Günther Grass e il passato che non passa




Non si è ancora spenta in Germania l’eco per la morte dello scrittore Günther Grass, premio Nobel per la letteratura nel 1999, morto a 86 anni appena qualche settimana fa. Grass è stato infatti in maniera praticamente ininterrotta dal Dopoguerra ad oggi la coscienza critica più vivace del Paese e della sua memoria più recente: lo è stato in un modo che più pubblico non avrebbe potuto essere, scrivendo libri come narratore, rilasciando interviste sui quotidiani più importanti, apparendo in televisione. Da posizioni di sinistra estrema e di aperta rottura rispetto allo status quo politico e istituzionale ha polemizzato ripetutamente su tutto e tutti, dalla riunificazione della Germania (sostenne infatti che, fosse stato lui, il Muro l’avrebbe mantenuto eccome, per il ‘bene’ tanto delle due Germanie divise, quanto del Continente) alla politica di Israele verso l’Iran – considerata di aggressione – che gli costò il divieto d’ingresso nello Stato ebraico. Pacifista, sessantottino, penna militante, Grass in Patria è stato uno dei rappresentanti principali del movimento del Vergangenheitsbewältigung (letteralmente “superamento del passato”) che perdecenni si è battuto per tematizzare nell’agenda del dibattito pubblico interno tutte le colpe più recenti della storia del popolo tedesco, nessuna esclusa. Insomma, un implacabile accusatore, che non si è fatto mancare nulla. Il motivo per cui però lo citiamo qui è che dopo una carriera del genere, la stessa persona ammise – in un’intervista clamorosa alla Frankfurter Allgemeine Zeitung – di aver fatto parte delle SS da giovane. Già, proprio loro, le famigerate. Dicendolo, Grass aggiunse (a scanso di possibili equivoci) anche che lui nelle truppe specializzate naziste ci entrò proprio liberamente, di sua sponte. Nessuno lo obbligò. Lo fece perchè – così allora – era in cerca di quello di cui tutti i ragazzi del mondo a quell’età erano in cerca, a suo dire, cioè un po’ di avventura, un po’ di emozioni rischiose e un po’ di pericolo. Ora, tutto questo è riemerso prepotentemente nei giorni scorsi ma in realtà da quando fece uscire la confessione – tra l’incredulità esterrefatta, si capisce, dei 2/3 del popolo tedesco e forse anche più – praticamente il nome di Grass è stato costantemente associato a quel passato: anche se oramai erano trascorsi 70 anni e il mondo era diventato un’altra cosa. La vicenda però appare sintomatica del bizzarro modo di concepire la storia e dunque la politica ancora oggi in Europa. Grass, a suo modo, era infatti ancora un esponente delle ideologie: quasi tutte le sue dirompenti prese di posizione pubbliche erano marcate ideologicamente in un senso che più evidente non poteva essere. Siccome però lui era Grass, e le diceva da sponda sessantottina, gli si perdonava di tutto e di più anche quando le sparava che più grandi non era proprio possibile fare. Beninteso, questo vale per diecimila altri casi, se solo vi guardate un po’ in giro, dal che si capisce – se qualcuno ancora non l’avesse chiaro – che non tutte le idee sono uguali, nemmeno nel mondo degli uguali all’ennesima potenza.

Mutatis mutandis, non saremo noi a ricordare che in Italia per decenni è valso lo stesso. Ma il bello (o il brutto, a seconda dei gusti) é proprio che i capi della Rivoluzione rossa permanente, per così dire, molto spesso sono stati proprio i ‘neri’ di qualche anno prima: ne sanno qualcosa Dario Fo e Eugenio Scalfari per dirne due a caso, non proprio tra gli ultimi arrivati. Da balilla e repubblichini a leader e guide consumate della parte opposta (o chissà, forse alla fine, non così opposta) come nulla fosse, senza che alcuno – o quasi – vi trovasse nulla da ridire. E’ il trasformismo, bellezza, diceva quello. E non aveva tutti i torti. Si può dire tutto e il contrario di tutto purché si stia da una parte e lì si resti in eterno possibilmente perché il ‘male assoluto’ è solo uno, o almeno così pare di capire. Beh, a dispetto della retorica, si vede che i tabù non sono tutti caduti. Non stiamo qui facendo certo apologia di totalitarismo, evidentemente, e sappiamo bene d’altra parte che la Storia con la S maiuscola da sempre la scrivono i vincitori ma speravamo che almeno dopo Hannah Arendt in Germania le cose fossero cambiate, almeno un po’. E invece no. Grass è stato riverito con tutti gli onori fino a quell’intervista indipendentemente da quello che esprimeva (a volte, lo abbiamo detto, obiettivamente censurabilissimo e deprecabile) perchè appariva strumentale a un intero sistema della comunicazione pubblica e dell’informazione politica in generale che in Germania come altrove è uno dei più unilaterali che si possa immaginare. Quando poi è emersa la verità sul suo passato tutti a scandalizzarsi come se fosse stato toccato al cuore il loro onore personale. Invece sarebbe dovuto apparire ridicolo buona parte di quello che Grass aveva fatto fino ad allora politicamente per il semplice motivo – appunto – che la sua mentalità era legata in toto, ma diremmo meglio quasi deformata, da un pensiero talmente segnato dal pregiudizio che avrebbe fatto impallidire persino Hegel, uno che se la realtà non combaciava non nei suoi libri la scansava puntualmente. Insomma, è certamente grave che un ragazzo veda l’ingresso nelle SS come un’occasione di svago ma francamente, osservato alla lente d’ingrandimento, a nostro avviso ha più attenuanti lo sbarbatello incosciente che pensa di essere un eroe scherzando con la morte negli anni Quaranta che un uomo di 60 anni suonati che dalle cattedre della cultura alta sostiene seriamente la bontà di dividere un popolo a pezzi dandosi del fine pensatore e attendendosi di venire ricambiato da chi lo ascolta alle soglie del Duemila. Si chiami pure Günther Grass, firmi gli editoriali più letti della Domenica e si porti dietro il premio Nobel. E poi c’è chi dice che le idee del Novecento sono belle che finite: con che faccia, ragazzi, lo sa solo lui.

 

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