“Ho licenziato Dio, gettato via un amore per costruirmi il vuoto nell’anima e nel cuore”.
Le parole riportate sopra si trovano all’inizio della canzone: “Cantico dei drogati” di Fabrizio De André (1940-1999) contenuta nell’album: “Tutti morimmo a stento” che il famoso cantautore genovese incise nel 1968. Molti però non sanno che il testo di quella canzone era tratta da una poesia (Eroina) del poeta anarchico e libertario Riccardo Mannerini, morto suicida dopo una lunga e grave depressione, amico ed ispiratore di De André. Interessanti le parole del cantautore genovese in ricordo di Mannerini (1927-1980): “Abbiamo scritto insieme il Cantico dei drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall’alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico … Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all’alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima”.
Molti sanno che i testi delle canzoni di De André (“La guerra di Piero”, “La canzone di Marinella” ed altri) siano stati talmente considerati dalla critica da finire nei testi di letteratura italiana alla pari di altri grandi poeti e scrittori. Interessante, nell’analisi del Cantico dei drogat , rilevare quell’articolo indeterminativo “un” che sottolinea la desolazione del testo e della canzone. Per un credente si sarebbe dovuto scrivere “l’Amore” (Dio) senza il quale non si può costruire nulla, ma per il celebre Autore, sempre secondo le sue parole: “Dio è un’invenzione dell’uomo, qualcosa di utilitaristico, una toppa sulla nostra fragilità … Ho sempre pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo, il che è esattamente quello che ha fatto l’uomo da quando ha messo piede sulla terra”. Dio pertanto è “un” amore o un’illusione come ce ne possono essere tante altre. La canzone prosegue coerentemente infatti senza alcuna speranza, dove il drogato, come l’alcolizzato, non sa porre una ragione alla propria esistenza: “Perché non hanno fatto delle grandi pattumiere per i giorni già usati per queste ed altre sere” e prosegue con un interrogativo incalzante senza risposta: “E chi, chi sarà mai il buttafuori del sole, chi lo spinge ogni giorno sulla scena alle prime ore”. Alcuni potrebbero obiettare che De Andrè, quando incise il successivo disco: “La buona novella” manifestò un bisogno religioso, seppur molto polemico e critico verso la Chiesa e le autorità religiose. Credo che al massimo, sempre secondo le sue testuali parole, si possa parlare di un panteismo e non certo di un Dio Creatore: “Io mi ritengo religioso e la mia religiosità consiste nel sentirmi parte di un tutto, anello di una catena … La mia religiosità non arriva a ricercare il principio, che tu voglia chiamarlo creatore, regolatore o caos non fa differenza”. Tutto così è un indeterminato “un” attraverso il quale criticare i soprusi dell’autorità, del potere. Il vuoto dell’anima e del cuore nella persona, non avendo riconosciuto l’Amore, annichilisce anche il dono del corpo e la sua accettazione responsabile: “Quando scadrà l’affitto di questo corpo idiota allora avrò il mio premio come una buona nota”. Cantando De André, come molti ancora fanno, soprattutto accompagnandosi dalla chitarra, si “impara” a non corrispondere a quel disegno provvidenziale di Dio che ha tanto amato il mondo e le Sue creature da sacrificare il Suo unico Figlio Unigenito Gesù. Un messaggio di Amore e di Speranza contro la tristezza, il pessimismo e la desolazione, un Cantico degli Uomini Vivi in Cristo opposto ad un Cantico dei disperati.
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