Eutanasia e suicidio assistito. Giù la maschera




Mentre in Commissione Giustizia e Affari sociali alla Camera si sta discutendo di eutanasia e testamento biologico, giunge quanto mai utile l’iniziativa dell’associazione Generazione Voglio Vivere, che ha pubblicato e iniziato a distribuire ai suoi abbonati l’opuscolo “Eutanasia e Suicidio Assistito. Il volto dietro la maschera”.

Il testo serve a fornire una corretta informazione sul tema dell’eutanasia. Normalmente infatti, classe politica ed opinione pubblica discutono senza avere la minima idea di quale sia la realtà e la verità scientifica. D’altra parte, la lobby pro-morte lavora incessantemente per manipolare le menti, creare confusione con un linguaggio inesatto e inculcare nella gente vere e proprie menzogne. La strategia è sempre la stessa, usata già per il divorzio e l’aborto: prendere un caso estremo e straziante, far commuovere, dire che è urgentissima una normativa che ponga fine a queste situazioni dolorose e convincere quindi le persone, sull’onda emotiva e sentimentale, ad approvare l’eutanasia.

Chi conosce anche solo qualche rudimento di teoria della comunicazione, non fatica a rendersi conto dell’inganno sotteso a certi concetti “talismanici”, quali l’amore verso chi soffre, il diritto ad una “morte degna” e alla autodeterminazione del paziente, e così via. Prima che sia troppo tardi, dunque, è necessario tentare il tutto per tutto per scongiurare l’approvazione di una legge che distruggerebbe inesorabilmente quel poco che resta di umanità nella nostra società. In Italia, soprattutto, siamo abituati a prenderci cura dei malati, a solidarizzare, a star loro vicino: fa parte della nostra identità e della nostra tradizione cattolica. Qualora divenisse legale l’eutanasia, secoli e secoli di civiltà verrebbero meno.

Prima di dare una visione d’insieme al libretto di Generazione Voglio Vivere, bisogna specificare che per affrontare la questione (ma lo stesso discorso vale per l’aborto, il divorzio, lo pseudo-matrimonio gay, e così via) occorre usare la razionalità e lasciar da parte il sentimentalismo. Certo, l’argomento non può prescindere dall’aspetto emotivo. Si parla di vita e di morte, di malattia e di dolore, di affetti e di persone care, in fondo di noi stessi. Tuttavia l’ordinamento giuridico e le leggi non si fondano sui sentimenti, per loro stessa natura mutevoli e variabili da persona a persona. Il diritto prescinde dalle emozioni. Se così non fosse sarebbe il caos. Detto ciò, vi sono tre grandi miti da sfatare.

Il primo: dicono che in Italia si registrano già migliaia di suicidi ed eutanasie clandestine. Ergo, è urgente una legge che regoli la situazione esistente ed elimini ogni abuso. Tutto ciò però è falso. Si tratta infatti di palese manipolazione dei dati statistici (si fece lo stesso con l’aborto e si continua a farlo sulle adozioni gay e l’utero in affitto). Non solo, si confondono anche i termini della questione, pasticciando tra le definizioni di eutanasia e di accanimento terapeutico. Infatti le presunte eutanasie clandestine altro non sono che legittima sospensione di cure inutili e sproporzionate. Peraltro, anche fosse tutto vero, è bene ricordare come il diritto serva a indicare ciò che deve essere e non ciò che accade nei fatti. Si verificano tanti furti e tanti omicidi, ma nessuno si sogna di proporre una norma che regoli il diritto a rubare e ad ammazzare.

Secondo mito da sfatare è il presunto valore assoluto dell’autodeterminazione del paziente. Dicono che legiferare sull’eutanasia non obbliga nessuno a sottoporvisi, ma a dare la libertà di poterlo fare a quanti lo desiderassero. Ma come misurare l’autodeterminazione? Chi può garantire che il paziente non sia oggetto di pressioni psicologiche e condizionamenti vari? Come si può asserire con assoluta certezza che è in grado di compiere una scelta così importante con piena libertà? Inoltre in tutto questo non si svilisce forse il ruolo del medico e la sua autonomia professionale? Il medico non può diventare mero esecutore della volontà del suo paziente. Se avesse il potere di togliere la vita (cosa  che peraltro è in totale contrasto col Giuramento di Ippocrate), diventerebbe un arbitro che può decidere, con tutti gli errori di valutazione del caso, chi è degno di vivere e chi no, aprendo scenari davvero inquietanti.

