Il Carso di Livio Možina




A volte la definizione “natura morta”, attribuita ad un ben preciso genere di quadri, riesce davvero inappropriata. Infatti in certe raffigurazioni di vasi, cesti e fruttiere che traboccano di frutta, di foglie e di fiori si coglie in realtà una straordinaria vitalità segreta evocata anche da qualche piccolo animaletto come un uccellino, un insetto dalla livrea colorata o una farfalla. Per questo forse sarebbe più giusto rinominarle come “nature vive”. Autentiche “nature vive”, per colore, vividezza, lucentezza, precisione del tratto e morbidezza delle forme, ci appaiono i quadri (olio su tela) che Livio Možina ha esposto alla Galleria Rettori Tribbio (dall’8 al 21 ottobre) con il suggestivo titolo “Natura e luce”.

Un inno alla bellezza e alla vitalità della natura, in particolare il paesaggio carsico colto nel mutare delle atmosfere e dei colori, di stagione in stagione, ora innevato e argenteo, con il cielo algido che si curva sui boschi e i sentieri solitari, ora fiammeggiante di rosso e oro nel sole meridiano di un mite e dolce autunno, ora verdeggiante e tenero di erbe, di foglie e di fiori al soffio della primavera o avvolto nella luce chiarissima dell’estate. La natura vagliata e filtrata dalla sensibilità dell’artista si mostra a noi come una cattedrale di simboli da decifrare, di sigle araldiche che contrassegnano una superiore origine di tutto il creato, nonostante, o forse in virtù, della semplicità e quotidianità dei soggetti rappresentati.

I colori scintillanti bagnati di luce e l’intima poesia della bellezza incarnata animano di una sottile vitalità spirituale la natura rappresentata dal pittore. La stessa centralità della luce, che scolpisce e anima le forme in una chiarezza tersa e irreale che sfuma nell’onirico e nel fiabesco, è cifra di una visione della natura posta sulla linea in cui il cielo luminoso ed etereo si curva sulla terra inondandola dei suoi riflessi. Gli stessi colori sono luce che passa attraverso una sorta di prisma vetroso frangendosi nella vasta e brillante gamma di tonalità che costituisce lo spettro cromatico. Un raffinato gioco ottico e fantastico ora trasforma la luce in colore ora i colori in luce, creando un’impressione di smaltato cromatismo e di pasta vitrea densa ma lucente. È come se il pittore riproducesse con la sua arte il gioco tra luce e colore studiato dalla fisica e intuite mirabilmente da Goethe nella sua “Teoria dei colori”. Tutto nasce dalla luce, ci insegna Možina, l’intera realtà è luce e se non esistesse la luce nulla esisterebbe perché essa è l’origine di tutti i colori e di tutte le forme del visibile. Di qui la singolare ispirazione dell’artista: ripetere nel proprio laboratorio artistico quel processo in cui il raggio di luce, colpendo il prisma sfaccettato delle cose, in parte lo attraversa aprendosi e sfrangiandosi nel suo ventaglio di colori e in parte rimbalza sulla superficie dello stesso prisma senza attraversarlo e rimane puro raggio luminoso che fa affiorare e apparire in un’aura dorata lo spettacolo dell’universo. Questa sapienza della luce, nel suo aspetto materiale ma anche spirituale e simbolico, imprime una tensione metafisica alla pittura di Možina, amante delle cose semplici, naturali e quotidiane, che passano ogni giorno quasi inosservate sotto gli occhi di tutti, e che tuttavia il tocco dell’artista rende sempre nuove e quasi scintillanti di quella luce aurorale primigenia in cui il creato venne chiamato all’essere.

I temi dell’artista sono in gran parte tratti dal mondo naturale: animali, fiori, alberi, frutta e ortaggi come le cipolle rosse e dorate che l’arte di Možina dispone in una stupenda decorazione cesellata con la perizia di un orafo. L’abilità nel presentare un grappolo di queste piante bulbose così comuni e popolari nella forma di un drappo preziosamente rifinito e ricamato va al cuore del talento dell’artista: afferrare e fissare l’intima poesia e bellezza di ciò che in apparenza è piccolo, umile, modesto e perfino ordinario. Le cose, entrando nei quadri del pittore, si vestono di una bellezza e di un’unicità che sicuramente sono già presenti in esse, ma che noi spesso non vediamo se non attraverso gli occhi di un’arte che riesce a raffigurare le care vecchie cipolle tanto care ai contadini come cascata di magnifici gioielli.

Accanto a questi soggetti, sfilano le passeggiate carsiche, i sentieri silvani, angoli quasi fiabeschi di sottobosco, specchi d’acqua e marine spumeggianti. La presenza umana è avvertibile solo di riflesso, attraverso le caratteristiche casette carsiche in nuda pietra con i loro rustici cortili e i loro interni umili ma caldi e confortanti, o attraverso certi attrezzi da lavoro colti in una poetica immobilità. L’arte di Možina, sul piano del linguaggio e dello stile, si distingue per la compresenza di precisione e suggestione lirica, di realismo perfetto e di trasfigurazione sognante e fiabesca. A saldare queste due anime così diverse eppure così intimamente legate, l’artista impiega un linguaggio originalissimo: un disegno deciso e preciso che contorna le figure e le definisce in ogni minimo dettaglio e le squillanti tonalità che sono come un “grido” cromatico di gioia e di piacere estetico di tutta la natura nell’atto di essere contemplata e ritratta dall’artista.

