Per il Consiglio di Stato le “nozze gay” non sono solo giuridicamente nulle, ma “inesistenti” perché mancano di un elemento essenziale: “la diversità di sesso dei nubendi”.

Il Consiglio di Stato: o maschio e femmina oppure niente matrimonio




È innegabile che la pressione, mediatica, politica, lobbistica, esercitata sulla società e gli organi legislativi al fine di imporre il così detto “matrimonio gay” sia sempre più forte, in Italia e, in generale, in tutto l’Occidente. Molti sono i Paesi dove la strategia messa in atto dalla lobby omosessualista ha già raggiunto lo scopo con ordinamenti piegati all’assurdo (persino etimologico) di “matrimoni omosessuali”.

Essenziali per tale operazione la legittimazione morale dell’omosessualità e la decostruzione dell’istituto giuridico del matrimonio da svuotare d’ogni contenuto naturale per farne una mera cornice legale arbitrariamente definibile e applicabile ai quadri più vari.

Nel nostro Paese l’azione rivoluzionaria contro la famiglia e il matrimonio, almeno legislativamente parlando, risale agli anni ’70 con la riforma del diritto di famiglia, l’introduzione del divorzio cui sono seguiti la legalizzazione dell’aborto e molti altri mali. Tuttavia su un punto la legislazione nazionale in tema di matrimonio non ha ancora ceduto: la complementarietà maschio/femmina dei nubendi. Per sposarsi in Italia bisogna essere un uomo e una donna, dirlo oggi sembra quasi provocatorio!

Il diritto civile italiano è chiarissimo ma molto forte è la spinta ideologica per scardinare questo ultimo baluardo di buon senso. Vi hanno provato alcuni sindaci avanguardisti, tra tutti il sindaco della capitale Ignazio Marino, trascrivendo i “matrimoni” tra omosessuali celebrati all’estero in Stati dove ciò è legale.

Al tentativo di introdurre in Italia le “nozze gay” per via municipale (con il sotterfugio della trascrizione) rispose il Ministero degli Interni ordinando ai prefetti di annullare tutti gli atti di trascrizione riguardanti “matrimoni tra persone dello stesso sesso” celebrati all’estero. Si aprì così un contenzioso innanzi alla magistratura amministrativa prima al TAR, poi al Consiglio di Stato.

È di questi giorni la sentenza del Consiglio di Stato, il massimo organo di Giustizia amministrativa, che riconosce legittima l’azione dei prefetti e la decisione del Ministero degli Interni, dichiara invece illegittima (perché contraria alla legge vigente) l’azione di quei sindaci che hanno trascritto i “matrimoni gay” celebrati all’estero e, cosa per noi più importante, affronta il tema del presunto diritto alle nozze degli omosessuali.

Il Consiglio di Stato, con un pronunciamento storico, fa chiarezza su molti punti, come sottolinea il giurista Alfredo Mantovano analizzando la sentenza:

a. il diritto internazionale privato vigente in Italia prevede «i presupposti di legalità del matrimonio» collegandosi alla «legge nazionale di ciascun nubendo». Dal raccordo fra tali norme e quelle del codice civile emerge «un sistema regolatorio univoco circa l’identificazione degli elementi che condizionano la validità e l’efficacia del matrimonio tra cittadini italiani celebrato all’estero (…) che consentono al predetto atto di produrre, nell’ordinamento nazionale, i suoi effetti giuridici naturali»;

b. fra questi “elementi” il primo e fondamentale è «la diversità di sesso dei nubendi (…), secondo le regole codificate (in articoli del codice civile e) in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna». Finalmente viene ribadito il fondamento naturale della società familiare;

c. la conclusione è che «il matrimonio celebrato (all’estero) tra persone dello stesso sesso (…) risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento»;

d. l’atto più che nullo è addirittura «inesistente»; «il matrimonio omosessuale deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio»;

e. ancora, «il corretto esercizio della (propria) potestà impedisce all’ufficiale dello stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all’estero, per il difetto della condizione relativa alla dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie».

Per il Consiglio di Stato le “nozze gay” non sono semplicemente giuridicamente nulle ma “inesistenti” perché mancano di un elemento essenziale “la diversità di sesso dei nubendi”.

Si deve notare con favore il riferimento della sentenza “alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto” matrimoniale ovvero come i giudici del Consiglio di Stato non si siano limitati a dichiarare contrario al diritto civile vigente in Italia il “matrimonio gay” ma abbiano pure ricordato la contrarietà alla millenaria storia del diritto (moderno, cristiano, romano, etc.). Da millenni il diritto dei popoli chiama matrimonio l’unione di un uomo e una donna, non altro!

