Intervista al presidente dell’Autorità portuale di Trieste




Monassi: «Per rilanciare la portualità italiana serve nuova politica nazionale per le strade e le ferrovie»

Marina Monassi, presidente dell’Autorità portuale di Trieste, ci rilascia un’intervista a seguito del Comitato portuale del 6 marzo 2013, durante il quale il messaggio del presidente era arrivato forte e chiaro: «Sette giorni al sindaco Cosolini per sbloccare almeno i cantieri di Greensisam».

Molte volte ci si chiede quale sia il “ruolo” del Comitato portuale, chi ne faccia parte, come vengano prese le decisioni e quale autonomia abbia un presidente dell’ Authority. Ovviamente gli operatori del settore sapranno molto bene le “regole del gioco”, ma non bisogna dimenticare che la città di Trieste è popolata anche di persone che di “porto” sentono parlare solo sui giornali.

Presidente Monassi, cosa significa l’incontro mensile con il Comitato portuale? Lo si può definire come un Consiglio di amministrazione di una società? Chi ne fa parte?

Il Comitato portuale è l’organo — istituito dalla legge 84/94 — attraverso cui l’Autorità portuale esercita le sue funzioni di pianificazione e coordinamento delle aree e dei servizi del porto. Tali compiti vengono svolti principalmente attraverso l’approvazione del Piano operativo triennale, che stabilisce le strategie di sviluppo delle attività portuali, e l’adozione del Piano regolatore portuale, che determina invece la destinazione d’uso delle aree. Inoltre approva il bilancio e delibera in ordine alle concessioni. Il Comitato portuale può sicuramente essere inteso come il Cda di una società. In seno ai Comitati portuali si prendono decisioni fondamentali per lo sviluppo dell’economia, quindi sono membri di diritto tutte le più importanti cariche del territorio e degli enti locali. Invito i lettori interessati a visitare il nostro sito per avere maggiori dettagli.

Quindi le scelte sono condivise con tutti i referenti del Comitato?

Tutti i punti all’ordine del giorno vengono sempre discussi e portati ai voti come in un Consiglio di amministrazione. Per la validità delle sedute è richiesta la presenza della metà più uno dei componenti in prima convocazione e di un terzo dei medesimi in seconda convocazione.

Il caso Portocittà ha richiesto un Comitato portuale monotematico, per esaminare la situazione del Porto Franco Vecchio…

Dopo la Nota di stampa con cui Portocittà annunciava di abbandonare il Porto Franco Vecchio, ho indetto con urgenza un Comitato portuale che ho voluto aprire anche alla stampa, per discutere con la massima trasparenza della questione del Porto vecchio e del suo futuro.

Pochi mesi fa un convegno dal titolo: “Porto franco vecchio. Il nuovo motore per il rilancio di Trieste” si svolgeva presso la Centrale idrodinamica e vedeva come principali attori di questo “caso” i referenti di Portocittà e le principali istituzioni coinvolte nel rilancio del Porto vecchio. Cos’è successo nel frattempo?

La concessione a Portocittà, figlia della precedente amministrazione portuale, è stata rispettata da parte dell’Autorità portuale in tutte le parti di nostra competenza. Il ricorso presentato da Portocittà al Tar ha come obiettivo l’ottenimento di una dichiarazione di nullità del contratto di concessione per pretesa nullità dell’oggetto. Portocittà, inoltre, chiede la restituzione dei canoni concessori già versati nonché la rifusione di tutte le spese dalla stessa sostenute in attesa della concessione. Pensi che avevamo già fissato un incontro con Portocittà per il 14 marzo e ho appreso la notizia del dietrofront della società dalla stampa. Avevamo lavorato sodo per fare sgomberare tutte le aree. Ora sono libere e vuote. Ma non staremo con le mani in mano. Bisogna ripartire di nuovo e portare investimenti e occupazione e far rinascere quell’area, creando posti di lavoro. Questo è quello che la gente si aspetta da noi. La situazione è delicata, ma stiamo già valutando se possiamo sondare il mercato per verificare l’interesse di potenziali nuovi investitori.

I cittadini si chiedono cosa succederà… Lei crede che il Punto franco sia un tema che i cittadini dovrebbero conoscere meglio?

