a Roma. Dopodiché, tornai a St. Meinrad ed insegnai per quattro anni, poi fui mandato nuovamente a Roma nell’83 per insegnare all’Università Benedettina locale. Vivendo lì a Sant’Anselmo, mi fu chiaro che volevo in realtà una vita monastica più autentica, perché Sant’Anselmo è una sorta di minimo comun denominatore di tutti i monasteri del mondo… e non è assolutamente soddisfacente! Sono sempre stato pervaso da alti ideali monastici, e così ero in cerca di ciò che avrei dovuto fare. Nel 1995, un mio amico prete, che stava studiando a Roma, andò in vacanza insieme a me; e mentre eravamo sul treno da Roma a Napoli io ricevetti l’ispirazione di fondare un nuovo monastero: la ricevetti da Dio, perché si presentò in me istantaneamente.
JK: Aveva visto qualcosa di specifico, passando a Norcia, o altre cose del genere?
PC: No, no. Io non conoscevo nulla di Norcia – o meglio, sapevo solo della sua esistenza – ma non ero entrato nel quadro della situazione fino a questo punto. Era il 1995. Tornai a St. Meinrad per Natale, e chiesi al nuovo abate se potessi intraprendere una fondazione. Con mia grande sorpresa, egli rispose di sì. Ma ci vollero tre anni per maturare questo progetto, tre anni di prove spirituali per vedere se esso proveniva veramente da Dio. Così fu non prima del 1998 che l’abate superiore ebbe progetti per me. Voleva fondare un monastero a Roma, a Sant’Anselmo (dove mi trovavo allora), per occuparsi del posto e trovare manodopera per l’Università Benedettina di laggiù. Così, tra la mia ispirazione e il desiderio dell’abate superiore, ecco che il monastero venne fondato, a Roma, nel 1998. Fu spostato a Norcia due anni dopo, perché l’abate superiore ebbe un attacco di cuore e si dimise nel settembre del 2000, e io avevo bisogno di trovare una nuova soluzione per la vita della comunità, in quanto era stato lui sostanzialmente il nostro ‘protettore’. A quel tempo, il vescovo di Spoleto e Norcia ci invitò a trasferirci a Norcia, al fine di ristabilire la vita monastica nel luogo natale di San Benedetto. E fu così che andammo a Norcia, alla fine di novembre del 2000.
JK: Ora, lei è stato ordinato, e ha trascorso tutta la sua esperienza a St. Meinrad, con il Novus Ordo?
PC: Esattamente.
JK: E allora come ha scoperto la Messa tradizionale?
PC: Beh… in modo graduale. Da studente, a Sant’Anselmo, appartenevo alla “Cappella Latina”, in quanto c’erano gruppi che parlavano diverse lingue e che pregavano le Laudi e la Messa insieme ogni giorno. Io gravitavo attorno alla Cappella Latina, imparando dunque a offrire la nuova Messa, però in latino. Ho studiato latino con un famoso latinista a Roma, mentre stavo terminando i miei studi laggiù, e così o scoperto la bellezza del Rito Romano in latino – però il Novus Ordo – e del canto. Ho anche appreso il repertorio dei canti, che è pressoché lo stesso del Rito Antico.
E questo fu un altro passo verso la Messa tradizionale: ero molto interessato, a motivo dei miei studi in liturgia, al Rito Bizantino. Un’estate, ho passato due mesi in Grecia, vivendo in una Casa di Studi Bizantini, recandomi al Monte Sacro (Monte Athos). Mi fu pure chiesto di vivere nel Pontificio Collegio Greco di Roma, per aiutarli. Non ha funzionato, ma ero interessato. Attraverso il Rito Bizantino, ho scoperto un diverso carattere della liturgia. Ora, questo è importante; ho scoperto la Messa tradizionale latina attraverso il Rito Bizantino, proprio per il loro carattere alquanto simile.
Ma bisogna aspettare il ’93 o il ’94, quando ritornai a S. Anselmo per insegnare, perché io incontri un monaco da Le Barroux, che stava lui pure studiando laggiù. Mi invitò a recarmi a far loro visita, e andai. Fu un’esperienza simile a quella che feci a St. Meinrad nel 1972. Quando feci esperienza della Liturgia come la celebravano là, pensai: “Oh! Beh, questo è come io penso dovrebbe essere!”. Era una sorta di intuizione, un momento di intuizione. Straordinariamente meraviglioso. Mi tolse semplicemente il respiro per la sua bellezza. Io avevo già studiato le preghiere da un punto di vista accademico (storia liturgica e cose del genere), sicché era come se tutti i tasselli iniziassero a combaciare.
