Hieronymus Bosch a Venezia




Un gioco dissacrante, che si diverte con le più assurde stravaganze irrazionali e simboliche? Uno stratagemma per essere originale in un’epoca di irraggiungibili titani della pittura? Un gioco cifrato per iniziati? Oppure una meditazione profonda — fedele ai principi dell’arte senza tradire una più profonda esigenza pedagogica —, delle verità ultime del Credo cristiano? Verità quali i Novissimi, le Cose Ultime, le massime questioni che prima o poi scuotono la vita di ogni uomo? Interpretare e capire la pittura visionaria dell’artista olandese Hieronymus Bosch (1453-1516) è impresa ardua, quanto affascinante. Per chi volesse assistere de visu allo spettacolo di questa folle lanterna magica che proietta immagini e storie mai viste prima nella pittura, è possibile visitare fino al 4 giugno la mostra allestita al Palazzo Ducale di Venezia con le tre sole opere di Bosch presenti in Italia. Si tratta di due trittici e di un polittico, che dopo un’accuratissima operazione di restauro, vengono ripresentati al pubblico rivestiti di tutto il loro magnifico splendore.

Che cosa ci colpisce dell’universo pittorico di Bosch, in queste tre opere, quali il Trittico di Santa Liberata, il Trittico dei Santi Eremiti e il Polittico delle Visioni dell’Aldilà? La ricchezza debordante di tutte le tavole del pittore olandese, solo all’apparenza suscitata da un horror vacui incontenibile, ubriaca lo sguardo e la mente. Infondo, al di là di tutte le domande e le spiegazioni generate da un’opera così fuori dell’ordinario e delle direttrici estetiche del suo tempo, vi sono degli aspetti che percorrono tutta la sua opera condizionandone lo stile e i messaggi. Anche se i romantici, con il loro gusto gotico e fantastico, la passione irrazionale per le rovine spettrali e le commistioni oniriche e grottesche, hanno interpretato Bosch secondo la loro sensibilità — per non parlare della più tarda psicoanalisi che farà dell’opera di Bosch un campo di esercitazioni selvagge delle proprie regole —, una visione ben connotata, suffragata dalla ricorrenza di alcuni inconfondibili elementi in tutte le sue opere, giace al fondo dell’ispirazione di Bosch. Il grottesco e l’irrazionale che trionfano nelle rappresentazioni del male e del vizio, come la bellezza fantastica e sfavillante del bene e della virtù, sono i due binari su cui scorre la sua pittura. Il terreno comune ad entrambi è una visione profondamente cristiana, nutrita dalla fede e non dalla speculazione intellettuale.

L’intelletto per Bosch non sarà mai capace di penetrare il mistero di Dio: le sue tavole disseminate di figure mostruose e teriomorfe, mescolanza di pesci abissali, uccelli ignoti, insetti e parvenze umane, le sezioni di corpi, ora mezzo sepolti ora assemblati alla rovescia con le braccia sulla testa o la testa sulle gambe, i personaggi bardati con armature di imbuti e di pentole e tutte le altre creature venute da chissà quali mondi, sfidano e avviliscono l’intelligenza più acuta. Si può procedere con l’interpretazione all’infinito. Ciò che si può cogliere è per lo più lo sfondo e l’asse che separa il mondo del bene e il mondo del male.

Dai Trittici del Giudizio, del Giardino delle Delizie, dei Peccati Capitali e dall’Allegoria dei piaceri, come dalle altre tavole di ispirazione religiosa dedicate alla Crocifissione, ai Santi, agli Eremiti e ai Martiri, incluse le tavole esposte a Venezia, si irradia un impeto della fede che si abbandona all’imponderabile mistero divino. L’intera economia della salvezza si dispiega di opera in opera, dalla caduta in Eden alla redenzione operata da Cristo con la sua Passione, Morte e Resurrezione, dal dramma della libertà che cammina su filo fragile e affilatissimo, al modello esemplare di santi, martiri ed eremiti, fino al sommo vertice del Giudizio delle anime ora scagliate negli Inferi ora trascinate in Paradiso. E sopra tutto, tra le caverne infestate di demoni, di fuoco e di animali orrendi negli abissi infernali della colpa arsi da un fuoco inestinguibile, come tra i boschetti e i giardini, i fiori immaginari e stupendi e le luci diffuse nel regno della beatitudine, splende un’altissima lezione di fede che mostra all’uomo le vie inique e le vie rette della libertà, con le loro conseguenze e i loro frutti. Che cosa deve fare l’uomo per guadagnarsi la vita eterna? A spronare l’uomo a scegliere per il bene, ecco le pitture rutilanti e debordanti che accentuano fino all’inverosimile la tenebra e le torture del male e dell’Inferno che lo fa espiare, come la luce e il gaudio infinito del bene e del Paradiso che lo premia. I colori, ora tetri e spettrali ora tenui e lucenti, le immagini ora mostruose, grottesche, funebri e assurde, ora raggianti santità, contemplazione suprema ed elevazione, i dettagli infine, minuti, sparsi ovunque e tutti accuratamente definiti, come i tanti piccoli animaletti repellenti o le sottili ed evanescenti creature angeliche che solcano l’etere con indicibile grazia, tutto è rigorosamente ripartito tra luce e tenebre, tra peccato e grazia, tra vizi e virtù, tra Inferi e Paradiso, ad indicare le vie maestre di una vita buona e degna di essere salvata.

