La misoginia, ovvero l’ostilità e la diffidenza maschili nei confronti delle donne, è una costante di tutte le civiltà e culture, specie nelle sue frange più folkloriche e popolari. Il mondo dei proverbi è dominato da questo sarcasmo, ora sottile ora grossolano, verso il mondo femminile dipinto come un universo incontrollato di debolezze, inaffidabilità, vanità e capriccio.
Per rimanere all’interno della letteratura biblica i “Proverbi”, come la tradizione proverbiale universale, non risparmia strali feroci e demolitori alla donna, presentata in molti passi come una creatura infida da tenere a distanza o da sottomettere. Tuttavia non mancano, nella tradizione ebraico-cristiana, tutta una serie di accenti positivi che cantano le qualità della donna inscritte nella sua stessa natura. In particolare, la figura femminile viene adoperata proprio nel libro biblico dei “Proverbi”, costruito spesso su antitesi speculari all’ambivalenza stessa di ogni realtà, come simbolo della Sapienza: essa siede riservata e silenziosa in un’angola della piazza, imbandendo un semplice banchetto di pane e vino da offrire ai pellegrini stanchi e assetati.
Essa non ha attrattive sgargianti. Il suo contrario, la stolidità dell’insipienza, è rappresentata invece da una donna vistosa, la straniera che siede ai crocicchi vestita di bisso e adorna di monili sonanti, con cui seduce e attrae i malcapitati precipitandoli nelle case degli Inferi.
La donna ideale trova sempre nei “Proverbi”, nello stupendo e conclusivo “Canto alla donna ideale”, uno dei ritratti più belli e compiuti: lei è la regina della casa, assennata, prudente, saggia, previdente soprattutto, costruttrice nell’intimo delle mura domestiche di un piccolo regno di pace, armonia e agiatezza.
La misoginia è dunque solo un aspetto, un versante della cultura universale – in India le vedove o venivano relegate ai margini della società come creature maledette o dovevano seguire sul rogo lo sposo defunto. Questo discorso si riallaccia ad un’interessante conferenza sul ruolo della donna nell’antica Grecia tenuta il 7 marzo presso la Comunità greco-ortodossa. Un ruolo nient’affatto negativo e subordinato, quello femminile, ma intessuto di molteplici accentuazioni positive e nobili, soprattutto come presenza indispensabile nella creazione di un microcosmo sicuro, caldo e vivo intorno alle altre persone amate della famiglia. Nel mondo romano poi la donna gode di libertà e privilegi ancora più rilevanti. Logicamente perché questo ruolo femminile possa dispiegarsi in pienezza, è necessario che l’uomo a sua volta vesta i panni nobili della sua natura e della sua vocazione, come sottolinea lo stesso San Paolo, pur ritenuto misogino e diffidente verso la donna. Uomo e donna devono onorarsi e custodirsi l’un l’altro, ciascuno secondo la propria natura. Se uno dei due esce dal circolo virtuoso di questa relazione reciproca, non può esserci più stabilità ed equilibrio. Se tentiamo un periplo intorno all’universo femminile, perlustrando le principali icone della donna che la nostra cultura ha sbalzato e cesellato, vediamo che non è stata soltanto vittima di discriminazioni e di dileggio, di sfruttamento e di umiliazione, oltre che di violenze.
Proviamo a stilare un regesto, sempre parziale rispetto alla ricchezza della realtà, dei tipi femminili che si sono codificati e stratificati nella nostra cultura. Accanto alla donna vestale che regna e guida la casa esprimendo la propria creatività anche nell’educazione della prole — la donna sposa e madre —, troviamo la donna sapiente, ritratta appunto nei testi sapienziali della Bibbia e adombrata anche nel cosmo dei proverbi popolari. Essa è pacata, lungimirante, prudente e riservata. Molte donne nobili sono state educate nel passato secondo questi principi. Il suo ritratto sconfina in quello della donna colta e intellettuale, virtuosa e controllata, profonda e attenta al conoscere, letterata e cercatrice di verità, alla pari spesso con l’uomo. Se cerchiamo delle attestazioni concrete di questo modello, lo possiamo trovare nella letteratura, nei testi religiosi, oltre che nella realtà stessa. Per citare le più note la Beatrice dantesca, la Laura del Petrarca e le innumerevoli dame reali o fittizie destinatarie dei raggi dell’amor cortese, la Eloisa amante della filosofia e sposa segreta dello sventurato Abelardo, Eleonora d’Aquitania, Vittoria Colonna, Artemisia Gentileschi, per passare poi alle grandi figure spirituali di Brigida di Svezia, di Santa Caterina da Siena, di Ildegarda di Bingen e di Santa Teresa d’Avila. In tempi più recenti, con l’avvento del mondo borghese, le donne di alto lignaggio si fanno spesso regine di salotti ove accolgono e sostengono i letterati e gli scrittori più dotati, diventano esse stesse scrittrici indomite e famose, da George Sand a Colette per citare le più stravaganti e divergenti rispetto al comune modo di vedere la donna.
