Il film su padre Leopoldo




E’ uno dei Santi di prima grandezza di un secolo – il Novecento – che pure solitamente tra i più passa per essere un secolo in generale avaro di santità.  Amatissimo tuttora a Padova, dove svolse gran parte del suo ministero sacerdotale e dove è sepolto, nato nell’attuale Montenegro, ma di origini dalmate e quindi croato alla nascita (quando fu battezzato col nome di Bogdan Ivan), di cittadinanza austriaca (che mantenne fino al crollo dell’Impero asburgico nella Grande Guerra), padre Leopoldo Mandic (1866-1942) è diventato ormai un’icona del cattolicesimo mitteleuropeo. Canonizzato negli anni Ottanta da Papa Giovanni Paolo II che lo indicò come modello per i confessori,  la sua figura indimenticabile torna oggi d’attualità per l’imminente inizio del Giubileo straordinario – di cui è stato dichiarato Santo Patrono – indetto da Francesco e che sarà dedicato proprio alla misericordia e al ministero della penitenza e della riconciliazione. E così saranno proprio le sue spoglie mortali, insieme a quelle di un altro religioso cappuccino amatissimo, Padre Pio da Pietrelcina, ad essere solennemente esposte in San Pietro alla venerazione pubblica di tutti i fedeli nel corso del prossimo Anno di Grazia. Il motivo per cui ne parliamo questa settimana, però, non è legato solo al Giubileo e a quel che ne verrà, ma alla notizia uscita nei giorni scorsi per cui il regista Antonello Belluco – reduce dal politicamente scorrettissimo Il segreto di Italia,sulla strage partigiana di Codevigo, uscito tra mille ostacoli e contestazioni l’anno passato– sta preparando una pellicola proprio sul religioso dalmata su mandato diretto degli attuali confratelli triveneti di padre Leopoldo. La sfida non sarà facile perché fare un film di qualità – cioè, che  ‘almeno’ si possa guardare tra persone normali, diciamo – su un Santo non è mai cosa facile: lo dimostra abbondantemente il livello medio della cinematografia agiografica nostrana che è mediamente imbarazzante, a voler essere buoni. Qui, poi, c’è il problema ulteriore del soggetto attorno a cui cucire la trama: un umile frate, schivo nel temperamento e piuttosto dimesso nell’aspetto, che ha passato quasi tutta la sua vita – letteralmente, non metaforicamente, talora fino a 16 ore consecutive al giorno – nel metro quadrato di un confessionale, assolvendo, ascoltando e consigliando i fedeli che si recavano da lui. Non ci sono stimmate da mostrare, o visioni particolari, né episodi sensazionali che possano aiutare regista e sceneggiatori. Tutto, nella sua vita religiosa, fu – se ci passate l’espressione ridondante – ‘ordinariamente ordinario’. Eppure, alla sua morte la folla che gli rese omaggio nella chiesa padovana di Santa Maria dei Servi – il suo convento era già considerato troppo piccolo per la circostanza – fu semplicemente impressionante e qualcuno dice che già allora accadde quello che vedemmo poi in mondovisione con le esequie di Giovanni Paolo II: le grida di “Santo subito” da parte dei fedeli. Può essere forse questa una scena da cui partire per accattivarsi almeno nei primi minuti l’attenzione degli spettatori più scettici, chissà. In ogni caso da buoni mitteleuropei assicuriamo fin d’ora il nostro interesse anche perché – diversamente da padre Pio, e da tanti altri volti oggi più famosi e celebrati della devozione popolare cristiana – nel caso di padre Leopoldo si tratta del primo film mai realizzato.

E forse anche per questo la sua figura resta oggetto di un fascino misterioso che non cessa di attrarre curiosi e spiriti irrequieti in ricerca, non di rado intellettuali, proprio come accadde in vita, quando alla sua direzione spirituale ricorsero fior di studiosi, aristocratici e accademici. La si può rigirare come si vuole ma c’è poco da fare: alla fine alla gente più delle chiacchiere, per quanto colte, interessano i testimoni diretti di Dio perché in definitiva sono i Santi, come disse una volta Benedetto XVI, insieme al patrimonio di bellezza generato nella storia, la prova apologeticamente più convincente della verità cattolica. Se siamo un pò onesti con noi stessi, tutti quanti, credenti o meno, quando ci troviamo di fronte ai raggi di luce soprannaturale che traspaiono naturalmente in modo abbagliante dalle vite dei Santi ci sentiamo infinitamente piccoli e come dei bambini. Possiamo forse reputarci superficialmente superiori su una particolare competenza o sapere tecnico-specialistico ma quando si tratta di quell’unicum che veramente conta in assoluto, ovvero l’aderenza intima alla verità delle cose e alla carità che non ha limiti, sentiamo istintivamente che anche noi dovremmo avvicinarci a quel livello: rimanendo ognuno al suo posto, certamente, ma senza fingere che siamo soddisfatti così perché senza avere colmato la sete d’infinito riversata fin dall’inizio nei nostri cuori – per dirla con un Salmo – sarà ben difficile che lo saremo realmente. Speriamo che il film su padre Leopoldo – un testimone privilegiato della misericordia di Dio, di cui ultimamente peraltro sui mass-media si parla e straparla a sproposito – tutto questo ce lo faccia vedere realmente e, d’altra parte, in una civiltà oramai dominata dall’immagine come la nostra, sarà pure il caso che la ‘nuova evangelizzazione’, se vuole essere veramente efficace, soprattutto tra giovani e giovanissimi, riconquisti finalmente anche quegli spazi della cultura dell’immagine e dell’intrattenimento più popolare che hanno invece perso del tutto (non da oggi, s’intende) il legame centrale per il Cristianesimo tra la contemplazione di Dio come fonte originaria del bello e la bellezza come dimensione buona dell’esistenza.

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