JK: Parlando della bellezza nella Messa, e specialmente nella Messa antica, saprebbe fare qualche commento circa il modo in cui, nella sua esperienza, la celebrazione della Messa può collegarsi al verso della Bibbia che dice: “Enoch camminava con il Signore e non fu più visto, imperocché Dio se lo prese”?
PC: Questo è interessante… lei che connessione vi vede?
JK: Beh, il prete come alter Christus… Com’è che durante la Messa Dio prende il prete, ed egli non viene più visto? E come mai questo avviene nella Messa antica, ma non in quella nuova?
PC: Ah, molto bene. Questo è meraviglioso – questa è un’importante intuizione, ed è meraviglioso che lei abbia connesso questo passo con ciò.
JK: E’ solo un’espressione stravagante… curiosa, potrebbe dire qualcuno.
PC: Lei ha assolutamente ragione. Nella Messa antica, la personalità del prete non conta. Conta la sua funzione, e lui e il popolo insieme sono rivolti al Signore. Conversus ad Dominum. E per questa ragione il ruolo del prete è obbiettivo. Non è soggettivo, e per questa ragione egli scompare. Ovviamente, egli è il mediatore tra la congregazione e Dio, colui che guida la congregazione verso Dio, ma egli scompare a motivo dell’oggettività della struttura. Questo è molto salutare, perché la Messa non riguarda il prete, ma riguarda Dio. Nel Novus Ordo, a causa della pratica di celebrare versus populum, e a causa di tutte le scelte del prete che inseriscono una sorta di commento, o di spontaneità, il ruolo del prete diventa terribilmente soggettivo. Pertanto, egli diventa al centro dell’attenzione, così la Nuova Messa è terribilmente clericizzata, perché ruota tutta attorno al prete, al contrario della Messa antica. E questo è un peccato.
JK: La gente spesso dice: “Oh, c’è troppo rispetto nei confronti del prete nella Messa antica”, come tutti i baciamano, lo spostare gli oggetti per lui e cose del genere, ma in realtà il Novus Ordo, di fatto, mette molto più al centro il prete.
PC: Precisamente.
JK: Nell’ufficio della Compieta c’è il verso: “Offrite il sacrificio di giustizia, e sperate nel Signore; molti dicono: Chi ci mostrerà i beni promessi?”. Potreste parlare di come oggi ai giovani non sono mostrati i “beni” nella liturgia, e come loro non potranno essere attirati a Dio, a una vocazione sacerdotale o monastica, a meno che non vedano questa bellezza nella liturgia?
PC: I “beni” sono molti. La Tradizione della nostra fede, della nostra liturgia, della nostra preghiera, del nostro misticismo… questi beni sono straordinari e accessibili, ma non sono presentati alla gente, sono sconosciuti… dimenticati, in massima parte. Così, i giovani non vedono questi beni. Essi vedono altre manifestazioni della Chiesa, le quali, nella pratica dopo il Concilio, tendono a essere molto orizzontali e orientate alla vita terrena: l'”impegno sociale” e le “buone azioni”. Orbene, queste cose sono importanti, ma viene spesso trascurato il trascendente. Fare semplicemente “buone azioni” non è abbastanza come motivazione per dedicare la propria vita interamente a Dio. Questa motivazione dev’essere in uione con Dio. Io penso che noi ci siamo veramente ingannati abbandonando la ricchezza della tradizione, che si concentra su Dio. Questa non esclude buone opere, per l’amor del cielo!, ma si concentra su Dio.
JK: Parlando della vita monastica, e come uno che a visto molte vocazioni – alcune delle quali han funzionato, e altre meno – come potrebbe fare una riflessione sulle parole di Cristo: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”? Questo verso sembra misterioso; sono molti i chiamati, ma pochi gli eletti?
