Friedrich von Schiller




Quando ci imbattiamo in alcuni grandi esponenti della cultura, dell’arte e della spiritualità del passato, spesso ci coglie un senso di inadeguatezza. Saremmo capaci noi oggi di toccare i loro stessi vertici di grazia, dignità morale, disciplina, preparazione e ricerca della verità?

Questa riflessione mi è stata ispirata dal poeta, drammaturgo e filosofo Friedrich von Schiller (Marbach am Neckar, 10 novembre 1759 – Weimar, 9 maggio 1805), di cui ricorre il 255° anniversario della nascita. L’associazione culturale “Friedrich Schiller” della nostra città ha voluto celebrarlo domenica 9 novembre con un concerto di musiche di Johannes Brahms e Hugo Wolf, con l’interpretazione del baritono Hao Wang accompagnato al pianoforte da Elia Macrì e alcune letture a cura di Valentina Ortolani.

Cosa ci colpisce tanto di questo uomo perfettamente realizzato in quanto uomo? Che cosa ci conquista di questa figura che guidò tutta la propria vita con il saldo timone della ragione e del sentimento portati al loro più alto livello di potenzialità ed espressione? Prima di ogni cosa, ad attrarci sono la disciplina, il rigore, l’applicazione quasi titanica nello studio e nella ricerca del sapere, la cura costante del carattere, l’attenzione sorvegliatissima alla propria vita interiore e alle dinamiche della coscienza.

Il suo genio spaziò dalla teologia alla giurisprudenza, dalla medicina alla poesia, dal teatro alla filosofia. Neanche un attimo della vita di Schiller ci sembra essere stato sprecato, buttato via o riempito con cose effimere e inutili. Nonostante il suo temperamento appassionato e vitale, seppe piegarsi alla dura disciplina degli studi presso l’Accademia del Duca Karl Eugen, dal cui arbitrio dipendeva la sicurezza materiale di tutta la sua famiglia. Dopo gli studi classici, si orientò verso la giurisprudenza, tralasciata più tardi per lo studio della medicina a cui riservò una cura particolare, approfondendo soprattutto i rapporti tra il corpo e la mente, la spirito e la vita sensibile. Parallelamente cresceva in lui la vocazione poetica, che sulle prime dovette reprimere su ordine stesso del Duca che non voleva lasciarsi sfuggire un giovane così promettente. Per lui infatti sognava una prestigiosa posizione a corte. Dopo essersi piegato alla volontà di questo “tiranno” ben celato dietro l’eleganza raffinata del suo Ducato, Schiller il 22 settembre del 1782 decise di fuggire. Viaggiò a Lipsia, Dresda e poi approdò a Weimar Qui si sposò con Charlotte von Lenge. Dalla loro felicissima unione nacquero quattro figli. Per anni lavorò con tenacia instancabile alle sue opere poetiche (“Gli dei della Grecia”), drammatiche (“I masnadieri”, “Don Carlos”, “Wallenstein”, “Maria Stuarda”), storiche e filosofiche, fino alla morte precoce per tubercolosi che lo colse il 9 maggio 1805.

La vita e l’opera di Schiller ci consegnano oggi un esempio di umanità compiuta e perfettamente conciliata grazie ad una paziente osservazione del mondo interiore ed esteriore. Senza nulla concedere ai furori titanici e alle esasperazioni sentimentali che avrebbero contagiato il più tardo romanticismo, Schiller portò a compimento la sovrana misura di un classicismo calibrato sull’armonia tra sensibilità e ragione. La sua proposta umana ed esistenziale ci appare oggi più che mai avvincente e degna di essere approfondita. In un mondo che ha perso la chiave dell’equilibrio morale e spirituale, il messaggio che Schiller ha consegnato a saggi filosofici come “Della grazia e dignità” (1793), “Kallias o della bellezza” (1793), “Della poesia ingenua e sentimentale” (1800) e “Del sublime” (1801), ci può aiutare a sciogliere i tanti nodi con cui complichiamo spesso la nostra esistenza. Sono quei nodi che il telaio della nostra vita interiore, sempre divisa tra le due spole degli istinti e della ragione — le due dimensioni del corpo e dello spirito studiate a lungo da Schiller medico —, annoda e aggroviglia nel corso della nostra maturazione umana. Schiller, da buon conoscitore delle dinamiche dell’anima, sospesa tra i dolci soffi degli angeli e i “turbini” oscuri dei demoni, approda ad una chiarissima conoscenza delle forze che muovono dall’interno l’uomo. Ne ha fatto esperienza, le ha analizzate, ha dialogato a lungo con esse e poco a poco ha maturato un’insuperabile arte nel tessere, secondo armonia e verità, l’impervio equilibrio tra la nostra innata ed altissima vocazione morale e le opposte spinte generate dalla frizione tra il mondo corporeo e i nostri sensi fisici. L’anima bella, termine coniato da Schiller stesso, è la mano sapiente che conosce per grazia innata l’arte di temperare i colori più sgargianti dei vivaci fili della sensibilità con la trama più fitta, ed uniforme nella sua lucentezza d’oro purissimo, dell’imperativo morale che è inciso nel nostro cuore. Il sentimento del sublime e la bellezza che in esso si rivela sono il tramite che permette anche ad un’anima non dotata della grazia di realizzare la propria nobiltà interiore attraverso la dignità. E sopra tutto si slancia l’integrazione tra le due: grazia e dignità, perché «soltanto dalla grazia — scrive Schiller — la dignità riceve la sua convalidazione, e soltanto dalla dignità la grazia riceve il suo valore».

Parole come queste possono trovare ancora oggi cittadinanza tra di noi? E lo sforzo conoscitivo, lo studio costante, l’instancabile applicazione che rendono possibile la loro traduzione in un costume interiore e in una condotta dotata di “dignità” e di “grazia”? Siamo disposti a tentare l’impresa? Noi così deboli, distratti, stanchi e spesso demotivati. Fin dalla più tenera età Schiller era stato educato dalla madre a perseguire la gentilezza, la bontà del cuore e la fiducia nella divina Provvidenza. Forse era questo il segreto della sua forza di carattere e del suo talento. Anche se per grazia era stato dotato di altissime facoltà e ideali, l’esercizio costante della volontà e l’orientamento sapiente del suo libero arbitrio ne perfezionarono le naturali potenzialità. La certezza che in tutto questo fosse all’opera un meraviglioso disegno divino agì da aggregante tra tante diverse facoltà. E da buon medico Schiller seppe applicare anche allo spirito il modello del corpo in cui il sangue scorre caldo e fluido e vivifica l’intero organismo grazie al cuore, il centro di tutta la nostra vita fisica, ma anche simbolo della vita spirituale e del suo centro, quel “Centro” al di fuori del quale stelle, pianeti e mondi deragliano e si polverizzano nella voragine vuota di un universo senza speranza.

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