Il problema Rahner




Parafrasando un celebre incipit di un’opera altrettanto celebre potremmo dire: uno spettro si aggira oggi per la Chiesa e…ha assunto il volto misterioso di Karl Rahner. Chi è mai costui? Direte voi. Eh, già la risposta a questa semplicissima domanda è un bel problema. C’è chi dice infatti che sia stato il più grande teologo del Novecento, chi dice che sia stato il più formidabile degli ultimi tre secoli e chi – addirittura – il più ispirato in assoluto della storia della Chiesa (Sant’Agostino e San Tommaso compresi). Ma c’è di più: perché c’è anche chi dice (della stessa persona) che sia stato invece l’autore di gran lunga più sopravvalutato della storia recente, chi aggiunge che non è neanche un teologo affidabile e chi chiosa sentenziando che è una figura sciagurata, e pure semi-eretica. Beninteso, tutte queste posizioni vengono espresse da persone che appartengono alla stessa comunità cristiana, che – in teoria – sarebbe accomunata dallo stesso Credo. Ora, questa rubrica non fa lezioni universitarie e anzi guarda con sospetto agli intellettualismi, anche quelli che si autodefiniscono ‘cattolici’, però due parole vogliamo dirle ugualmente perché la questione in realtà è meno specialistica di quello che sembra.

E quello che si può dire certamente senza tema di smentita è che il teologo gesuita Karl Rahner (1904-1984), nato in Germania ma morto in Austria, a Innsbruck, dove è tuttora sepolto, a lungo docente di dogmatica negli atenei di Monaco e Münster, è stato una figura obiettivamente influente nella storia del pensiero cristiano del ’900, che ha attraversato dall’inizio alla fine in tutti i suoi aspetti più controversi e dibattuti (scrivendo praticamente su qualsiasi cosa, in opere monumentali, ben più di 4000!), intervenendo direttamente in ambiti universitari ed ecclesiali anche altissimi, Concilio compreso. Questo è un fatto. Oggi, poi, molti manuali di testo per studenti di teologia e filosofia spendono intere pagine e pagine su di lui: praticamente è un capitolo obbligato, quasi a parte. Non bastasse, corsi, seminari e conferenze sul suo pensiero si moltiplicano ovunque. Il tono e l’approccio è quasi sempre fortemente celebrativo, del tipo: ‘dove saremmo ora senza di lui?’. Questo è un altro fatto. E qualche domanda però ti viene già qui. Perché se il suo nome è sulla bocca di tutti e non sulla tua (…chi l’ha mai sentito?) magari inizi a pensare di essere strano tu. E’ grave? Oltre alla Bibbia e al Catechismo devo avere sul comodino anche i suoi scritti? E se magari non ce l’ho? Sarò mica considerato come un minorato mentale? Ora, converrete che alle persone normali – non particolarmente dotte, ma neanche particolarmente ignoranti – tutto questo elogio improvviso suona un pò strano: dopotutto, non stiamo parlando di un Santo, né di un Beato, né di un Martire, né di un Papa e neanche di un Vescovo. Bensì….di un professore universitario che ha scritto tanto e le cui idee hanno avuto notevole influenza nell’ambito della discussione intellettuale della Chiesa del secolo passato in più ambiti disciplinari. Benissimo, ma che cosa c’entra con la vita quotidiana di fede di un miliardo di persone? Perché al comune fedele dovrebbe interessare un intellettuale complicato che ha passato la sua vita a scrivere da intellettuale opere difficilissime da leggere e ancora di più da interpretare? Al che, di solito, la risposta che viene data è che a lui si deve comunque la svolta antropologica della pastorale, l’impostazione dottrinale di un Cristianesimo più moderno e al passo coi tempi, una grande capacità di dialogo con le più importanti correnti del pensiero contemporaneo non cristiano. Mmh…tutto qua? ma non è un po’ pochino per scomodare i manuali di studio obbligato e persino le omelie domenicali? Il motivo deve essere da un’altra parte. Quella di Rahner è una vicenda complicata: da ragazzo studiò a Friburgo dove frequentò i corsi di Martin Heidegger, appassionandosene, talmente tanto che quando presentò la sua tesi giovanile (in filosofia) al suo futuro relatore, Martin Honecker, questi la rifiutò per ‘manifesta inaccettabilità’, diremmo oggi. Dovette così cambiare relatore e anche oggetto di studio. Esuberanze da ragazzi? Non proprio: da grande le cose non dovettero cambiare poi molto se critiche – più o meno pesanti – ai suoi scritti vennero formulate nientemeno che dal cardinale Alfredo Ottaviani, quindi da Hans von Balthasar, poi da Cornelio Fabro e infine da Joseph Ratzinger. Robetta da niente eh?

La mitica Agatha Christie a questo punto direbbe: un indizio è solo un indizio, due possono essere una coincidenza, ma tre fanno una prova. Qui i nomi sono addirittura quattro. Che facciamo? Certo, è possibile che si siano sbagliati tutti e quattro, tra cui due cardinali e un Papa. Sicuramente è possibile, ma – così a occhio – per non sapere né leggere né scrivere, preferiremmo pensare che si sia sbagliato lui. Sapete com’è. In ogni caso, la querelle è più che mai aperta e, ci pare, segnali un problema reale. Ad esempio, senza andare troppo in campi specifici, l’intellettualizzazione della fede in quanto tale. La fede da sempre è per tutti, non solo per gli intellettuali. Ora, se la problematizzazione diventa un approccio di fede in sé, secondo noi c’è qualcosa che non va. Porsi delle domande è bello e sempre indice di una sana vivacità intelligente, sia chiaro. Ma porsele sul deposito ultimo della fede è un altro conto. A un certo punto deve arrivare una sintesi. E la risposta non può essere a sua volta la problematizzazione della sintesi precedente. Sarà per questo che, come disse qualcuno, la buona teologia si vede sempre dalla difesa che fa della fede dei semplici e degli umili. Cioè, se difende o meno l’analfabetismo della massaia che quando vede passare un feretro si fa spontaneamente il segno della croce e se difende la devozione della bambina piccola che recita ogni giorno l’Angelo Custode con commovente trasporto. Perché se non lo fa, o se magari vede con un certo malcelato sarcasmo sia la massaia che la bambina perché-che-cosa-ne-sapete-mai-voi-del-trascendentalismo, siamo messi male. Molto male. Per un solo motivo: perché la cosa più importante della vita alla fine è conservare la fede e anche un libro, già anche un libro, può contribuire a ravvivarla, metterla in crisi o persino spegnerla. Tutto qui.

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