Il Papa, la Mitteleuropa e la questione armena




Esistono popoli che sono perennemente in diaspora e luoghi eletti in modo speciale a patria simbolica di questi popoli. Per esempio, gli armeni in riferimento alla Mitteleuropa: un rapporto profondo e intenso che ha attraversato più volte le pagine della nostra storia continentale. Sull’Armenia, e degli armeni in genere, però, si sa relativamente poco tutto sommato. Per gran parte dell’opinione pubblica, la conoscenza si ferma a qualche indicazione superficiale sulla cartina geografica, e poco altro. Invece fu proprio qui – all’alba del 300 – che nacque il primo Stato cristiano della storia, quando dalle nostre parti dominava ancora il paganesimo romano. Fu anche questo evento, dopotutto, a ‘fare’ l’Europa antica e medievale: nel senso dei suoi confini spirituali e culturali. Per molto tempo quando si trattò di dire dove finiva l’Europa a sud-est si rispose che lì c’erano ancora cristiani, tali e quali come noi, solo divisi in cattolici, ortodossi e apostolici armeni. Quindi, si concludeva, quella deve essere ancora Europa, superata Erevan invece, ci sono altre culture e altre civiltà e quindi è un altro mondo: osservazione giustissima. L’Armenia è stata dunque per secoli una terra di frontiera e delle terre di frontiera ha vissuto tutti i drammi, le passioni e le tragedie fino a quando si immolò, letteralmente, come disse Giovanni Paolo II, per la libertà dell’Occidente, con cui pure aveva dialogato a lungo fruttuosamente (e basta andare sull’isola di San Lazzaro a Venezia, in quello splendore senza tempo che è la casa dei monaci Mechitaristi, per farsene un’idea molto viva). Eppure è ancora poco. E’ soprattutto nel ‘900 in effetti che la questione armena è tornata pubblicamente alla ribalta, in seguito al genocidio perpetrato nel corso della Prima Guerra Mondiale e la cui passione è stata raccontata forse come nessun altro dal grande scrittore praghese Franz Werfel, nel romanzo-storico capolavoro I quaranta giorni del Mussa Dagh. Più recentemente, e dalle nostre parti, ne ha scritto Antonia Arslan, accademica e letterata a Padova, ma armena di famiglia, in più opere narrative premiate dal successo dei lettori: una in particolare, La masseria delle allodole, da cui è stato tratto pure un film forte e struggente, omonimo nel titolo, passato già al cinema e poi in televisione. Da ultimo, con il centenario del genocidio, anche il Papa in persona è tornato a parlarne in appuntamenti pubblici con esponenti del clero e delle istituzioni armene, lo scorso anno a Roma e in settimana in Armenia. Non discuteremo qui delle polemiche sulle sue parole, imbecilli e idiote solo per chi le fa, e che dimostra, una volta ancora, se ce ne fosse bisogno, come il cinismo del potere non abbia pietà alcuna, nemmeno per i morti ammazzati come bestie (dal momento che se c’è una caratteristica particolare di quel genocidio è proprio la straordinaria crudeltà assassina dei carnefici turchi che in quell’occasione non risparmiò nemmeno i civili).

Volevamo far riflettere piuttosto sul rapporto, continuativo, per la Mitteleuropa, e quindi per l’Europa in generale, con la cultura armena e anche con la sua forte spiritualità identitaria (come per i polacchi e gli irlandesi, quello armeno è un altro popolo che si è forgiato da e insieme alla fede cristiana, al punto che non esiste qualcosa della sua storia patria che non abbia un legame, diretto o indiretto, con la religione). Perché alla fine quando si parla di radici cristiane del Continente si dovrebbe prendere in considerazione proprio questo aspetto: il fatto che i singoli popoli, ma alcuni ben più di altri, hanno contribuito alla libertà, allo sviluppo, al benessere dell’Europa soprattutto in virtù della loro fede, e non malgrado, o nonostante questa, evidentemente. Per questo oggi, in occasione del centenario della scomparsa di 2/3 di una popolazione intera (ma per i carnefici dovevano essere i 3/3), tutti dovrebbero sapere di che cosa si sta parlando e perché l’Armenia è più importante dell’Islanda, per dire, o del Lussemburgo, nella storia europea, tanto più se ci si dice credenti. Il Metz Yeghérn fu una cosa enorme, spaventosa e terrificante, anche dal punto di vista simbolico, oltre che numerico. Il fatto che a qualcuno non dica niente ancora oggi è straordinariamente grave, gravissimo, né è scusabile con il solito pretesto sempre pronto del ‘non si può sapere tutto’. La questione armena attraversa al centro tante discussioni oggi centrali per i cristiani d’Europa, dalla qualità e storia delle sue radici spirituali, non solo o tanto geografiche, al futuro dell’Unione come comunità coesa (vedasi l’iter del ‘dossier turco’) e alle sue alleanze interne ed esterne, al dibattito scientifico in corso sui genocidi recenti religiosamente connotati. Non è poco, ci pare, né roba solo da topi di biblioteca o studiosi d’archivio. Una volta anzi qualcuno ha detto che la Mitteleuropa vive fondamentalmente di memoria e vivrà, quale che sarà il futuro, finché coltiverà la sua memoria particolare: se questo è vero, oseremmo dire che dal destino della memoria del genocidio e della diaspora armena di primo Novecento dipenderà anche, e non in misura minore, l’orizzonte e il destino della Mitteleuropa di domani.

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