Conferenza sulla teoria del gender in provincia di Udine. L’omosessualismo coatto nei progetti contro il bullismo omofobico.

Il germe dell’ideologia contagia il Friuli Venezia Giulia




Quello che non va giù a molti genitori e insegnanti è che i programmi pro-gender, introdotti nelle scuole pubbliche, siano curricolari e, quindi, obbligatori. “A scuola per conoscersi”, “Il Gioco del Rispetto”, “Progetto Porcospini”: con il pretesto della lotta al bullismo omofobico, questi corsi veicolano le dottrine omosessualiste di sessantottini e post-sessantottini, ai danni di bambini e adolescenti non ancora formati. Se n’è parlato il 15 aprile scorso, all’incontro “Educazione e sessualità: facciamo chiarezza”, presso il Centro “Franco Sgarban” di Ara Grande (Udine).
Due genitori e un insegnante hanno portato le loro esperienze, segnate proprio dalla delusione per non avere ottenuto chiarificazioni adeguate dai promotori dei nuovi programmi scolastici. Di domande ne hanno fatte, ma di risposte ne hanno avute poche e confuse.

“È l’Europa che ce lo chiede”

Gianluca Stocchi, genitore e formatore, di dubbi su queste iniziative ne ha molti. Perché la sessualità che s’insegna nei corsi è spesso scollegata dai sentimenti e da un progetto di vita stabile? Perché è prevista la “peer education” (educazioni tra pari), per cui i ragazzi hanno come docenti altri ragazzi, con una preparazione del tutto insufficiente? Perché da dieci anni si fanno interventi nelle scuole secondarie per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili senza studi sull’efficacia di questi percorsi? Perché la maternità è sempre presentata come un inconveniente e la contraccezione, invece, come la via privilegiata del sesso? L’impostazione di questi corsi favorisce la promiscuità. In particolare – spiega Stocchi – «nei progetti la continenza non esiste e nemmeno il dominio su se stessi», ma viene trasmessa una falsa certezza sull’efficacia del condom.

L’infinita gamma delle scelte sessuali

L’insegnante Roberto Castenetto lamenta l’estremo clima di segretezza dei progetti: i materiali difficilmente sono resi pubblici. Nello specifico, “A scuola per conoscersi” è un corso brevissimo. In sole due ore sono sviscerati concetti che richiederebbero ben altri approfondimenti. Le teorie legate al gender, infatti, sono assai articolate e coinvolgono svariate discipline, dalla psicologia alla sociologia, dalla filosofia all’antropologia. In comune c’è la nota scissione tra natura e cultura, per cui il sesso biologico non coincide con il genere sessuale. S’induce nell’adolescente – dice Castenetto – l’idea o la convinzione «che non siamo mai uguali a noi stessi», ma piuttosto persone che si costruiscono liberamente nel tempo. Il cuore del concetto di gender potrebbe essere colto, ad esempio, nel test “Genderbread Person”, nel quale si può individuare il proprio genere in mezzo ad un’infinita varietà, ai cui estremi c’è il maschile puro e il femminile puro. Castenetto è critico anche verso le altre due ore del corso a cura di ragazzi gay, dedicati a «far venire meno i pregiudizi». Durante questo periodo gli insegnanti sono addirittura obbligati ad uscire. La scuola, insomma, è diventata a tutt’oggi «terra di conquista», mentre la grave questione del bullismo tra giovani continua a restare irrisolta, proprio perché considera le sole vittime omosessuali.

Un clima omertoso

Amedeo Rossetti, il genitore di Trieste che ha segnalato a livello nazionale la radice pro-gender de “Il Gioco del Rispetto”, ha riassunto la sua vicenda, evidenziando le contraddizioni interne a progetti di questo tipo. I genitori non sono preventivamente informati dei contenuti che, anzi, vengono occultati nelle parti più imbarazzanti. Nel “Gioco”, solo per indagine privata i genitori scoprono che i bambini «possono riconoscere che ci sono delle differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell’area genitale». E solo dopo aver visionato le schede si accorgono che viene inculcata la cancellazione delle differenze tra maschi e femmine. Così anche scoprono che le voci dei loro figli saranno registrate e filmate le attività didattiche.
Il genitore ignaro – prosegue Rossetti – firma sbadatamente l’iscrizione alla scuola per i propri figli, senza accorgersi di firmare pure l’autorizzazione alle riprese filmate, nonché all’ingresso ad «interventi esterni di associazioni», che potrebbero essere l’Arcigay o l’Arcilesbica. In effetti, queste associazioni si trovano le porte spalancate: «Dove sono le famiglie? Dove sono i genitori?» – si chiede Rossetti. Se non educa la famiglia – osserva – lo farà qualcun altro. Amedeo Rossetti ha fatto poi una disamina del “Progetto Porcospini” e dei pacchetti a cura della Centrale ministeriale tedesca per l’educazione alla salute e di autori come Uwe Sielert e Frank Herrath. Cambiano i nomi, ma non i contenuti: bambini nudi che fanno la doccia, che si masturbano, che s’interessano ai genitali, che si scambiano ruoli maschili e femminili o che cantano «mi piace leccarti nell’orecchio».

Il gender introdotto subdolamente dalla politica

Era presente all’incontro anche Barbara Zilli, Consigliere regionale, che ha confermato la grande «omertà su questo tema» in Fvg. Quello che stiamo vivendo nelle nostre scuole – dice la Zilli – «è qualcosa di molto pericoloso». In seno al Consiglio regionale l’«attenzione è stata banalizzata da parte della maggioranza di governo», mentre «la mia azione – osserva – assieme a quella di altri miei colleghi va in tutt’altra direzione». La presidenza del Consiglio regionale continua a ripetere che «il gender non esiste» e che «gl’insegnanti sono liberi d’insegnare e di scegliere i loro programmi».
C’è allora – continua la Zilli – «un disegno evidente e subdolo che vuole portare all’omologazione dei sessi». S’inserisce così nei testi «il germe di un’ideologia che sta dilagando nel mondo e che sta facendo gl’interessi non delle persone, ma delle multinazionali, che vogliono vendere certi prodotti».

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