Il cammino del Sinodo diocesano




La terza congregazione generale del Sinodo si è celebrata nel pomeriggio della Pentecoste, in una cattedrale di san Giusto che andava gradualmente riempiendosi di sole. La nostra stella, infatti, ha iniziato a brillare non appena le nubi minacciose se ne sono andate, donando luce ai sinodali attraverso il grande rosone. Siamo entrati in cattedrale con gli ombrelli aperti e siamo usciti accarezzati dalla primavera.

Intanto, in cattedrale dopo aver idealmente posto al centro il Vangelo, sono iniziati i lavori. Questa congregazione era interamente dedicata ai sinodali: infatti, ognuno aveva il diritto di intervenire per esprimere osservazioni e proposte di modifica alla versione del documento che la presidenza ha elaborato.

Come siamo giunti alla redazione attuale dei testi? In primo luogo le prime quattro commissioni hanno elaborato le bozze dei documenti che sono state consegnate a tutta l’assemblea. Il passaggio successivo vedeva i singoli riflettere e rimandare alla presidenza le osservazioni e le modifiche da apportare. La segreteria ha elaborato tutto il materiale pervenuto e la presidenza ha steso la versione penultima delle proposizioni sottoposte al vaglio di tutti (unico neo, purtroppo, il poco tempo per lo studio dei testi). Ora, accolte le ulteriori proposte di modifica e integrazione, si provvederà alla stesura del testo ufficiale che andrà votato il 15-16 giugno.

Alcune osservazioni: innanzitutto, il cammino sinodale impara dal suo svolgersi. Già questa mi sembra una prima indicazione e un primo frutto dei lavori. Tutti sanno da dove il Sinodo inizi, ma nessuno può sapere come un Sinodo si sviluppi e, soprattutto, dove possa giungere. A mio parere, proprio questa imprevedibilità (che è frutto dell’intervento dei singoli e del crederci da parte di tutti e ciascuno) permette all’antico istituto ecclesiale di non essere ingabbiato e, quindi, di lasciarsi governare dallo Spirito del Risorto.

Una seconda riflessione: nella congregazione di Pentecoste sono intervenute quattordici persone. Qualcuno potrebbe dire che sono state poche. Personalmente non mi lancerei a discettare su questioni numeriche: non va dimenticato che tre minuti – sicuramente pochi per qualche sinodale – sono in realtà un’infinità per chi non è a proprio agio col microfono e con argomenti tecnici per i quali è necessaria una competenza teologica di base. Sono convinto, però, che entro la fine del Sinodo anche quanti si sentono tecnicamente non preparati acquisiranno la consapevolezza che per parlare nel Sinodo serve prima di tutto e innanzitutto la competenza della fede accolta e vissuta e poi quella specifica della riflessione sulla fede. In fondo, il Sinodo non è un convegno tra specialisti, ma una chiesa in ascolto.

Il Sinodo non è un itinerario che si crea a tavolino. E per la sua buona riuscita è necessario – oltre alla preghiera, all’ascolto della voce dello Spirito e dei fratelli, a vestire l’abito dell’umiltà e del servizio – anche intervenire, parlare, discutere, credere che sia possibile per tutti esprimere la propria idea.

Non tutte le cose che usciranno dal Sinodo saranno nuove, non tutte saranno brillanti ed uniche. Il Sinodo è prima di tutto una scuola di chiesa, richiede e prevede l’impegno di tutti, senza sbavature e approssimazioni, nell’umiltà dell’ascolto e dell’imparare da parte di tutti. Ce n’è ancora di strada da fare, ma siamo appena alla fine del primo anno. Sono certo che dall’assise triestina spunteranno intuizioni felici e atteggiamenti costruttivi che ridaranno slancio alla pastorale diocesana.

Così, alla fine del Sinodo, renderemo grazie al Padre nello Spirito perché sempre, sulla nostra chiesa diocesana, splende sempre il Sole che sorge dall’alto.

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in foto (flb) Il segretario generale Don Lorenzo Magarelli  e Mons. Ettore Malnati vicario episcopale.

di Lorenzo Magarelli

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