Il Mein Kampf in Germania




La notizia della settimana mitteleuropea questa volta arriva dalla Baviera tedesca dove l’Istituto di Storia Contemporanea, allo scadere dei diritti d’autore, che erano stati precedentemente congelati dalle Autorità Pubbliche, si è aggiudicato la possibilità di ristampare nientemeno che il Mein Kampf di Adolf Hitler che in Germania non circolava (almeno ufficialmente) dal 1945. Come era ovvio, la decisione – giacché tra l’altro l’istituto gode tuttora di finanziamenti statali – ha scatenato una selva di polemiche incandescenti. Allarmate e giustamente indignate le reazioni delle comunità ebraiche locali e di altre autorità religiose, più aperturiste invece le posizioni di alcuni storici, curiosità per alcuni, soprattutto giovani e giovanissimi, ancora rabbia per altri, mentre i giornali al solito tutti contenti della nuova rissa che divide (?) il Paese (per ora fortunatamente solo a livello verbale) rilanciano i più provocatori e sensazionalistici sondaggi nazionalpopolari. Che cosa pensarne? In realtà, la risposta alla questione potrebbe essere più difficile e complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista così su due piedi. Nella ripubblicazione e dunque la diffusione sul libero mercato di un’opera del genere s’intersecano in effetti oggettivamente diversi temi sensibili: anzitutto quello più immediato ed evidente della conservazione e della difesa della memoria pubblica, che non solo in Germania ma in tutta Europa è stata particolarmente segnata dalla figura di Hitler e da quel libro in particolare. Quindi, però, subito dopo, quello della censura di Stato e della vigilanza preventiva sulla libertà di espressione su temi fondamentali della storia recente. Paradossalmente il sessantottino ‘vietato vietare’, autentico paradigma dell’ultima rivoluzione d’Occidente, qui all’improvviso non varrebbe più. D’altra parte, è ovviamente chiaro che non si può dare certo un libro del genere in mano al primo passante, magari poco scolarizzato, senza dire nulla. Ma da Monaco fanno sapere che proprio per questo la nuova edizione supererà addirittura le 2000 pagine: il testo integrale di Hitler cioè, sarà solo una parte dell’opera, e nemmeno la più ampia perché verrà preceduto, accompagnato e seguito da un voluminoso apparato critico-testuale di note a piè di pagina, prefazioni e postfazioni varie di ricercatori, studiosi e chi più ne ha più ne metta, per essere sicuri che non ci siano fraintendimenti possibili. Tuttavia, apparentemente, nemmeno questo basta: quel testo per alcuni non deve mai più circolare, in nessun modo. Come al solito, nella confusione massmediatica si perde poi la ragione cosicchè quasi nessuno ha ricordato che l’opera fu pubblicata in passato già dal Times (!) a puntate e che comunque pure adesso circola praticamente in tutto il mondo, basta solo mettersi a cercarla seriamente. Qui, però, si ribatte ancora, siamo in Germania: Hitler anche se austriaco di nascita era tedesco, l’Olocausto è stato ideato in Germania e i campi di concentramento sono stati organizzati perlopiù in Germania.

Insomma, la questione non si risolverà a breve e, comunque la si consideri, presenta mille sfaccettature contrastanti. Il primo dovere è imprescindibilmente la memoria rispettosa delle vittime di allora (che nel libro peraltro vengono ripetutamente derise e oltraggiate con espressioni talora irriferibili) eppure c’è chi ha motivato proprio con questa ragione il suo supporto all’iniziativa; proprio perché cose del genere non si ripetano più è necessario farle leggere e spiegarle, si dice in questo caso, soprattutto ai più giovani e alle generazioni di domani: tutti devono sapere che razza di farabutto criminale è stato colui che si faceva chiamare il ‘Führer’. D’altra parte si potrebbe obiettare se a questo punto, nonostante le buone intenzioni, non si finisca per incoraggiare o favorire in tal modo nuovi emuli, giacchè come noto la madre degli idioti è sempre incinta. E poi c’è ancora chi invece sostiene che se Hitler è stato il Male assoluto, beh, allora con il male non si scende mai a patti, diciamo così, neanche per ascoltare le sue deliranti farneticazioni. Come se non bastasse, tutto questo accade giusto a poche settimane dai fatti di Parigi dove l’attacco a Charlie Hebdo ha riportato sulle prime pagine dei principali quotidiani europei il tema delicato della libertà di espressione, i suoi contenuti da tutelare e i suoi limiti. Fino a dove si può arrivare con la satira? È stata la domanda che tutti si sono posti. Qui potrebbe essere: fino a dove si può arrivare con i temi delle ideologie totalitarie del passato? Basta semplicemente dire che visto che ormai il Tribunale della Storia le ha condannate, possiamo fare spallucce e disinteressarcene? E poi c’è sempre la questione dell’eguale trattamento: quello che vale per Hitler lo si applica anche ad altri o lì scattano altri tipi di considerazioni? E’ noto, ad esempio, che negli anni Trenta durante l’Holodomor tra i collaboratori di Stalin vu fu chi incitò al cannibalismo le popolazioni oggetto di tortura e persecuzione: ha senso oggi riproporre quei discorsi o è meglio riservargli sic et simpliciter la spazzatura più immonda che si meritano? Perché c’è anche chi sostiene che sarebbe troppo comodo cavarsela così: si afferma sbrigativamente che nazisti, comunisti e razzisti erano tutti dei pazzi scatenati fuori di testa e così il confronto è terminato ancora prima di cominciare. E avanti con il prossimo argomento, prego. No, troppo facile così, si dice. Insomma alla fine non è affatto facile prendere una posizione che possa essere poi condivisa il più ampiamente possibile in pubblico.

Molto altro si potrebbe ancora aggiungere e in questa rubrica lo spazio non c’è. Abbiamo solo cercato di suggerire, tuttavia, che a nostro avviso la questione è davvero straordinariamente complicata e rifugge da facili schematismi, vuoi in un senso, vuoi nell’altro. Censurare un libro, per quanto disdicevole, di per sé non è mai un bel segnale. Certo ci sono libri e libri e c’è anche una censura buona, tuttavia la storia passata e recente dimostra pure che di solito la censura finisce col favorire involontariamente proprio la massima diffusione di quel libro: la gente lo cerca proprio perché è censurato e tende istintivamente a simpatizzare con la ‘vittima’ della repressione di Stato, persino, forse, quando questa si chiama Adolf Hitler. Accadesse davvero questo, non c’è bisogno di aggiungerlo in questa sede, sarebbe veramente il colmo dei paradossi.

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