Ciò che colpisce nelle tavole di Bosch è un’ulteriore contrapposizione, dal significato profondamente etico: nelle raffigurazioni del male e dell’Inferno la fantasia grottesca e deformante di Bosch si scatena e inventa le contaminazioni più folli e aberranti tra regno vegetale, animale, minerale e umano, creando delle figure che in natura non esistono. Un fiore o un albero con piedi umani, una testa che sbuca dalla terra come una zucca o un qualsiasi altro ortaggio, grovigli di membra umane che danno vita a dei mostri compositi cui si aggiungono attributi animali e vegetali, frutti sconosciuti con rami spinosi su cui posano uccelli-pesci dalle bocche carnose e i denti come seghe, mostri marini che volano trascinando tra i denti e masticando i corpi dei dannati, armature costruite con attrezzi da cucina, guerrieri dalla natura multiforme con piedi di papera, muso da uccello, gambe umane e forchette o cucchiai come spade. Tutto, in questi grovigli di orrori che connotano il male, è capovolto, scambiato, deformato e sovvertito con una fantasia e una libertà scatenate. Al contrario, nelle scene paradisiache, come nelle ante esterna ed interna di destra del Polittico delle Visioni dell’Aldilà — le ante esterna e interna di sinistra rappresentano gli Inferi con colori foschi e tetri, in un paesaggio vulcanico di fuochi, fumo e cenere —, o nella stupenda e leggiadra anta di sinistra del Trittico del Giardino delle Delizie, la luce è tersa e limpida, i colori tenui, chiari e luminosi, le figure armoniose.

Questi due ordini di stili e di contenuti, oltre ad indicare nella forma, nell’impasto cromatico e nell’uso della luce o della velatura, l’essenza stessa del bene e del male, ci ragguagliano anche sulla qualità intima di questi due principi contrapposti. Che cos’è il male nei dipinti di Bosch? L’anti-creazione, il sovvertimento dell’ordine e delle leggi di natura, il capovolgimento dell’universo che scardina dalle fondamenta l’opera di Dio. Tutte le contaminazioni, le combinazioni irrazionali e oniriche, i rovesciamenti grotteschi che danzano follemente nel regno della pena eterna, danno forma ad una precisa visione del Male: la distruzione della creazione divina, opera del Maligno che dà sfogo alla propria malvagità e invidia verso Dio allestendo con odio feroce un’anti-natura in cui nulla è più al suo posto. E il Bene? Se il Male viene tradotto figurativamente da Bosch in disordine e cancellazione delle leggi poste da Dio nella sua creazione, il Bene lungi dal presentarsi semplicemente come uno specchio limpido e fedele del creato nella sua bellezza, viene espresso dal pittore olandese come una ri-creazione che fa sfolgorare la magnificenza del progetto originario di Dio. I colori, la grazia delle figure, la natura circostante, il verde di prati e boschi e l’azzurro tenue e delicato del cielo, come le forme rutilanti dei fiori e delle piante simili a costruzioni di pietre preziose e oro, non sono semplicemente una ispirata e ingegnosa mimesi della realtà, ma una trasfigurazione e ri-creazione delle cose alla luce della gloria a cui sono destinate.

Il Male è anti-creazione, il Bene è ri-creazione, nella luce sublimata e gloriosa dell’eternità. Due sono le strade poste innanzi all’uomo sulla terra: una buia che corre sull’abisso, una illuminata che sale verso l’alto, in quel vortice di tenui azzurri ove l’anima ascende trascinata da un vento invisibile, aprendo le braccia verso una figura di luce che l’attende. Il tunnel dell’Oltre Vita è anticipato, prima delle testimonianze raccolte e diffuse negli ultimi anni e suffragate anche dalla ricerca medica, proprio da Bosch che nell’anta esterna di destra delle Visioni dell’Aldilà prefigura con spirito veggente il viaggio dell’anima verso il Regno di Dio. In questo senso l’opera di Bosch ci ricorda l’altra grande sintesi artistica dell’escatologia cristiana, dei Novissimi e delle cose ultime: la “Divina Commedia” di Dante. Perché anche Bosch, che l’uomo moderno ama trasformare in un acrobata irriverente e divertito che si trastulla come un giullare con le possibilità ludiche e fantastiche dell’arte, ci ha offerto con la sua opera un compendio grandioso della fede cristiana, reso ancora più penetrante e profondo dalla maestria squisitamente artistica. I suoi quadri non vanno solo guardati, ma contemplati e meditati, soprattutto per la chiarezza con cui bene e male vi sono distinti e connotati, rispetto alla palude che oggi intorbida e confonde le coscienze.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *