Gianluca Stocchi ci spiega perché è deleterio questo progetto che sta entrano nelle scuole del Friuli Venezia Giulia. Urge reazione di genitori e insegnanti.

I gravi danni del progetto regionale “A scuola per conoscerci”




di Gianluca Stocchi

Questo articolo nasce da un’esigenza di chiarezza educativa e pedagogica, dal bene che voglio alla generazione dei bambini e ragazzi di oggi di cui i miei figli sono parte. E’ uscito in dicembre 2015 il n. 47 dei Quaderni di orientamento della Regione Friuli Venezia Giulia contenente l’allegato: “L’esperienza in Friuli Venezia Giulia nella prevenzione e nel contrasto del bullismo omofobico”. Finalmente in questo allegato troviamo elementi per una riflessione su uno dei progetti regionali più discussi dell’ultimo periodo: il progetto “A scuola per conoscerci”.

La normalizzazione dell’omosessualità
Nell’allegato sopra citato troviamo scritto «il progetto, articolato in due incontri di due ore ciascuno, ha visto nell’ambiente “classe” il luogo privilegiato dove usare un linguaggio corretto e rispettoso, dove parlare di omosessualità come variante naturale del comportamento umano (in una dimensione affettiva, sessuale e relazionale)»
Quindi il progetto ha tra gli obiettivi quello di presentare come naturale la relazione omosessuale, di normalizzarla in maniera che non generi più nei ragazzi episodi deplorevoli di discriminazione. La discriminazione siamo tutti d’accordo nel condannarla, ma entriamo nel merito del modo in cui viene prevenuta. Ora, se concepiamo l’orientamento omosessuale come variante naturale del comportamento umano, alternativa equiparabile, diviene una variabile naturale anche l’esercizio della sessualità in questi termini.
Uno dei motivi per cui l’orientamento omosessuale viene definito una “variante naturale” è che lo si trova anche tra gli animali. Ma, nell’esercizio della sessualità, gli uomini non sono come gli animali. Gli uomini, per fantasia e per frustrazione di un desiderio mal indirizzato e mai appagato, possono passare a pratiche, definite sessuali per comodità da coloro che affermano che tutto ciò che si fa con il corpo è sesso, ma che di sessuale, cioè di correlato alla sfera sessuale, non hanno più nulla.

Ma questa è sessualità?
Normalizzare l’orientamento omosessuale significa normalizzare anche le pratiche che gli sono proprie. Tali pratiche sono tutte rintracciabili sul sito del Cassero Salute (di cui apposito link si trova sul sito di Arcigay Nuovi Passi – l’associazione di Pordenone che sta girando con i volontari nelle nostre scuole della regione). Ed è sintomatico che vengano designate utilizzando termini inglesi, perché pronunciate in italiano risulterebbero difficilmente digeribili dalla sensibilità comune. I termini sono: golden shower, scatting, rimming, fisting e altri ancora. Faccio solo due esempi (lasciando ai lettori che ne hanno la curiosità di andare a vedere le altre pratiche): la “golden shower” o “pissing” prevede l’urinare addosso a un’altra persona o farsi urinare addosso da un’altra persona; lo “scatting” è il gioco erotico tra i partner con le feci. Tali pratiche chiaramente sono possibili anche tra partner uomo-donna, ma è nel mondo omosessuale che trovano spazio di legittimità proprio perché la relazione omosessuale vuole andare oltre la naturale complementarietà tra i sessi.
È particolarmente grave che i ragazzi escano da questi corsi con l’idea che sia assolutamente identico avere una relazione di tipo omosessuale o eterosessuale. Questo va ben al di là del rispetto che si deve a tutte le persone comprese quelle che scelgono di vivere all’insegna dell’omosessualità. Ho partecipato ad un incontro di restituzione del progetto “A scuola per conoscerci” e anche in quella sede è stato ribadito che l’obiettivo è proprio quello della normalizzazione dell’omosessualità per evitare la discriminazione. Lo slogan potrebbe essere questo “Amare non è mai sbagliato” (slogan tra l’altro usato l’anno passato dentro lo stesso progetto). I ragazzi tuttavia con queste categorie vengono chiaramente sviati. L’omosessualità introduce ad una sessualità “problematica”, anche considerando solo il punto di vista sanitario. Il non detto pesa molto di più di quanto viene detto. Anche perché, sempre nell’incontro di restituzione di cui sopra, veniva riferito che i volontari Arcigay sono scelti preferenzialmente di età vicina a quella dei ragazzi (20-22 anni) in maniera che i ragazzi possano meglio identificarsi con loro e li vedano come dei “fratelli maggiori”; inoltre perché, a detta della psicologa e di insegnanti presenti in classe agli incontri, i ragazzi sono sinceramente interessati e partecipi al fatto che le persone omosessuali possano vivere anche loro in libertà il loro affetto reciproco.

Il solo sentimento rende tutto lecito
C’è un’alternativa alla “normalizzazione” dell’orientamento omosessuale per evitare fenomeni di discriminazione? C’è un’alternativa all’appiattire tutte le relazione sul sentimento provato dai loro protagonisti? Perché, seguendo questo ragionamento, potremmo dire allora che non è sbagliato che un adulto “ami” un bambino o che una persona decida di “amare” un animale. Se mettiamo alla base della naturalità il sentimento provato tutto può divenire lecito, giusto, naturale. Tutto è possibile, ma sarebbe utile alla nostra umanità? Ci può essere un’altra via al rispetto che non sia la normalizzazione o meglio l’indifferenziazione?
Certo che sì. D’altra parte possiamo benissimo rispettare una persona che nasce con sindrome di down o affetta da tetraparesi o che è indù o musulmana a prescindere dalla “naturalità” della diversità che esprimono. Si tratta di un percorso di civiltà che il cristianesimo del “ama il prossimo tuo come te stesso” e del distinguere il comportamento della persona che si ha di fronte da ciò che lei è, dalla vita che c’è in lei, aveva già faticosamente e con tutte le contraddizioni proprie degli uomini, intrapreso. L’equilibrio è precario perché non ci è lecito discriminare, ma neanche dire va tutto bene. Ognuno è chiamato a portare il “carico leggero” della sua identità, cercando di andare alla verità.

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