Sta arrivando l’estate. Il lungomare di Barcola, nei giorni di sole, già si affolla di gente di ogni età che sfida audacemente l’acqua ancora molto fredda del mare. Maggio, ma prima ancora aprile, sono i mesi di preparazione alla cosiddetta “prova costume”. Pochi sfuggono a questo passaggio obbligato, sorta di iniziazione ad uno status fisico e psicologico all’insegna del benessere e soprattutto della bella apparenza.
Le più frequentate erboristerie della nostra città, un tempo piccoli antri adorni di teiere, tisane e unguenti profumati e curativi, esibiscono in vetrina e mettono in bella vista all’ingresso soprattutto prodotti snellenti, rassodanti, drenanti e tonificanti.
Anche le farmacie seguono la medesima tendenza e ormai gli spazi riservati a creme miracolose contro l’invecchiamento e la pinguedine e a indumenti super-elasticizzati da indossare giorno e notte per modellare il corpo occupano gran parte dello spazio. Appena si entra, una graziosa signorina sorridente ti propone qualche nuovo prodotto per la bellezza e ti promette risultati miracolosi. Anche se non hai alcuna preoccupazione relativa al tuo aspetto, le sue parole ti mettono in allarme e ti fanno venire complessi e ossessioni che non hai mai avuto. Il mare ti aspetta, forse qualche pasto sostitutivo a base di alghe e un buon impacco di fanghi del Mar Morto, con il supporto di sciroppi diuretici e di compresse anti-fame (tutto rigorosamente naturale e privo di effetti collaterali), potrà darti un valido aiuto nel superare l’imbarazzo del primo bagno di sole e di mare. Anzi, già che ci sei, sarebbe bene pensare anche a un prodotto abbronzante, così nessuno si accorgerà della tua pelle perlacea e lattescente (e dire che un tempo il candore della pelle era un ricercatissimo segno di avvenenza).
Viene poi il discorso delle palestre e dei corsi di ginnastica che si vanno moltiplicando ad un ritmo vertiginoso. Nonostante si parli tanto di crisi, a Trieste si continuano ad aprire palestre – oltre a frequentatissimi solarium e centri di estetica. Questi luoghi, a mio avviso veri e propri laboratori di torture volontarie, anche in tempi amari di disoccupazione e di angoscia non sono mai vuoti, come, tanto per fare un esempio, i negozi di libri o le stesse biblioteche. Qualche mese fa si parlava di una colossale palestra da edificare all’inizio di Viale XX settembre: un unicum nel suo genere, con annessi alla sala pesi bar, ristorante, piscina, vasche per idromassaggio e un équipe di specialisti del progetto “più sani, più belli” paragonabili ai personal trainer dei divi holliwoodiani. Per non parlare dei corsi nuovi di zecca che combinano, o meglio pasticciano tra di loro, yoga, danza latino-americana, arti marziali e persino l’arte della risata (esiste infatti anche uno yoga della ristata che richiede polmoni sufficientemente attrezzati per un’ora o più di risate a crepapelle). Sono corsi molto costosi, ma la crisi non li ha ancora toccati. Ci sono ginnasti che si muovono tutto il giorno, saltando da un campo di tennis a una palestra, dalla palestra alla piscina, dalla piscina alla scuola di samba o di danza del ventre.
E poi si apprende dalle ultime indagini statistiche che gran parte della gente, in Italia, nel corso dell’anno prende in mano forse un libro e neanche per leggerlo, ma per spolverarlo o portarlo in cantina.
Nessuno sa più che cos’è il digiuno, quello vero, legato ad un significato non solo corporeo ma anche spirituale. Si parla di dieta, ma non più del digiuno di ascesi e purificazione. Chi conosce più la straordinaria avventura dei Padri del deserto, con i loro pasti a base di verdure cotte, legumi e pane, la loro preghiera incessante, la loro meditazione ininterrotta: non disprezzavano il corpo, anzi lo sublimavano, lo conducevano alla sua intima armonia tra materia e spirito. Tra meditazioni e orazioni continue, inframmezzate da quaranta flessioni eseguite più volte al giorno, l’eremita rendeva il proprio corpo leggero e duttile come cera: questa cera, riscaldata e ammorbidita dal dolce fuoco della devozione, si prestava agevolmente ad essere modellata e plasmata secondo i principi della purezza, della bellezza e dell’armonia. Tutto veniva ricreato secondo la misura della verità.
Oggi non si cerca né si ascolta più la verità, ma la vanità. Ad essa si sacrifica tutto e tutto si dedica. Il fine primario è il vuoto apparire. Ho scelto l’abusato aggettivo “vuoto” per accentuare la povertà di questo obiettivo oggi dominante. Infatti l’apparire non ha nulla di squalificante in se stesso: in una visione più ampia e profonda delle cose, questa forma del nostro esistere è una delle dimensioni dell’essere. Come suggeriva don Divo Barsotti in una delle sue meditazioni, tutto appartiene a Cristo nella nostra giornata, anche la cura del nostro aspetto e del nostro vestire. La grande differenza rispetto ad un fatuo apparire risiede nel fine: vivere tutto nel segno dell’armonia, dell’essenzialità e della sobrietà, oppure vivere tutto nel segno della vanità esibita, perseguita ed eletta a motore primo di ogni nostra azione. Spostando il baricentro dalla seconda alla prima opzione, forse vivremo l’estate più serenamente e, a seguire, anche l’autunno, l’inverno e la primavera, imparando a volgere lo sguardo fuori da noi stessi, lontano dallo specchio in cui Narciso perse la vita
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