Ancora più significativo è il passaggio in cui la sentenza rileva la contrarietà del “matrimonio omosessuale” “all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna”. Qui i giudici hanno dato prova di cosa possa essere, anzi debba essere, il diritto inteso nel suo senso più alto. È il riferimento all’ordine naturale l’ultimo e supremo criterio del diritto e la pretesa omosessualista di “nozze gay” contrasta direttamente e gravemente proprio con l’ordine giuridico naturale.

La sentenza poi prosegue ad esaminare la costituzionalità e la conformità al diritto internazionale, anche in questi passaggi dimostrando grande equilibrio e sapienza giuridica. Mantovano ci fornisce la sintesi dei passaggi più significativi:

Il Consiglio di Stato si pone la questione della compatibilità della propria decisione con quanto affermato in materia dalla Corte costituzionale e dalle Corti europee. E anche su questo versante le conclusioni non lasciano adito a dubbi: a. «la compatibilità del divieto, in Italia, di matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga, come logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati all’estero) è già stata scrutinata ed affermata dalla Corte Costituzionale»;

b. ciò è per la Consulta – richiamata dal Consiglio di Stato – «per un verso compatibile con l’art. 29 della Costituzione (…) e, per un altro, conforme alle norme interposte contenute negli artt. 12 della CEDU e 9 della (…) Carta di Nizza, nella misura in cui le stesse rinviano espressamente alle legislazioni nazionali, senza vincolarne i contenuti, la disciplina dell’istituto del matrimonio»;

c. «l’eventuale delibazione dell’incostituzionalità (si ha solo per le) disposizioni legislative che introducono irragionevoli disparità di trattamento delle coppie omosessuali in relazione ad ipotesi particolari»;

d. tutto ciò «si risolve in una costituzionalizzazione del matrimonio tra persone di sesso diverso, sicchè non possono ravvisarsi margini per uno scrutinio diverso ed ulteriore della compatibilità della regolazione in questione con la Carta fondamentale della Repubblica». Infine, l’Europa. Il Consiglio di Stato, esaminando le disposizioni dei trattati europei, ribadisce che «la regolazione legislativa del matrimonio e, quindi, l’eventuale ammissione di quello omosessuale (che la Corte non ritiene, in astratto, vietato) rientra nel perimetro del margine di apprezzamento e, quindi, della discrezionalità riservata agli Stati contraenti». Discrezionalità che l’Italia non ha finora ritenuto di esercitare, sì che non è aggirabile per via giurisprudenziale. Nè italiana, né europea: la medesima «regolazione legislativa (…) e, di conseguenza, anche i presupposti del riconoscimento giuridico dei matrimoni celebrati in un Paese straniero (ivi compresi quelli appartenenti all’Unione Europea) esula dai confini del diritto europeo (…) ed attiene, in via esclusiva, alla sovranità nazionale».

Un sentenza forte e netta in difesa del matrimonio e della famiglia. Si capisce allora la campagna mediatica scatenata contro il giudice Deodato estensore della sentenza , accusato persino “di essere cattolico” come fosse grave colpa.

Il Consiglio di Stato, con questa sentenza, mette fine all’avanguardismo dei sindaci liberal e fa chiarezza su una materia delicatissima. Sarà l’ultima parola? Temiamo ragionevolmente di no, tanto più che è in discussione in Parlamento la proposta di riconoscere giuridicamente le unioni di fatto (anche omosessuali) con diritti sovrapponibili al matrimonio. È la così detta Cirinnà dal nome della parlamentare proponente che, se passasse, sarebbe de facto l’ingresso del “matrimonio gay” in Italia, tranne il nome (non si chiamerebbe matrimonio).

E poi c’è il Tribunale dei minori di Roma che, contro la legge vigente, sentenzia in favore dell’adozione per una coppia omosessuale. E poi un bombardamento mediatico-culturale (dalla scuola al cinema, dai giornali alla TV, etc.) tutto teso a far divenire opinione comune il peggio del relativismo in campo sessuale e familiare.

La battaglia è appena iniziata e sarà durissima. Ciò detto fa piacere ogni tanto leggere una sentenza retta dal buon senso e da una visione giuridica razionale. Complimenti al dottor Deodato e agli altri giudici del Consiglio di Stato.

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