Indifferenza o bene comune?




Nei giorni scorsi ricorreva l’anniversario della promulgazione delle “leggi razziali”. Sono passati ottant’anni dal giorno in cui Mussolini da Piazza dell’Unità annunciava l’esclusione degli ebrei da quelli che oggi sono considerati i più naturali diritti civili.
In questa sede non è possibile ragionare sulla complessità di quelle atroci determinazioni e sulla loro cornice storica. Questo è compito di chi studia i fatti con gli strumenti propri della ricerca scientifica, preziosa per documentare gli eventi e individuare i rapporti tra cause ed effetti.
Non si può prescindere, peraltro, da alcune considerazioni. Innanzitutto ribadendo che quelle norme, e le loro conseguenze, devono inquadrarsi entro il perimetro del “male assoluto”.
È noto, del resto, che eventi drammatici del XX secolo hanno portato l’uomo a interrogarsi sul problema del male e sul suo rapporto con il divino; anche ponendo in discussione l’idea stessa di Dio.
Non solo. Ha sconcertato – e sconcerta tuttora – come quelle leggi siano state accolte (non solo dagli allora presenti in piazza).
Non possiamo smettere di interrogarci sulle ragioni che permisero (e per certi versi permettono tuttora) inquietanti forme di indifferenza.
Fermiamoci su ciò. Perché se è vero che alcuni reagirono, anche rischiando, è altrettanto vero che molti si mostrarono del tutto indifferenti. Questa mancanza d’interesse verso il prossimo, dove tutto è uguale (in-differente) e irrilevante sino al punto da non meritare un pensiero, un richiamo, un gesto di aiuto, lascia di stucco e inquieta.
È fuori di dubbio che far conoscere eventi della storia e i fenomeni che hanno indebolito persone e rapporti, può quantomeno favorire quella consapevolezza (del bene e del male) utile a impedire il ripetersi della storia medesima.
Conoscere significa alimentare la capacità critica, l’attitudine alla scelta. Conoscere aiuta a capire che non è uguale scegliere di fare o di non fare qualcosa; di aiutare o non aiutare qualcuno. Ovviamente nei limiti del possibile.
Ricordare il tentativo di salvare Vito Levi significa dare importanza alla solidarietà tra gli uomini ai fini della “nuova” storia.
Scriveva Miguel de Cervantes, riprendendo Cicerone: «La storia è madre della verità, emula del tempo, depositaria delle azioni, testimone del passato, esempio e annuncio del presente, avvertimento per il futuro».
Tuttavia, storia è “avvertimento per il futuro” solo quando è forte la volontà di custodire la memoria. In questo senso è utile il lavoro del prof. Spazzali che fa riemergere dalla coltre dell’oblio la lettera dell’allora parroco della Cattedrale, mons. Buttignoni, indirizzata a Mussolini, volta a salvare un uomo di cultura triestino, ebreo, come tanti travolto dalle “leggi razziali”.
Forse oggi, per il bene comune, potremmo aggiungere un nuovo gesto simbolico: intitolare a Vito Levi una via della nostra città. Potrebbe rappresentare il segno della volontà di far tesoro dell’insegnamento della storia affinché il male non abbia a ripetersi.

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