Anche l’intraprendenza, solitamente considerata una virtù maschile, ha trovato capaci rappresentanti nel mondo femminile: un’intraprendenza non solo economica attestata da molti documenti notarli di donne dell’antichità e del medioevo che si fanno amministratrici dei propri beni — anche nel “Canto” dei “Proverbi” troviamo la donna ideale capace di gestire un saggio e onorato commercio fonte di prosperità —, ma un’intraprendenza più esistenziale, specie nei primi anni del cristianesimo quando molte donne, nubili o rimaste vedove, espressero la loro fede studiando a fondo i testi sacri e soprattutto affrontando pericolosi pellegrinaggi nei luoghi santi e nelle regioni limitrofe guadagnate dalla nascente Chiesa cristiana. Un esempio è la pellegrina Egeria, vissuta tra il IV e il V secolo, una donna audace e appassionata che perlustrò l’ampia culla del cristianesimo delle origini, dalla Palestina alla Siria e all’Asia minore, compiendo faticose ed impervie ascese sui monti sacri della religione ebraico-cristiana, spingendosi fino in Egitto, a dispetto di molti pericoli quali le fiere e i briganti. Non fu certo l’unica. Molte donne anche prima di lei non ebbero timore di abbandonare le facili sicurezze e di calcare le orme di Gesù nei luoghi della sua vita. In molte si fecero pellegrine dell’assoluto e macinarono strade su strade, alture dopo alture, senza mai cedere alla fatica, pregando e contemplando, ormai rivolte con tutto il proprio essere verso il mondo a venire.
Logicamente nei nostri tempi la donna è riuscita a guadagnare, dopo tante esclusioni e discriminazioni, un posto di rilievo in tutti i settori dell’attività umana, da quello economico e politico, a quello artistico e culturale. La misoginia, ovvero quell’insistito celiare sulla donna e sui suoi presunti difetti, non è ancora venuto meno e non si contano le storielle, i motti di spirito e i proverbi che irridono alla sua figura, presentata come fonte di guai e di continuo tormento per l’uomo. Senza dimenticare le barzellette sulla vita coniugale, che fanno il verso agli attriti classici tra marito e moglie, tra i quali figura tuttavia anche una vena più femminista che si fa gioco dei limiti dell’uomo, eterno bambino, pigro, egoista e limitato rispetto alla donna capace di fare 20 cose contemporaneamente. Anche qui siamo di fronte a una delle tante generalizzazioni del sapere comune incline alle approssimazioni e alle sintesi un po’ troppo sommarie e fortemente tipizzate.
Ripercorrendo la nostra galleria di ritratti, abbiamo visto: la donna vestale, ancella del focolare, madre e sposa; la donna sapiente e colta, letterata e artista; la donna intraprendente, viaggiatrice o imprenditrice; la donna avventuriera dello spirito, mistica e visionaria. Tante icone positive, ma che non esauriscono le rappresentazioni sociali e culturali del femminile. Rimangono infatti dei profili che vanno dall’ambiguità più sfumata alla negatività distruttiva e oscura. Da una parte la donna fragile, ombrosa, quasi uno spettro tormentato e senza pace, di solito vittima di una passione infelice, inconciliabile per natura con le comuni regole del vivere e con i codici prefissati del cosmo a cui il suo genere appartiene. Nel mondo mitologico troviamo molte figure di ninfe o fanciulle solitarie vittime di amori infelici che le sottraggono alla loro condizione e al loro destino; nelle favole abbiamo la tragica e stupenda Sirenetta di Andersen che l’amore strappa alla sua natura e relega in una terra di nessuno posta tra l’umano della terra ferma e il meraviglioso dei fondali marini, entrambi irraggiungibili per lei. Anche nell’arte è stata rappresentata questa donna spettrale e incompresa, sfuggente ogni ruolo sociale e ogni convenzione, specie nel teatro di Ibsen, di Strindberg e di Cechov.
