È attivo a Bologna “W l’amore”, ennesimo psico-pacchetto per le scuole, analogo al “Gioco del rispetto” triestino. La Chiesa si è già espressa su iniziative di questo tipo. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, ha parlato di «pazzia», in riferimento alla «teoria del gender», sulla quale si elaborano i pacchetti. Papa Francesco, durante la recente visita a Napoli, è stato altrettanto chiaro: la teoria del gender è «uno sbaglio della mente umana, che fa tanta confusione». È giusto, quindi, parlare d’idea sbagliata, d’ideologia del gender.
I «seri professionisti» la buttano in burletta
Nel frattempo gli ideatori dei giochi e dei pacchetti non rispondono a chi domanda una qualche spiegazione o, se rispondono, lo fanno in maniera polemica, cercando di mettere in ridicolo l’interlocutore, da loro visto come un pericoloso avversario. Il Consiglio regionale (Fvg) dell’Ordine degli Psicologi, ad esempio, invece di chiarire cos’è il gender e cos’abbia a che fare con la violenza sulle donne, tramite un comunicato, commina etichette ai malcapitati critici del “Gioco del rispetto”: «pseudo professionisti» – li chiama – «che si improvvisano esperti in adolescenza», i quali, «per promuovere un tam tam mediatico» e «per darsi luce», avrebbero parlato «inadeguatamente», senza informarsi «sui fatti circa la veridicità e obiettività dell’informazione o la scientificità» del Gioco. Chi, invece, sarebbe deputato, in via esclusiva, a parlare in modo adeguato di educazione ai ragazzi? Ovviamente loro stessi – gli Psicologi iscritti all’Ordine – che si autopromuovono «seri professionisti». I soli che fanno le cose «in scienza e coscienza, guidati, orientati e governati da un codice deontologico attento e severo». Gli altri no, sono solo incompetenti.
Il mantra, però, che questi «seri professionisti» propongono è un diktat indimostrato, ripetuto a cadenza compulsiva: bisogna superare gli «stereotipi di genere», bisogna conoscere la «natura della violenza di genere», bisogna saper applicare i «ruoli di genere», bisogna tenere conto della «disuguaglianza di genere». Bisogna. E, attraverso tali prassi, violenze e bullismi sarebbero di colpo contrastati. Perché? I «seri professionisti» non lo spiegano, né qui né altrove, perché lo danno per assodato. Si limitano a volte, con fare rassicurante, a dire che esistono a proposito «seri studi» o «ricerche», di cui però non specificano i contenuti e le fonti.
Una teoria equivoca e indimostrata
Si dovrebbe dunque – il genitore dovrebbe – seguire la strada della rassegnazione e consegnare l’educazione nelle mani degli psicologi, in quanto «seri professionisti». Ma il «genere» o «gender» – ormai lo si comprende – è un’ideologia, sotto vari aspetti. Innanzi tutto è tipico dell’ideologia nascondere e confondere le idee attraverso il linguaggio. L’uso stesso del termine «genere» o «gender» è intenzionalmente occultativo, poiché non c’è un riferimento immediato al sesso e alla sessualità. Si vuole, cioè, occultare un’illegittima manovra di rimozione e sostituzione: il genere maschile o femminile non dev’essere più considerato a partire dalla realtà biologica – per cui si nasce maschi o femmine, anatomicamente e psicologicamente, al netto delle patologie – ma si sceglie liberamente l’identità sessuale, che diviene (a parere dei «seri professionisti») un puro condizionamento esercitato dalla società.
Occultamento a parte – e questo è un altro aspetto discutibile della teoria – non c’è alcuna prova scientifica del fatto che il sesso non sia un dato biologico, ma una categoria sociale. Non c’è alcuna prova certa che la società abbia creato gli «stereotipi di genere», per i quali le bambine giocano volentieri con le bambole e i bambini con il pallone. Non c’è alcuna prova inoppugnabile nel merito, nonostante gli studi di genere di Judith Butler o di altri «seri professionisti». Ci sono argomenti, teorie, osservazioni, indagini, ma nessuna prova che superi il dato biologico e psicologico immediato, evidente. La questione non è che la Butler contrasti Freud, quanto al lesbismo e all’innatismo del genere, ma che la teoria della Butler divenga un assoluto, una certezza, laddove in psicologia (come in ogni altra scienza) non esistono certezze immutabili.
Rieducazione imposta e non proposta
La questione è pure che teorie come la Queer Theory o la performatività di genere debbano sì essere prese in seria considerazione, spiegate e proposte ai genitori. Questo però non avviene. Le teorie e i relativi “giochi”, su di esse fondati, sono imposti o vorrebbero essere imposti alle scuole, senza troppo spiegare, senza troppo informare. Subdolamente. Un altro aspetto, infatti, per cui il genere va visto come il pretesto per imporre un’ideologia, è dato dal termine «stereotipo di genere». Si dice a ripetizione che lo stereotipo imposto dalla società dev’essere superato, ma non si spiega cos’è uno stereotipo e men che meno perché mai il superarlo costituirebbe un bene per l’individuo e la società. Non lo si spiega poiché si vuole indottrinare il bambino sul fatto che la predilezione per le bambole o per il gioco del calcio non è istintivo, ma è un condizionamento artificiale della società sul minore. Anche in questo caso non vengono forniti fonti, studi o ricerche da parte dei «seri professionisti», che si aspettano un’adesione entusiasta e acritica ai progetti.
Ci si chiede, a questo punto, se mai i «seri professionisti» summenzionati si degneranno di scendere dal piedistallo su cui si sono posizionati, per rispondere almeno ai genitori. Diceva Pier Paolo Pasolini: «Dovranno pur rispondere, prima o poi, alla ragione con la ragione, alle idee con le idee, al sentimento con il sentimento».
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