Ecco le risposte del direttore di Vita Nuova alle domande di un giornalista circa la critica all'impostazione degli incontri formativi sull'uguaglianza di genere da parte dell'Ordine del FVG.

Una formazione libera e completa




A seguito del nostro editoriale del 25 aprile scorso sui corsi di formazione organizzati dall’Ordine di giornalisti del Friuli Venezia Giulia e della risposta ad un Lettore pubblicata nella pagina di Lettere e Opinioni del 15 maggio successivo, il nostro direttore Stefano Fontana è stato intervistato da Fabio Dalmasso per il sito di giornalismo Libertà di Stampa e Diritto all’informazione (www.lsdi.it). Su Vita Nuova di venerdì prossimo 7 giugno la risposta alla lettera del presidente dell’Ordine Cristiano Degano.

Pubblichiamo qui di seguito il testo dell’intervista.

Nell’editoriale di Vita Nuova del 25 aprile lei scrive di non essere tranquillo sui corsi organizzati dall’Ordine dei Giornalisti del Friuli Venezia Giulia, può spiegare perché?

In quell’editoriale avevo espresso una previsione. Poi abbiamo ripreso la cosa perché quella previsione si è verificata. La previsione consisteva in questo. L’ordine diceva che ci sarebbero stati incontri formativi sulla “identità di genere” in collaborazione con la Re.a.dy, la Rete della pubblica amministrazione contro le discriminazioni di genere. Quando si leggono queste cose bisogna alzare le orecchie, perché ormai quasi sempre sotto queste espressioni si nasconde l’equiparazione degli orientamenti sessuali e dei modelli di famiglia. Si nasconde cioè l’indottrinamento ad una ideologia.

Quali sono secondo lei i pericoli derivanti dalla collaborazione con la rete Re.a.dy, la Rete della Pubblica amministrazione per la lotta contro la discriminazioni in base all’orientamento sessuale?

La Re.a.dy ha dato più volte prova di funzionare solo in un senso. Se delle lezioni di educazione sessuale all’affettività nelle scuole sono organizzate con la sua collaborazione si può star certi che la docenza è affidata ad associazioni di lesbiche o gay. Noi abbiamo già evidenziato queste cose nella nostra Regione. In un editoriale del 28 marzo avevo espressamente chiesto al Comune di Trieste di uscire dalla Re.a.dy perché non ha una linea affidabile ed equilibrata.

Lei conclude la risposta alla lettera su Vita Nuova del 16 maggio dicendo che “Una cosa certamente spiacevole è che questi corsi sono obbligatori”. Però obbligatoria è la formazione, non il singolo corso da lei citato, gli iscritti all’ordine possono scegliere altri corsi.

Questo è vero. Però bisognerebbe considerare quanto siano presenti incontri su questi temi nelle proposte di formazione. In ogni caso non mi sembra corretto indicare il tema del rispetto dei diritti connessi con l’identità di genere e poi trattarlo in modo equivoco. Il giornalista va per il bisogno della formazione obbligatoria e perché attratto dal titolo e poi si trova davanti ad una trattazione di parte.

Perché, come scrive, il corso “non rispetta minimamente l’abc della deontologia giornalistica che pure vorrebbero insegnare”?

Per il motivo ora detto. Appartiene all’abc del giornalista la documentazione circa i fatti e l’apertura a tutte le posizioni sull’argomento. Questa sarebbe una informazione/formazione obiettiva. Ma nell’incontro organizzato dall’Ordine sull’argomento era proposta solo una versione, quella che potremmo chiamare dell’ideologia del gender e tra i relatori non c’era nessuno che esponesse l’altra versione secondo la quale, per esempio, eterosessualità, omosessualità o bisessualità non possono essere equiparate, come non lo possono  essere il matrimonio tra un uomo e una donna e quello omosessuale. Questa visione mancava del tutto.

Lei dice che “se l’Ordine non difende più i giornalisti dal regime, a cosa serve?”. Di quale regime parla? E secondo lei l’Ordine serve?

Mi riferisco al regime del pensiero unico, che è oggi molto duro verso chi voglia esprimere delle idee diverse. Se il dipartimento Pari opportunità nelle sue Linee guida dice ai giornalisti che non si deve più adoperare l’espressione “famiglia naturale” vuol dire che c’è un regime culturale che fa pressione sulla libertà di espressione.

Che l’Ordine serva o non serva dipende molto dall’Ordine stesso. L’Ordine aveva annunciato di aver istituito una commissione deontologica per questi temi. La faccia funzionare e non si faccia dettare la deontologia dal dipartimento delle Pari Opportunità o dalla Re.a.dy o dalla pressione delle associazioni omo.

Come dovrebbero essere secondo lei i corsi di formazione dell’Ordine?

Dovrebbero rispondere all’abc della informazione e formazione giornalistica: insegnare ad attenersi ai fatti e presentare tutte le voci in campo. Dovrebbero essere obbiettivi e completi.

Una risposta a “Una formazione libera e completa”

  1. Sara ha detto:

    bravo direttore questo si kiama parlar kiaro!

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