Una variante positiva di questo aspetto del femminile profondo e inquieto, inafferrabile e lunare, sapiente nel suo carattere elementare e misterioso, si esprime non solo nel mondo incantato delle ninfe, delle ondine e delle fate, ma anche in alcuni personaggi della tradizione popolare. Un esempio sono le cosiddette Salighe, fanciulle misteriose che popolano le leggende del Tirolo. Bionde, vestite di bianco, abitatrici dei boschi, delle grotte, dei picchi montani, trascorrono il loro tempo — un tempo perennemente rarefatto e sospeso sulla cresta dell’infinito —, filando con conocchie d’oro dei panni immacolati che a volte stendono sui raggi del sole, sprofondate in una quieta arcana, in comunione con gli animali, specie i camosci dorati. Si cibano solo di latte e trascorrono la notte a danzare e cantare nelle radure. Quando si incontrano con gli umani di solito portano ad essi doni e aiuti provvidenziali, possono anche sposarsi e avere figli ma lo sposo o le persone della comunità non devono mai cercare di sapere più di quanto queste misteriose fanciulle abbiano concesso, altrimenti svaniscono e non tornano mai più portando via con loro la benedizione che avevano riversato sulla casa.
Il lato lunare, enigmatico e sfuggente del femminile ha anche una declinazione fortemente negativa nella cosiddetta, riprendendo una terminologia coniata appena in epoca romantica, “donna medusea”: la donna Medusa che trasforma in pietra chiunque si perda nei suoi occhi fiammeggianti di seduttrice e di incantatrice. È la cosiddetta femme fatale, la cui ombra temibile che tutto inghiotte e distrugge si è condensata in molte figure storiche dell’antichità — Semiramide, Gezabele, Cleopatra, Lucrezia Borgia, sempre secondo cliché romantici e decadenti —, personaggi letterari e reali, ma soprattutto mitologici, come ad esempio la Medusa o le Erinni, oppure fiabeschi come la maga Alcina dell’“Orlando furioso” dell’Ariosto, fino all’oscura Lilith, che compare nel mondo mesopotamico come una divinità della tempesta legata alla malattia e alla morte, e nel mondo ebraico nelle vesti di un demone della notte.
Esistono poi le donne “di confine” in cui tutti questi modelli interagiscono e si contaminano a vicenda, come volti riflessi in uno specchio infranto che moltiplica e spezza l’immagine in mille frammenti sovrapposti.
Ma chi è allora la donna? Quale di queste icone è quella che meglio la rappresenta, che più la rispetta e la onora? Difficile dare una valutazione di un fenomeno interiore così vasto e sfumato, anche se si può cogliere un denominatore comune nei diversi ritratti positivi: la fluidità, la morbidezza, l’accogliente capire e accettare, tanto nella sposa e madre, quanto nella donna colta o pellegrina, mistica o santa, mitologica o fiabesca, Ondina o Saliga, dispensatrice di semplice pane e di vino soave — reali o figurati — come nella Sapienza-donna dei “Proverbi”. Cambia la veste ma l’essenza rimane ed è un profumo ambrato e discreto, che rende il femminile ciò che è realmente, delicato e intelligente, saggio e lungimirante, lontano dalle tristi scimmiottature del maschile oggi tanto diffuse tra le tristi affannate manager che contano sui tacchi alti per elevarsi al di sopra dell’uomo dominatore. Più si entra in questa logica di uguaglianza, più la donna contribuisce a forgiare quelle catene che la imprigionano e la sviliscono. La sua è una logica diversa, né migliore né peggiore, né superiore né inferiore. Solo diversa. Una fragranza a lei sola propria. Forse la donna inquieta dell’oggi dovrebbe paradossalmente tornare un po’ indietro, a ritroso nel suo tempo interiore più che in quello esteriore, verso i suoi fondali dimenticati o perfino rinnegati, così da imparare qualcosa dalle Salighe, fiere ma silenziose, audaci ma pacifiche, libere eppure immensamente amorevoli, amiche dei boschi profondi e delle acque limpide.
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