Il Silenzio: parla Giuliana Stecchina




È un tempo rumoroso il nostro. Di certo più rumoroso delle altre epoche, in cui comunque ci si lamentava del caos che dominava le città, come lamentavano dalle loro pagine immortali alcuni poeti latini o, molti secoli più tardi, un grande come Petrarca nelle sue “Epistole”.

Rumore, caos, frenesia. Tutti cercano il silenzio. Si vanno a fare passeggiate nei boschi, si cercano le cime dei monti e si “crede” così di fare un bel bagno ristoratore di silenzio. Ma quale silenzio? Esiste davvero questa araba fenice che da sempre avvolge i sogni degli uomini in cerca di pace?

Esiste e insieme non esiste, ci suggerisce Giuliana Stecchina (arpista, saggista e docente all’Università e al Conservatorio Tartini) nell’incontro di giovedì 6 febbraio presso la Biblioteca Statale sul tema “Il silenzio, le arti, la società fra comunicazione e incomunicabilità”.

Con una brillante conversazione che ha spaziato dalla musica alla pittura, dalla filosofia alla letteratura, la relatrice ha tratteggiato le diverse configurazioni possibili del silenzio e ne ha declinato le tante sfumature sul piano della storia e della cultura. Lo spirito che ha animato gli uomini di diverse epoche infatti si è manifestato con chiarezza anche nel rapporto con il silenzio.

Punto di partenza: che cos’è il silenzio? E soprattutto: esiste? La risposta è: “No”. Almeno secondo le ricerche e le opere del musicista sperimentale John Cage (1912-1992), che negli anni ’50 del ‘900 rinnovò il mondo dei suoni dimostrando che il silenzio, come lo intendiamo comunemente, non esiste. Esiste qualcosa d’altro, che noi per abitudine e convenzione chiamiamo “silenzio”. Nelle due “composizioni” 4’33’‘ e Waiting il silenzio è rispettivamente illusione — anche se il musicista non tocca i tasti ci sono comunque i segnali di vita e presenza del pubblico — e tempo di attesa. L’attesa è apertura all’altro, umiltà, ma anche preparazione, concentrazione, chiarezza, pausa meditativa dal respiro claustrale.

L’idea per la prima composizione era venuta a Cage dopo essere stato in una camera anecoica (del tutto insonorizzata) all’Università di Harvard: anche in questo spazio chiuso ad ogni rumore, egli avvertì dei suoni. Si trattava delle funzioni fisiche del suo corpo: il sistema cardiocircolatorio e nervoso. Da qui l’intuizione che dove vi è vita non può esserci silenzio.

La seconda composizione esprime invece il silenzio come attesa: un’attesa che dà tempo alla risonanza musicale di sviluppare ancora i propri valori, di ripensare e, nel ripensare, di conoscere e riconoscere. L’incontro con i Ching o Libro cinese dei mutamenti, frutto stupendo della spiritualità orientale, affina questa particolare sensibilità di Cage nello studio del silenzio. Le configurazioni dei Ching si stagliano su un sottofondo di risonanze interiori in cui, al riparo da ogni rumore, si svolge un dialogo rivelatore con noi stessi.

Il silenzio dunque non esiste. È emblematico che questa sensibilità verso il silenzio si sviluppi proprio negli anni ’50 del secolo scorso, come ci conferma anche la letteratura. Pensiamo a Dino Buzzati (1906-1972), il cronista che lavora di notte e ha tanto tempo anche per ascoltare e per avvertire nell’apparente silenzio i fruscii inquietanti della notte. Il suo capolavoro “Il deserto dei Tartari” è un inno al silenzio come chimera, come attesa, come tempo interiore che scava e consuma. In uno dei suoi racconti più originali, “La goccia”, una goccia d’acqua mette in subbuglio di notte l’intero caseggiato, salendo e scendendo le scale, contro ogni legge fisica. Il suo ritmico andare e venire nella notte è un palpito che inquieta e fa paura.

Negli anni ’50 e ’60 la gente era stanca del rumore, del caos e del fragore della guerra, aveva fame e sete di silenzio, di pace, di lunghe pause in cui costruire e ricostruire. Anche nella propensione di un’epoca per il rumore o per il silenzio gli uomini scrivono la propria storia. I futuristi ad esempio elevarono il rumore a cifra estetica ed esistenziale, segno di uno spirito iconoclasta e affamato di vita.