PC: Io lo interpreterei così: non significa che Dio chiama molti, e poi li esamina per bene e infine ne sceglie solo alcuni di loro. Io penso piuttosto che “Molti sono i chiamati, ma pochi coloro che rispondono” – questo è il significato degli “eletti”. E pochi rispondono perché, come il giovane ricco del Vangelo, ci sono molte cose che, a un esame superficiale, sembrano più attraenti. E se essi potessero fare esperienza della trascendenza di cui abbiamo parlato prima, vedrebbero una bellezza diversa. Allora le cose cambierebbero per loro.
JK: Parlando con la gente che segue la liturgia tradizionale, uno sente dire assai spesso: “Ah, io sono stato rapito dalla bellezza della Messa”. Ma, tornando un po’ indietro, Lei ricorda qualcosa della sua prima Messa?
PC: No, nulla. Ma qui c’è qualcosa di curioso: nel modo monastico di vedere le cose, la vocazione monastica è la cosa preminente, e il sacerdozio è secondario. Ora, questo funziona al contrario di quanto pensano molte pie persone. Questo potrebbe addirittura essere in qualche modo scandaloso, forse. Ma questo è ciò che avviene in monastero: la cosa più importante è la tua vocazione monastica, e il sacerdozio è secondario. Il sacerdozio è meraviglioso, splendido, ma significa che la vita di un monaco-prete (se posso mettere un trattino) fa qualsiasi tipo di lavoro che dev’essere fatto in un monastero. Egli può essere incaricato di dir Messa, come può essere incaricato di lavare i piatti. Egli può essere incaricato di ascoltare le confessioni, come può essere incaricato di spazzare i pavimenti. In un certo senso, tutto ciò è armonioso; in un certo senso, non importa. La cura d’anime da parte del monaco-prete è qualcosa che va ad integrarsi dentro alla vita monastica. Non è il fine unico della sua vocazione; è un’aggiunta al carisma monastico. Così c’è una grande differenza nel considerare il sacerdozio da parte di un prete diocesano, dove esso costituisce il fine unico, mentre per il monaco è essere monaco il fine ultimo.
JK: Questo ha senso. Allora, parlando di questa vocazione monastica, secondo i miei genitori, quando avevo circa cinque anni, io le chiesi come fosse essere monaco, e lei rispose: “E’ meraviglioso”. Potrebbe parlarci un po’ di più di questo? Cos’è che rende attraente la vocazione monastica? In che senso è meravigliosa?
PC: Di meraviglioso nella vocazione monastica, anzitutto, c’è Dio. Forse potrei raccontarvi un piccolo aneddoto. Questo potrebbe descrivere ciò in modo migliore. Quando ero un piccolo bambino, di circa cinque anni, mia madre mi diede un libro di storie della Bibbia per bambini. Io ero un bambino precoce, come lei, ed ero in grado di leggere a cinque anni, ed ero felice di leggerequeste storie della Bibbia. Così io m’imbattei nella storia contenuta in Esodo III, e nel roveto ardente. Ricordo di aver letto, siccome non era semplificato ed era trascritto proprio come dice la Scrittura, ciò che Dio dice dal roveto: Egli disse il Suo Nome, “IO SONO COLUI CHE SONO”. Anche se ero appena un bimbo di cinque anni, ho pensato, “Beh, nessuno parla così. Questo è molto strano!”. Sentivo la meravigliosa attraenza di Dio in questa stranezza, nel Suo rivelare il Proprio Nome… un nome assai curioso. Nella vita monastica, tutti i momenti sono come quello in cui uno incontra il Dio vivente. Poiché questo è lo scopo – e, come descrive S. Giovanni Cassiano, la venuta dello Spirito Santo e la visita quotidiana di Cristo nell’anima – a cui è destinato il resto della vita, la qual cosa significa ascetismo e lotta contro i vizi, riconoscere la realtà com’è e provare a destinare tutte le cose all’adorazione di Dio, e ciò significa bellezza, musica, liturgia, architettura, ogni cosa. Ma è altresì focalizzata su quella fame di Dio, quel desiderio di Dio. Per me, non c’è null’altro al mondo ch’io farei più volentieri.
JK: Dunque la vita monastica – il suo cuore – è la visita quotidiana di Dio. E non c’è nulla che sia meglio di ciò nella vita!
PC: Esatto.
Fonte: http://traditiomarciana.blogspot.it

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