I Miti di Giuliana Martinz




“Mythos e Miti”: il grembo originario delle antiche storie e le singole forme da esso sgorgate. È il tema della mostra allestita nella Sala Comunale d’arte di piazza dell’Unità 4: una serie di dipinti usciti dalla fervida immaginazione di Giuliana Martinz — rimarranno in mostra fino al 12 novembre —, appassionata delle grandi tradizioni leggendarie e religiose delle antiche civiltà mediterranee, in particolare l’Egitto e la Grecia classica.

Con l’uso di colori intensi che colpiscono con potenza l’osservatore, la pittrice ci rende partecipi di questa sua fascinazione per il mito, di cui coglie con fine intuito le remote risonanze sopravvissute allo scorrere del tempo. Il suo linguaggio cifrato, che ricorre a simboli attentamente studiati, in una partitura in cui nulla è mai casuale, fissa sulla tela le cristalline note di questa meravigliosa memoria. Che cosa rimane infatti di quel tempo, delle sue credenze, delle sue divinità infere e celesti, se non dei bagliori sulfurei, dei frammenti sospesi nella luce rossa e accecante del tramonto o nelle distese azzurre dell’oceano? Galleggiando su un mare primordiale di fuoco, fluttuano nel disegno netto e preciso le reliquie di quei giorni perduti, ammantati di sogno: gli schinieri, l’elmo e la spada di Achille, le ali volteggianti in un cielo turchese dello sventurato Icaro, le immani catastrofi vorticanti in cerchi sovrapposti del vaso di Pandora, il fegato divorato dall’aquila dell’impavido Prometeo, la splendida Eos (Aurora) che sorge sul mare spandendo intorno a sé la polvere multicolore dell’alba che avanza con le sue luci soffuse e gentili. Le divinità infere degli Egizi prorompono dagli stessi fondali primigeni, nelle figure di Anubi e Amon Ra, sorta di calco impresso su una morbida superficie in rilievo che ti fa entrare nelle profondità del dipinto. La pittrice adopera una tecnica particolare per stendere questi sfondi e da sagace artista mantiene il più stretto riserbo sulla magica ricetta. L’effetto stupefacente di questi strati morbidi che sembrano muoversi e respirare è quello di rapire lo sguardo e di immergerlo tra le figure dipinte. Gli dei inferi vi appaiono anch’essi stilizzati, incisi appena, eppure potenti. La pesatura delle anime, compiuta da queste oscure presenze geometricamente evidenti eppure inafferrabili — anzi, tanto più misteriose e perturbanti quanto più ridotte a poche linee contornate da semicerchi e simboli cifrati —, avviene sotto i nostri occhi nell’eterno presente del mito.

Come una spiaggia dopo una tempesta, i dipinti della Martinz raccolgono i segni del passato trascinati dalle onde del tempo sulla sponda del presente, vivi e vicini, eppure così inattingibili ed arcani. Paura e stupore, fascino e vertigine, desiderio di tuffarsi nel mare di quei colori così densi, vividi, quasi traboccanti dalla tela. Rivive una nostra preziosa memoria, fatta di maschere ed emblemi raccolti in un ideale libro di araldica che rispecchia i nostri sogni, le nostre inquietudini. Sembra di passeggiare in un giardino antico, con i suoi portali, i suoi archi, le sue sculture. E qui è dolce sognare, abbandonandosi alla danza delle onde che sono sempre le stesse nello stesso mare, culla dei primi aneliti umani a capire e conoscere, nell’eterna consapevolezza umana di muoversi tra terra e cielo, ordine e caos, astri lucenti e grotte profondissime. Novelli Ulisse sentiamo nascere in noi una nostalgia del ritorno, verso un’Itaca ideale che ancora e sempre ci incanta.

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