Spesso, nel delimitare l’area del silenzio, si confondono le due sfere del silere e del tacere. La prima rimanda al silenzio della natura, la seconda ad una scelta – scelgo di non parlare -, ad una volontà che è anche coerenza e determinazione. Questi due aspetti possono anche interagire, come nei giardini toscani, contaminazione tra natura e volontà umana, tra elementi spontanei di paesaggio e interventi architettonici dell’uomo che orchestra, secondo il suo gusto e la sua arte, la natura. Qui gli inglesi dell”800 emigravano alla ricerca di una pace e di una privatezza che in madrepatria non avevano: nessuno li conosceva, il silenzio dei giardini e delle dimore straniere copriva i loro segreti. Il silenzio è anche grembo protettore di segreti.

L’antico mito di Aion, nome che indicava il grande contenitore originario, l’informe nebbia, lo spazio della pre-parola creatrice, richiama il silenzio come respiro primordiale di vita. Nella nostra tradizione è la Parola che trae dall’informe originario tutte le cose: quando la vita ha inizio, quando l’informe si rapprende nelle innumerevoli forme del cosmo, allora il silenzio non può più esistere. Ma proprio in queste forme, in un continuo oscillare del loro svolgersi tra pausa e fraseggio, gli uomini lasciano testimonianza di sé e della loro ricerca di senso. La nascita dell’epoca moderna, rosa dal tarlo del dubbio, la si deve a René Descartes (1596-1650) che individua nel cogito ergo sum, nell’autocoscienza dell’Io, la sola certezza umana. Il mondo esterno non possiamo conoscerlo, a differenza del mondo interiore. Quest’ultimo si espande, il dubbio procede con lui, ingrandisce con lui, fino al trionfo della psicoanalisi in cui c’è il silenzio assoluto del terapeuta che dovrebbe aprire la strada alla verità interiore. Ma non sempre ci riesce. In questa dilatazione dell’interiorità, che può divenire parossistica, il silenzio del dubbio rischia di essere malato. Noi non cerchiamo questo silenzio, auspica Giuliana Stecchina al termine dell’incontro, anche se il nostro tempo non è certo buon consigliere in questo senso. C’è un altro silenzio da ricercare e coltivare. Quello che c’era prima di tutto: il silenzio dello stupore originario, bello e raggiante freschezza come un fanciullo

 

5 risposte a “Il Silenzio: parla Giuliana Stecchina”

  1. solina ha detto:

    Molto bene.anche se la scrittrice perde tempo affrontando un argomento trito e ritrito e alquanto scontato,in un momento difficile per l’ umanita’,che vorrebbe risolvere ben altri problemi….che non quello del “silenzio”.molto abile nell’eludere la realta’ odierna di cui evidentemente si interessa poco.fossi in lei scriverei su argomenti meno eterei ma piu concreti.

    • Alessandra Scarino ha detto:

      Se ci sono suggerimenti su argomenti più concreti, con un valore culturale perché è di cultura e arte che scrivo in questa rubrica, e relativi alla nostra città o alla nostra regione sarò ben contenta di riceverli. Grazie comunque per l’attenzione e la pazienza di leggermi.

  2. gioia ha detto:

    Pallosa come sempre.si vede che non ha nulla da fare tutto il giorno

    • Alessandra Scarino ha detto:

      Condivido che certi argomenti possano sembrare oziosi e inutili. Ma allora dovremmo cancellare dal mondo tante, troppe cose: l’arte, lo spettacolo, la conversazione e tante belle attività ricreative. Se hai qualche suggerimento per essere meno noiosi ben venga!

  3. Silvio Brachetta ha detto:

    Il silenzio è vitale per l’anima. Tanto più per la salvezza, tanto più per il cristiano.
    È vero che il cristiano non resta in silenzio di fronte al mondo (e alle sue malefatte). È vero che questo giornale è l’incarnazione di tale prassi. È vero che i cristiani hanno sempre scritto e parlato attraverso una marea di libri o locuzioni. È vero che la Bibbia è il resoconto di chi non tace.
    Ma ogni tesoro è tratto dal silenzio. Più che l’acqua per il pesce, il silenzio è indispensabile allo spirito.
    Il silenzio è la dimora dell’anima. Togli il silenzio e muore la preghiera, muore il respiro, muore l’eternità. Insomma, muore Dio.

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