Infine, il terzo mito da sfatare è l’idea secondo cui una “buona” legge sull’eutanasia impedirà ogni abuso. Peccato che i dati reali di tutti i Paesi in cui l’eutanasia è legale dicano l’esatto contrario. Tanto per cominciare, in questi Stati dove ognuno può scegliere di “morire degnamente” quando e come vuole, il numero dei suicidi è aumentato. Inoltre, tutto sta a dimostrare che, come asserito dal medico olandese Theo Boer, docente all’Università di Utrecht (un convertito alla cultura della vita), basta una piccola falla nella diga per far crollare tutto, secondo il principio del “piano inclinato”. Se la vita perde il suo valore e la sua dignità intrinseci, tutto è ammesso, tutto è possibile. E così basta una depressione, un dispiacere, un piccolo malessere per ritenere la propria esistenza inutile e dunque chiedere ed ottenere la cosiddetta “dolce morte”. Anche perché in ballo c’è il denaro: sopprimere i malati costa meno che curarli ed investire nelle cure palliative. Lo Stato con l’eutanasia risparmia! Anni e anni di lotte per uno “Stato sociale” e questi sono i risultati?

Nei Paesi Bassi il numero di morti per eutanasia è in costante aumento e riguarda anche quanti non sono capaci di intendere e di volere (bambini compresi), con buona pace dell’autodeterminazione del paziente. C’è stato persino il caso di un uomo eliminato perché completamente solo e fallito nella vita… Inoltre, non si incorre in alcuna sanzione. I medici che abusano raramente finiscono davanti alla legge e, quando capita, sono prosciolti. Stesso discorso vale per il Belgio, dove i casi di eutanasia, rispetto al 2003, sono aumentati del 600%, sancendo in pratica il diritto del medico di uccidere quando lo ritenga opportuno. La Svizzera non è da meno e il suicidio assistito è praticato tranquillamente anche a chi è “stanco di vivere”. In Oregon (USA) e in Canada, poi, c’è una situazione particolare. I ricchi possono permettersi le cure palliative. Ai poveri, invece, si raccomanda il suicidio assistito, perché non hanno denaro sufficiente per pagare la terapia del dolore. Incredibile ma vero. E questa sarebbe giustizia?

A proposito di cure palliative, degna di nota è l’osservazione fatta dall’ex ministro della Salute, nonché medico, Girolamo Sirchia: «L’eutanasia è una grande mistificazione e un sofisma basato sull’assunto che il dolore sia peggio della morte. Questo ragionamento sbagliato si estende anche al darsi e a chiedere la morte, cioè all’eutanasia. In altre parole siccome morire è meno doloroso del dolore stesso, la morte viene considerata il male minore. Ma se alleviamo il dolore, il falso castello crolla. […] La società e i medici […] lavorano e assistono per curare, per lenire le sofferenze e non per uccidere. Perciò è incivile e dannoso negare la terapia del dolore solo perché in molti ospedali, specie di provincia, non si è in grado di applicarla. È così che si creano malati di serie A e B».

L’Italia si è attivata a riguardo solo nel 2010, con la legge n. 38 concernente “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. Ma finora i risultati stentano a farsi sentire. Non sarebbe allora meglio applicare la norma anziché occuparsi di eutanasia? Non sarebbe il caso di sostenere le famiglie con persone gravemente disabili, oggi troppo spesso abbandonate a se stesse? Oltretutto, come dimostra l’approccio psicoterapeutico della Dignity Therapy, presentato per la prima volta dallo psichiatra Chochinov, generalmente il malato che dà un senso alla sua sofferenza e che viene assistito con amore, non chiede di morire. Una legge che consentisse l’eutanasia, invece, eserciterebbe, almeno implicitamente, sul paziente un’indebita pressione perché chieda di essere tolto di mezzo in quanto rappresenta un peso per i familiari e un costo per la Sanità pubblica.

A queste argomentazioni razionali, per un cattolico (e ancor di più per un politico cattolico) vanno aggiunti i pronunciamenti chiarissimi del Magistero della Chiesa. Il documento base per orientarsi è la Dichiarazione sull’eutanasia “Iura et bona”, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1980 e richiamata da Papa Giovanni Paolo II nell’enciclica “Evangelium vitae”. Senza dimenticare le “Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale Statunitense circa l’alimentazione e l’idratazione artificiali”, sempre dello stesso dicastero vaticano e pubblicate nel 2007.

Se vogliamo evitare di vedere nel prossimo futuro una società ancora più egoista e fondata su quella che Papa Francesco chiama “cultura dello scarto”, occorre agire con tutti i mezzi a disposizione. «La battaglia contro l’eutanasia e il suicidio assistito – conclude l’opuscolo – non possono essere esclusivo appannaggio dei credenti, perché ogni persona dotata di retta ragione può facilmente comprende verso quale abisso cadremmo una volta stabilite per legge la liceità di azioni gravemente immorali».

di Federico Catani

Fonte: http://www.campariedemaistre.com

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