“La patria, la legge, la fede, l’onore è fumo che chiamano amore”
Nella canzone: “Ballata per l’ultimo nato”, Pierangelo Bertoli (1942-2002) esprimeva tutto il livore ateo e comunista contro il “potere” che determinava, secondo lui fin dalla nascita, la vita dell’uomo: «Se il vescovo parla in un giorno di festa tu devi chinare la testa. Per il tuo padrone, per il tuo signore sei merce di scarso valore. Sei forza lavoro, dai piedi alla chioma, sei solo una bestia da soma».
Il cantautore emiliano ha sempre evidenziato, nei suoi brani, testi pieni di riferimenti politici e aggressivi anche dal punto di vista di critica sociale, come nella celebre “Eppure soffia” del 1976: «Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale (…) ha ucciso, distrutto, bruciato in un triste rosario e tutta la terra si è avvolta in un nero sudario». Quel vento rivoluzionario che, nonostante il controllo sociale, “eppure soffia” è stato abbracciato fin dai primi anni ’70, quando il cantautore nativo di Sassuolo aderì all’Unione Comunisti Italiani Marxisti-Leninisti e fondò, con altri, il Canzoniere Nazionale del Vento Rosso. Affetto da poliomelite sin dall’infanzia, Pierangelo Bertoli ha gridato con la chitarra dalla sedia a rotelle tutta la sua rabbia, come nel brano emblematico “A muso duro” del 1979: «Ho sempre odiato i porci e i ruffiani e quelli che rubavano un salario, i falsi che si fanno una carriera (…) canterò le mie canzoni per la strada ed affronterò la vita a muso duro, un guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro». Dichiaratamente comunista, ha sempre attestato la sua militanza irreligiosa con queste testuali e semplici parole: “Sono anticattolico”.
Nella canzone: “Varsavia” del 1984, polemizzava ed attaccava in modo violento la Chiesa e il Papa polacco: «Sull’altare c’è una madonna nera, ma è la mano del minatore bianco, che ha firmato cambiali alla fede di un mondo, sulla pelle di un popolo già stanco, stanco marcio di chiesa e di profeti, perché a stare in trincea sono gli uomini normali, non i vescovi e neanche i cardinali». Peccato, per lui, che di lì a qualche anno, nel 1989, il popolo polacco esprimesse ben altri sentimenti e ben altra fede! Persino il rintocco delle campane lo infastidivano al punto da dedicare una canzone (“Campane” del 1983): «Quando infine cambia il tempo, quando torna il momento, suonerà in un altro mondo un’altra musica. Cupi bronzi di tempesta senza dignità a torturare i tuoi ricordi».
Quest’odio viscerale lo aveva precedentemente avvicinato alle canzoni anarchiche, alle ballate politiche del passato fino alla conoscenza e alla simpatia per la sinistra extraparlamentare. Nella canzone: “Il centro del fiume” del 1977, Bertoli inveiva contro il conformismo tiepido borghese, invitandolo ad aprire gli occhi e prender parte alla lotta: «Consumi la vita sprecando il tuo tempo prezioso, raggeli la mente in un vano e assoluto riposo (…) fai parte di un gregge che vive ignorando il domani e dormi nel centro del fiume che corre alla meta. Qualcuno ti grida di aprire i tuoi occhi nebbiosi ma tu preferisci annegare in giorni noiosi». Anche nella sua partecipazione al Festival di Sanremo del 1991 (“Spunta la luna dal monte”) non ha lesinato allusioni rivoluzionarie e libertarie: «Dovunque cada l’alba sulla mia strada senza catene, vi andremo insieme…».
Cantando si impara con Pierangelo Bertoli a valorizzare la lotta (che non è però lotta di classe) ed il bene (che non è quello comunista, ma cristiano). Cantando si impara il realismo dell’approfittare del tempo che ci è concesso di vivere, non come lo intendeva Bertoli nel brano: “Certi momenti” del 1980: «Anna che hai scavalcato le montagne e hai preso a pugni le tue tradizioni (…) i padri han biasimato la tua azione, la chiesa ti ha bollato d’eresia…». Si impara ancora a privilegiare ogni colore, e non solo quello rosso, come attestato dall’omonima canzone (“Rosso colore”): «Noi ci unimmo e poi scendemmo per le strade per lottare, per respingere l’attacco del padrone…».
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