Možina dimostra tutto il suo talento nella capacità di eludere, pur padroneggiando al meglio la chiarezza e il nitore speculare delle immagini, le secche di un naturalismo o di un realismo fotografico puramente accademico, trappola molto comune tra i paesaggisti di maniera. Come tutti i veri cantori della natura e del paesaggio Možina ci colpisce e ci affascina non perché ci fa semplicemente vedere un’immagine nitida e fedele della realtà — tanto varrebbe allora fare una fotografia o andare direttamente a passeggio per il Carso o in mezzo alla natura —, ma perché ci consente di contemplare un “di più” delle cose stesse, animate e inanimate, fiori, animali, boschi, sentieri, stagioni, campi di grano custoditi da spaventapasseri simili ad antichi geni protettori della natura, laghi, ruscelli e marine, scorci di antiche case carsiche e interni riscaldati da vecchie stufe di ghisa. Quel “di più” non è immediatamente visibile all’occhio, solo un vero artista riesce a intuire e percepire questa eccedenza preziosissima che trabocca dai confini fisici delle cose e passa attraverso l’arte trasformandosi in luce, ombra, colore, sfumatura, tonalità cangiante. La capacità dell’artista di sentire gli echi di questa voce profonda e avvolgente ammanta tutte le cose dipinte di uno splendore non solo terreno, ma anche spirituale.

Questa armonia tra gli elementi — terra, cielo, acqua con tutti i loro abitatori — è tradotta dall’artista con un uso sapiente del colore che viene in ogni quadro variamente sfumato e combinato così che le diverse tinte si richiamino e si armonizzino tra di loro, creando un’impressione di morbidezza e di espansione delle forme, colte nell’incanto del loro muto dialogo. I quadri, in virtù di questa salda sapienza del linguaggio artistico, sembrano tutti sillabe di uno stesso discorso, lettere capitali, fulgide di splendore, di quella miniatura preziosa ed elegante che è la natura se contemplata e assunta con la purezza di una genuina ispirazione poetica. Le caprette che giocano su un prato, i cespugli di more, gli angoli ritagliati da una luce morbida e argentea nel sottobosco dove sbocciano i bucaneve, i mughetti e i ciclamini tra rosse foglie, muschi e rami recisi, i pesci iridati che scintillano chiusi in una rete accuratamente rifinita in ogni sua trama dal pennello dell’artista, la stufa con il fuoco che scoppietta e le povere suppellettili della gente semplice di un tempo come un bricco per il caffè che si scalda sul ripiano della stufa e alcune sparse castagne ben arrostite di cui pare di sentire il profumo fragrante. E, nello stesso interno, una scopa di saggina, due vecchie scarpe e alcuni attrezzi da lavoro, immersi in un silenzio e in un tepore fuori dal tempo. Sembra di avvertire il tepore di quell’angolo così famigliare e accogliente, l’aroma pungente del caffè e il gusto dolce delle farinose ma croccanti castagne. La percezione di sensazioni fisiche reali nasce dall’incontro tra la fedelissima e impeccabile riproduzione degli oggetti e l’animazione lirica e fantastica che li rende vivi e pienamente presenti.

Il manto delle caprette ad esempio è così precisamente rappresentato e insieme sfumato liricamente da dare l’impressione tattile della sua morbidezza; anche nel dipinto che ritrae dei cavalli che si abbeverano ad un corso d’acqua nel bosco, il gioco dei colori, delle luci e delle ombre desta l’illusione dello scorrere reale del ruscello e un’impressione di rinfrancante freschezza come se anche noi stessimo attingendo a quelle acque. Anche gli angoli di sottobosco, raccolti in un tepore quieto e riposante, coinvolgono tutti i nostri sensi e ci trasmettono una calda impressione di conciliante riposo. Altrettanto sentito e intenso è il desiderio di sostare in uno dei cortili delle sue casette carsiche, abitati solo dai passeri o da qualche altro volatile, tra le pannocchie, i fiori, i carretti abbandonati, il ciocco su cui tagliare la legna, immersi in una luce di primavera senza tempo e di sosta meridiana in cui ogni fatica finalmente tace.

Quando l’arte riesce a dare forma all’anima delle cose e dei viventi, allora essa realizza uno dei suoi più alti ed esclusivi compiti: deliziare i sensi fisici e spirituali e aprire lo sguardo alla contemplazione e alla lettura del grande codice miniato dell’universo la cui bellezza, resa duttile e malleabile dal fuoco dell’ispirazione poetica e rimodellata dalla sapienza dell’artista nei calchi incandescenti della sua opera, ci può insegnare a vivere con maggiore pienezza e appagamento ogni attimo del nostro tempo terreno.

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