I cittadini hanno tutto il diritto di essere costantemente informati. Il tema del Punto franco non è di facile comprensione, ne prendo atto. Per tale motivo stiamo predisponendo un vademecum in collaborazione con la Camera di commercio di Trieste rivolto alle imprese, ma anche ai cittadini, che con un linguaggio chiaro e semplice illustrerà le caratteristiche del Punto franco ed i vantaggi che può apportare all’economia locale. L’obiettivo è quello di rivedere cosa  possiamo fare con il Punto Franco, con un approccio nuovo, dinamico, in linea con l’economia di oggi. I benefici per il nostro porto sarebbero molti. Vantaggi fiscali, in una zona economicamente “libera”, capaci di attrarre investitori e scambi commerciali internazionali. Non a caso la cancelliera Angela Merkel già un anno fa ha iniziato a lavorare sul progetto di una zona franca a Ludwigshafen vicino ad Amburgo. Noi il Punto Franco ce l’abbiamo già e lo vogliamo lasciar morire?

Mi permetta una “battuta” copiata ad un noto politico sentito alla televisione poche settimane fa, rivisitandola potrebbe essere: «Marina Monassi, il core business del quotidiano locale». Si identifica?

(Sorride). In un certo senso è normale se pensiamo che il porto è il core business di Trieste. Avviene così anche per molte altre città portuali. È logico che i quotidiani locali ne parlino. Anche se poi bisogna vedere il taglio che viene dato alle notizie. Il porto muove l’economia, ma finisce troppo spesso sulle pagine di cronaca locale. Sul “Secolo XIX” di Genova c’è una pagina dedicata esclusivamente allo shipping e giornalisti specializzati quotidianamente affrontano tutte le tematiche legate all’economia marittima. Non nego che mi piacerebbe vedere qualcosa di simile anche sul nostro quotidiano locale.

Il 2012 è stato un anno molto positivo per i traffici. Com’è iniziato il 2013?

I traffici continuano a crescere. In questi giorni abbiamo ricevuto i dati della movimentazione container al Molo VII. Nel mese di febbraio quasi 30 mila sono stati i teu movimentati, con un aumento del 15% rispetto all’anno precedente. Indubbiamente un buon inizio, specie se teniamo conto della crisi economica globale che sta mettendo a dura prova anche il settore dello shipping.

L’ultimo progetto o iniziativa avviata?

Puntiamo a diventare un vero “porto verde”. La tutela dell’ambiente è una delle nostre priorità. Al di là delle mie passioni per la natura, mi sono chiesta a metà del mio mandato cosa potevo fare in più per il porto di Trieste. Ed è per questo che ho voluto avviare l’iter per dotare il nostro scalo della certificazione Emas. Si tratta di una certificazione europea a carattere volontario che prende in considerazione siti territoriali definiti, sotto il controllo di un’organizzazione, che comprendono attività, prodotti e servizi. L’ottenimento della certificazione comporta un impegno scritto e pubblico dell’organizzazione ad operare nel rispetto delle norme con l’obiettivo di un miglioramento ambientale continuo. In Italia solo l’Autorità portuale di Livorno ha ottenuto tale certificazione. È un grosso obiettivo che richiederà notevoli sforzi, ma sono convinta che proteggere l’ambiente portuale sia doveroso, anche perché significa pensare alle prossime generazioni, e quindi all’economia di domani.

Si sente parlare spesso di progetti faraonici di infrastrutturazione per rilanciare i porti. È questa la via da seguire?

La diffusione di un buon sistema di infrastrutture sul territorio ha rappresentato fino a qualche anno fa una grande ricchezza per l’Italia perché ha permesso ai porti di intercettare ampi volumi di traffico. Ora la situazione è completamente diversa. La crisi economica globale, l’emergere di nuovi paesi trainanti nell’economia dello shipping globale, richiedono un cambio di pensiero. In Italia non possiamo voler tutti un “super-porto” a distanza di pochi chilometri, non è sostenibile. Dobbiamo invece concentrare i traffici in un numero più contenuto di strutture a più elevata qualificazione e individuare un numero limitato di scali sui quali concentrare le risorse. Per rilanciare la portualità italiana a livello internazionale serve innanzitutto una nuova politica nazionale per le strade e le ferrovie. È da lì che dobbiamo ripartire.

Francesco La Bella – foto di flb

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