Il nuovo film su Pio XII




Esistono degli argomenti riguardanti la vita della Chiesa nella storia recente che, per quanto si smentiscano in tutti i modi e in tutte le salse, alla fine ritornano sempre sicché si può senz’altro affermare che il famoso motto di Voltaire, in realtà un’invettiva, cioè “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà” (“Calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose”) continua a fare proseliti. Prendete la leggenda che vuole Papa Pio XII neutrale, se non addirittura ‘simpatizzante’, nientemeno che con Adolf Hitler e il nazionalsocialismo: per quanto sia stata confutata da testimoni coevi dei fatti, da sopravvissuti e da storici la leggenda nera – perché di questo poi si tratta – continua ad essere creduta e trasmessa di generazione in generazione come se fosse una cosa ovvia. Della serie: ‘chi mai non sa che Pio XII fu il Papa di Hitler?’. E’ quindi con particolare piacere che recensiamo – dopo le valanghe di libri usciti negli ultimi anni sull’argomento – anche il nuovo film scritto e diretto dall’italiana Liana Marabini proprio sulla complessa vicenda del pontificato di Pacelli negli anni della Seconda Guerra Mondiale che sono poi quelli dell’occupazione nazista di Roma, della persecuzione contro gli ebrei e delle deportazioni nei campi di concentramento: Shades of truth (“Sfumature di verità”). Presentato in anteprima mondiale nei giorni scorsi e in progetto di essere portato a Cannes, il film vede la partecipazione di attori non da poco del calibro, tra gli altri, di Christopher Lambert, Giancarlo Giannini e Remo Girone. La storia si dipana attorno alla figura fittizia di un giornalista ebreo – David Milano – che all’inizio riassume in sé un po’ tutti i pregiudizi e i luoghi comuni più diffusi attorno alla figura di Pacelli per poi metterli in discussione ad uno ad uno grazie alla conoscenza di varie persone (anche e soprattutto ebree, come lui) soccorse e salvate proprio da Pio XII. Così la pellicola è l’occasione per rivedere – finalmente con serenità – non quello che non è stato fatto o nel regno delle probabilità del terzo tipo avrebbe potuto farsi tra il 1940 e il 1945 per salvare tutti i perseguitati dalle dittature ma – concretamente – quello che è stato fatto e quelle persone reali – in carne e ossa – che sono state salvate grazie allo sforzo della Sede Apostolica. Si tratta quindi di una storia che, tanto per cominciare, inizia ben prima della Seconda Guerra Mondiale, almeno dall’enciclica Mit Brennender Sorge – l’unica della storia della Chiesa scritta interamente in tedesco – pubblicata da Pio XI nel 1937 per denunciare la situazione religiosa all’interno del Terzo Reich ma formulata e redatta in buona parte proprio dall’allora Cardinale Pacelli che, precedentemente, per dodici anni, era stato Nunzio in Germania e conosceva molto bene quella realtà.

Come conosceva, già fin dalla sua giovinezza, la realtà del mondo ebraico, per il semplice fatto che due dei suoi migliori amici a scuola erano proprio ebrei. Da Papa cercò dunque di aiutare come potè: facendo aprire le porte dei conventi e delle chiese, moltiplicando le aree e gli edifici sotto ‘tutela vaticana’ dichiarandoli proprietà della Santa Sede – e quindi al riparo da eventuali persecuzioni – anche quando non lo erano, ospitando intere famiglie a Castel Gandolfo, chiedendo e ottenendo da altri Paesi passaporti, visti e lasciapassare per l’estero (nel film si cita l’‘alleanza’ con l’ambasciata portoghese a Roma). Fu proprio grazie a quest’opera sommersa ma reale che alla fine oltre 4000 ebrei solo a Roma ebbero salva la vita: alcuni si convertirono persino – tra cui il Rabbino Capo in persona della comunità capitolina, Israel Zolli, caso rimasto celebre – altri rimasero comunque perennemente grati, ivi comprese parecchie personalità di fama mondiale: da Golda Meir ad Albert Einstein. Il film, in poco più di un’ora e mezza cerca di dire – a grandi linee – tutto questo, in modo piuttosto semplice narrativamente – a volte persino troppo – e riuscendo a trovare il tempo – per non farsi mancare nulla – anche per una delicata storia d’amore con lieto fine del protagonista. Il tentativo è quindi senz’altro positivo e il messaggio dell’opera pienamente apprezzabile: da parte nostra auguriamo alla pellicola decisamente il meglio, sia al botteghino che al vaglio della critica. Resta tuttavia qualche perplessità sulla qualità complessiva del prodotto che – nonostante il cast – non pare all’altezza di altre produzioni per il grande pubblico, anche recenti. Non parliamo qui dei kolossal stile Mel Gibson o Zeffirelli, per carità, ma in certe scene il film lascia trasparire una certa trascuratezza nella rappresentazione degli ambienti che francamente sorprende vista l’idea di fondo che lo sostiene, come pure nella struttura complessiva dei dialoghi, dove forse per esigenze di spazio, o anche di tempo, si assiste a degli scambi di battute quasi sempre rapidi se non estremamente superficiali, col risultato che il carattere dei personaggi viene appena accennato, ma mai approfondito compiutamente, prestandosi all’obiezione che le varie figure restino delle macchiette astrattamente stilizzate senz’anima. Si dirà che non è questo che conta, vista la reale intenzione del film, e che tutto è sempre e comunque perfettibile. Però, visto che si tratta di un film su un Papa già piuttosto denigrato e dai mass-media molto poco amato, magari una maggiore attenzione agli aspetti anche formali dell’opera non avrebbe fatto male. Giusto per non farsi dire – e sarebbe ormai l’ennesima volta, ad abundantiam – che i cattolici per fare dei film veramente belli, e non solo semplicemente ‘spirituali’, devono farsi aiutare sempre dagli altri, protestanti, ebrei, atei o agnostici che siano.

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