Il Cerutti Gino di Giorgio Gaber




Una delle prime e più famose canzoni di Giorgio Gaber è stata senza alcun dubbio la “Ballata del Cerutti” con il celebre refrain: “Il suo nome era Cerutti Gino ma lo chiamavan drago; gli amici al bar del Giambellino dicevan che era un mago” con il sottolineato finale corale era un mago. Nelle canzoni di Gaber la musica, spesso scarna ed eseguita con pochi accordi alla chitarra, è sempre stata in funzione soprattutto del testo, per rilevarne i contenuti. Il Cerutti della ballata è uno dei tanti personaggi dell’universo gaberiano che testimoniano la mediocrità della vita cittadina su un fondale di tristezza e squallore (Vent’anni, biondo, mai una lira, per non passare guai fiutava intorno che aria tira e non sgobbava mai). Con il suo tipico fare ammiccante, Gaber ha sempre rivolto una feroce e corrosiva critica alla società dei consumi, all’angoscia metropolitana ed al mondo piccolo borghese (in un’altra canzone griderà che i borghesi son tutti dei porci, più sono grassi e più sono lerci). Il drago che fa rima con mago è un uomo che vive illegalmente di espedienti e di furti notturni (Una sera in una strada scura occhio c’è una lambretta: fingendo di non aver paura il Cerutti monta in fretta) e che finisce in galera, prototipo di una umanità disillusa e che potremmo definire, con un gergo ormai in disuso, tipica espressione del sottoproletariato urbano. Non c’è possibilità di redenzione, non c’è aspirazione ad una migliore dignità sociale: lo spaccato realistico delle canzoni di Gaber, compresa la ballata triste del Cerutti, non permettono illusioni di alcun tipo (Anche per oggi non si vola affermerà in un’altra canzone).

La divertita ironia dai toni scanzonati che hanno connotato il personaggio Giorgio Gaber non traggano in inganno: le sue canzoni non esprimono semplici banalità né tantomeno amenità ma descrivono il disincanto e la crudezza di una società senza speranza (Ora è triste e un poco manomesso, si trova al terzo raggio: è lì che attende il suo processo … S’è beccato un bel tre mesi il Gino). Cantando si impara con Gaber a non farsi abbindolare dall’apparente ingenuità di quattro semplici accordi e di quattro battute in rima: nella filosofia di Gaber c’è una spietata analisi sociale e umana che nella reiterata ed ossessiva denuncia (da ascoltarsi attentamente Com’è bella la città) arriva alla descrizione biasimevole dell’uomo e delle sue relazioni sociali, come in “Trani a gogò” dove si passa la sera scolando barbera ed una vecchia zitella nel Valpolicella cerca l’amor.

Anche il Cerutti Gino, ritornato al bar dopo la prigione, avrà nel suo futuro la nomea di essere un tipo duro. Duro che fa rima con futuro, drago che fa rima con mago, sera che fa rima con galera.

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