Nella commedia “Triestiner”, che ha ottenuto un grande successo al Bobbio, fa capolino il dramma dell’aborto. Massimiliano Forza: questo dramma viene sempre eluso, ridotto a un non problema.

“Dopo niente sarà più come prima. Niente”




La commedia “Triestiner”, che lo scrittore Massimiliano Forza ha adattato insieme a Giuseppe Emiliani per il teatro dal suo omonimo romanzo, si distingue per la forza della sua ironia e del suo graffiante umorismo. Qui, più che ridere, si sorride e sorridendo si riflette, si va in profondità nella trama complessa dei mille chiaroscuri della vita umana.

La rappresentazione, che ha riempito la platea del Bobbio da venerdì 21 a domenica 30 novembre, mette in scena un gruppo di triestini che vive a Londra rimanendo attaccato al carattere, ai tic e alle manie propri alla gente della nostra città. L’autore, sulla linea delle commedie classiche, ha voluto cogliere in questo microcosmo ostinato e ripiegato sulla propria indole il macrocosmo dell’uomo di sempre, alle prese con se stesso, con i drammi della vita e con gli incerti del destino.

L’inserimento alla fine del primo atto di un dramma appena accennato e profilato con somma delicatezza, affina e apre la commedia ad una dimensione verso cui spesso si hanno grandi reticenze e chiusure: il tema dell’aborto.

 

Il sipario aperto su una realtà taciuta

«Non volevo imporre una visione ideologica, ma solo aprire lo sguardo e l’anima dello spettatore a una tragedia non riconosciuta, ad un lutto, un vero lutto, misconosciuto e per questo assai complicato da elaborare — ci spiega l’autore —. Al di là di condanne urlate, ma anche lontano dall’appiattimento di un certo laicismo che scavalca il dramma o lo riduce a una questione puramente etica, io da cattolico, artista e scrittore ho solo aperto il sipario su di una realtà, una presenza, un dramma che esiste, anche se quasi sempre taciuto. È inutile disquisire tanto, qui si entra nel terreno di qualcosa di sacro e tutti lo sanno e lo sentono, per quanto tentino di negarlo. Io ho voluto mostrare questa realtà innegabile, al di là di ogni coloritura politica o ideologica».

Il personaggio interpretato da Ariella Reggio è una madre spietata, crudele, dispotica che possiede l’innegabile arte di distruggere tutti i sogni sentimentali della figlia. Fino ad un certo punto si ride di questo suo cinismo colto nelle sfumature più vernacolari del personaggio che dà del “zarlatàn” a tutti i pretendenti della figlia.

 

Storia di un’amarezza di fondo

Ma dietro c’è di più, ci spiega Massimiliano Forza. Il presagio di una misteriosa incrinatura, un’amarezza di fondo che è come il siero avvelenato di una ferita non rimarginata e ormai inguaribile, si avverte sin dall’entrata in scena del personaggio. Poi, grado per grado, un flashback alla fine del primo atto sospende il ritmo brillante della commedia senza tuttavia spezzarlo. In un intreccio di voci tra passato e presente, veniamo a sapere che un oscuro tragico evento ha condotto la donna sull’orlo della follia. Le parole di chi ricorda quel dramma e lo sfogo fatto di spasmi e lamenti disperati della donna, ora del tutto sola sull’orlo di un baratro, scavano un tunnel freddo, buio, senza fine, con il ritmo inesorabile di tante piccole gocce corrosive che in silenzio cadono su un cuore che sanguina.

«Le conseguenze fisiche e psicologiche di un aborto sono ormai riconosciute — precisa Forza —.Ma poi, nella vita di tutti i giorni questo dramma viene sempre eluso, ridotto a un non problema, addirittura a una cosa di poco conto». Depressione, alcolismo, cinismo distruttivo, rimorso devastante e follia, sono solo alcune delle conseguenze di questa esperienza di morte. Perché altro non è se non un tragico terribile momento in cui la vita e la morte si incrociano e lottano, in un duello che lacera l’intimo più intimo della coscienza, lasciando cicatrici che non si cancellano più.

 

La sdrammatizzazione forzata e disonesta

«Bisognerebbe informare meglio le persone, risvegliare la loro coscienza mostrando quali saranno le conseguenze di una scelta senza ritorno. E invece spesso non si dice nulla alle donne, o troppo poco, si minimizza, si fa passare questo dramma per una cosetta da niente, una sorta di operazione di routine. Questa sdrammatizzazione forzata e in definitiva disonesta è responsabile di mali immensi, che tuttavia, quasi sempre rimangono sepolti soltanto nella memoria di chi vi resta coinvolto», conclude l’autore.

Senza manifesti, retorica, schieramenti o ideologia, Forza si avvale del proprium del linguaggio artistico che è quello di portare alla luce nella loro nudità le dinamiche della vita. Le cose stanno così e sono sotto gli occhi di tutti, suggerisce la commedia ad un’umanità impaurita e incerta. E una volta fatte certe scelte, come si ripete in una sorta di refrain da tragedia antica alla fine dell’ultimo atto, “dopo niente sarà più come prima. Niente”.

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