Il Bello delle donne




La ricerca storica ha di fronte a sé un orizzonte illimitato di scoperte e di occasioni di rinnovamento, come di inversioni radicali di marcia. Molte ricostruzioni del passato, alla luce di documenti emersi successivamente, sono state smontate pezzo per pezzo ricostruendo uno scenario del tutto inedito, se non impensabile. Pensiamo al Medioevo, a lungo etichettato come epoca oscura travagliata e frenata nei suoi impeti culturali e conoscitivi da pregiudizi e regole oppressive. Oggi il Medioevo è stato riscattato da questa cattiva fama che a lungo ha nascosto le sue potenzialità e le sue risorse, la sua profonda e illuminata cultura come le sue avanzatissime conquiste in campo scientifico. Un luogo comune duro a morire è stato sicuramente quello relativo alle donne che nella vulgata comune a lungo invalsa sono state commiserate come vittime di un maschilismo patriarcale che avrebbe soffocato il loro genio e le loro qualità. Il principale colpevole di questo regime oppressivo esercitato dal mondo maschile sulla donna sarebbe, secondo questa lettura sviante, il cristianesimo stesso che avrebbe ereditato dal mondo semita una visione negativa del femminile ridotto a un magma confuso e pericoloso di istinti e impulsi distruttivi, incarnati dalla mitica Lilith la prima sposa di Adamo secondo alcune credenze della più antica tradizione ebraica. Fortunatamente oggi la storiografia e la cultura in genere hanno tolto questa svilente etichetta al Medioevo, al cristianesimo e al mondo ebraico.
La mostra “Dea del cielo o figlia di Eva”, allestita presso il Museo petrarchesco piccolomineo fino al 21 aprile è centrata sul rinnovato ruolo assunto dalla donna nel Rinascimento rispetto alle epoche precedenti: l’assunto di base della mostra è che, mentre nella stagione culturale che vede brillate l’astro di un Leonardo, di un Michelangelo e di un Ariosto, la donna diventa parte integrante della vita di corte e si fa portatrice di numerosi talenti e di capacità esclusive del suo essere, nel mondo antico — pensiamo alla condanna di Aristotele — e nel mondo cristiano la donna è stata a lungo trascurata e negletta come creatura inferiore e portatrice di caos. Anche nel periodo successivo ai fulgori del Rinascimento, ed è questa l’altra faccia della mostra, con la Controriforma e il rigore morale secentesco travagliato dalla Riforma, la donna oscilla tra il volto colpevole di Eva e il volto di santità e grazia della Vergine e delle grandi sante cristiane.
Senza negare il fatto che la donna nel Rinascimento è effettivamente riuscita a guadagnare una posizione di privilegio frequentando le corti, scrivendo e dipingendo, partecipando ai “Dialoghi” scritti da famosi letterati e intellettuali, non è del tutto esatto attribuire una parte marginale e squalificante alla donna nel Medioevo e nel mondo cristiano in genere. Prima di tutto, con Cristo la donna assume una posizione cardinale nella vita famigliare e sociale. Le donne seguono e assistono Gesù che è il primo maestro in assoluto, rispetto a quelli del passato, ad ammettere tra i discepoli che lo accompagnano nel suo peregrinare anche delle donne. Alle donne, il Risorto affida il compito di annunciare ai discepoli la sua resurrezione. Le donne poi, nella Chiesa nascente così come si configura nelle Lettere di San Paolo, sono il cuore delle comunità e sostengono l’esistenza, non solo materiale, dei primi cristiani con il loro diaconato. Sia nell’alto che nel basso medioevo sono vissute donne impresse nella memoria collettiva grazie ai documenti via via ritrovati dalla ricerca storica: grandi regine, viaggiatrici, pellegrine, scrittrici, poetesse, guaritrici e sante. Pensiamo ad Egeria pellegrina in Terra Santa nel VII secolo d.C., coraggiosa e audace esploratrice dei luoghi più impervi e pericolosi della Palestina e del Medio Oriente; a Baudonivia, che nel VI secolo scrive la biografia della grande regina germanica Radegonda, indimenticabile figura di donna regale, aristocratica e potente che ai suoi privilegi preferì i tesori della carità e del sacrificio totale di sé per amore di Dio e del prossimo; a Rosvita, la monaca poetessa (X secolo), colta e sensibile, che affida a dei poemetti le sue elevate meditazioni sulla santità e sui misteri della divinità, affiancata da altre illustri figure di monache altrettanto preparate e addentro alle speculazioni teologiche e spirituali, come la badessa Gerberga e la sorella Edvige; alla donna medico Trotula, vissuta nell’XI secolo e legata alla Scuola medica salernitana; a Eloisa (XII secolo), finissima intellettuale, versata nelle più ardite contese filosofiche suscitate dall’amato Abelardo, prima donna travolta da una passione incendiaria e poi monaca, per quanto segnata fino alla morte dal divorante ricordo della sua passione giovanile; a Santa Ildegarda (XII secolo) a cui la Chiesa riconosce il dono della profezia e della veggenza e che viene convocata dai vertici del mondo ecclesiastico affinché predichi nelle chiese al cospetto del clero, bisognoso di edificazione nonché di una salutare scossa spirituale. O ancora alla mistica Santa Caterina da Siena (XIV secolo), che non ha timore di rampognare perfino i Papi e i grandi del tempo e che con il suo genio, il suo coraggio e la sua fede ha un ruolo decisivo nel ritorno della sede papale da Avignone a Roma. E il pensiero ancora vola alla Beatrice di Dante che da donna amata assurge a donna angelicata e a guida suprema verso il Paradiso e la somma visione della Trinità nella Divina Commedia. Dante non ha voluto per la parte più accecante e rivelatrice della sua ascesa un uomo, un grande santo o apostolo, ma una donna e ha fatto del sorriso soave dei suoi occhi uno strumento di grazia e di rivelazione progressiva dei gradi di quell’“indiarsi” che è somma meta del poeta. La Laura di Petrarca è una radiosa giovane donna incontrata ad Avignone, ma è anche figura eletta di una femminilità trasfigurata e splendente che alla fine del “Canzoniere” confluisce nella “Canzone alla Vergine”, compimento assoluto e perfetto della quintessenza muliebre. La stessa importanza che il mondo cortese attribuisce al saluto della donna amata è allusione, nella sua etimologia, al concetto di “salvezza”, che eleva un gesto di pura gentilezza e garbata cortesia mondana a un atto simbolico di elevazione e riscatto dell’uomo dalla sua brutalità istintuale come dall’aridità del suo intelletto raziocinante che solo la grazia femminile illumina e feconda. In tempi oscuri come i nostri, in cui la donna ha perso il suo orientamento scambiando la propria dignità con una pretesa e innaturale uguaglianza che rischia di condannarla all’infelicità, i versi di questo inno altissimo e commosso hanno la freschezza di una vetta montana rispetto all’aria viziata del centro di una metropoli arsa da quella febbre del fare e del conquistare di derivazione maschile, ma che rischia di contagiare anche la donna, per sua natura portatrice di pace, di quiete e di bellezza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *