Folla di pellegrini a Zagabria per San Leopoldo Mandic




La notizia della settimana questa volta arriva dalla parte dell’Adriatico dove sono da poco giunte le spoglie di San Leopoldo Mandic, il grande frate cappuccino montenegrino, eroico nell’esercizio del ministero della confessione, scelto appositamente – insieme al nostro Pio da Pietrelcina – dal Papa come patrono di questo Giubileo straordinario della Divina Misericordia. Si sapeva della venerazione degli amici croati per questo piccolo grande Santo dai modi semplici e umili ma l’entusiasmo dei giorni scorsi è andato anche oltre le aspettative. E, pensando a lui e a padre Pio, non si può non osservare come davvero la fantasia di Dio a volte compia meraviglie senza seguire schemi particolari. In effetti, a considerare semplicemente dall’esterno il loro profilo, entrambi erano frati cappuccini consacrati alla cura d’anime, uno si aspetterebbe una somiglianza pressoché perfetta. E invece no, anzi si può dire forse – senza esagerare – che i due Santi erano uno l’opposto dell’altro, almeno caratterialmente parlando. Tanto il nostro San Pio era severo e a tratti scontroso quanto San Leopoldo era generoso e sempre con il sorriso sulle labbra. Tanto l’uno era temuto quanto l’altro ricercato. Tanto il primo era noto per le penitenze da non scherzare che affibbiava alle anime che aveva in cura quanto il secondo divenne celebre per accollarsi lui le penitenze al posto dei fedeli che assolveva, espiate magari di notte. L’ennesima dimostrazione, se si vuole, come diceva uno scrittore tempo fa, della verità del Cristianesimo: uno si aspetterebbe che se il modello è unico per tutti (Cristo) i Santi che lo imitano in massimo grado e virtù siano giocoforza tutti uguali e invece no, la creatività dello Spirito Santo che agisce nella vita di Grazia è davvero senza limiti al punto che invano, persino nello stesso tempo storico, nello stesso carisma religioso, nello stesso ordine e nello stesso ministero, facendo le stesse cose, si trovano due Santi uguali. La circostanza, tuttavia, offre lo spunto per una riflessione sulla parola forse più emarginata e rimossa dal mondo contemporaneo: la parola ‘peccato’ che – pare – ormai solo con eventi universali tipo il Giubileo torna a fare capolino sui giornali e nelle cronache, se non altro per definire linguisticamente l’azione di quelle persone che entrano in una chiesa e si dirigono verso quel luogo strano chiamato confessionale. Invece, in una civiltà cristiana, o che almeno aspira ad esserlo, la centralità del peccato nella vita sociale e persino politica dovrebbe essere un fatto noto a tutti: il punto, evidentemente, è che tutta la storia della salvezza ruota intorno al peccato e a due peccati in particolare. Il peccato degli angeli che si ribellarono per primi a Dio scegliendo Lucifero come loro guida e il peccato dei nostri progenitori che rifiutarono l’ordine divino pensato da loro dal Padre per seguire a loro volta il tentatore. Senza questi due eventi drammatici (come li definisce il Catechismo stesso) tutta la nostra storia, personale e collettiva, sarebbe stata diversa, o non ci sarebbe stata affatto.

La rivoluzione degli ultimi tempi, in fondo, è tutta qui: nel rifiuto dell’esistenza del peccato e dunque dell’ordine di Dio, anzi, dell’esistenza di Dio stesso. E per non tornare sempre sul sesto comandamento, andiamo questa volta sui primi tre, che sono ben più importanti proprio perché dicono della sovranità – riconosciuta o no – a Dio. Ad esempio sull’osservanza della Domenica come giorno di culto e di riposo su cui pure a volte si sorvola alla grande, come se non fosse il giorno di Dio – riservato a Dio – ma il giorno mio e tutto mio per farmi gli affaracci miei, se ci passate il gioco di parole. Tra i giovani e giovanissimi, poi, da tempo il primato settimanale della Domenica ha ceduto il posto al sabato e al sabato sera in particolare: milioni di ragazzi in Europa oggi, anche se non da oggi, vivono – letteralmente – in funzione del sabato e del sabato sera (cioè, notte, sarebbe meglio dire) in particolare, attendendo quella sera come se fosse ‘la’ cosa più importante di tutta la settimana per l’appunto. Si fa l’alba a fare non si sa bene cosa (quando va bene) e poi la Domenica mattina, precisamente nel giorno della Risurrezione, come dice un popolare predicatore dei giorni nostri, sono tutti morti. Da una parte Gesù che risorge, dall’altra i morti viventi. Ne parlavamo tempo fa con riferimento alla ‘cultura dello sballo’ che ha caratterizzato purtroppo alcune recenti tragedie sociali in Germania ma, ci pare, il dibattito pubblico è rimasto ancora lì come se la voglia di mondanità fosse qualcosa di per sé troppo forte per opporvisi. Dovrebbe poi pronunciarsi, troviamo, anche la classe politica che a forza di alzare le mani su questo e quel tema etico è rimasta praticamente senza braccia quando si tratta di riportare sulla scena le ragioni di Dio. Non per fare una catechesi o una predica inopportuna (che comunque ogni tanto nel deserto di riferimenti ci starebbe pure) ma per dire quello che i primi educatori della comunità cristiana e in fondo anche San Pio e San Leopoldo, per tornare dritti al punto da dove siamo partiti, hanno sempre detto: ragazzi, il mondo passa con la sua scena e i suoi inganni, io pure passerò, ma Dio, che mi ha creato e mi ha redento ed è il motivo per cui vi parlo qui e ora, è eterno, il solo eterno che resta in eterno, anzi Lui è l’Eternità stessa e soprattutto, alla fine di tutte le chiacchiere, parliamoci chiaro…Dio è Dio.

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