Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei




Nei palinsesti televisivi ricorrono assai di frequente programmi di intrattenimento e insieme di divulgazione che mirano a informare in modo agile, accattivante e simpatico. Il pubblico da qualche tempo pare gradire, con una costanza ammirevole, il documentario geografico-turistico condito con qualche pizzico di folklore e dosi ben più massicce di curiosità gastronomiche. Accade così che i luoghi – paesini, città o intere nazioni – ci rimangano impresse nella memoria quasi esclusivamente per le loro abitudini alimentari. Di questo passo finiremo per dare un’immagine del nostro paese simile al moderno stereotipo anglosassone: la penisola degli spaghetti e, come recitava una vecchia pubblicità, delle “donne che si alzano presto per cucinare” (frase pronunciata fuori campo con inconfondibile accento inglese, sullo sfondo di una Capri tutta azzurro e sole). Almeno gli aristocratici inglesi e americani, che venivano in Italia tra l’800 e i primi del ‘900 per guarire la tisi o la malinconia, ricercavano le città d’arte e preferivano “nutrirsi” di affreschi, scorci incantevoli di paesaggi al tramonto, passeggiate notturne tra le ombre della Roma barocca.

Anche la nostra città è stata presa di mira dalle telecamere di uno di questi programmi, con una puntata trasmessa di domenica alcune settimane fa, guarda caso proprio all’ora di pranzo. Chi non è mai stato a Trieste, dopo aver visto questo “contenitore” divulgativo, si sarà certo fatto della nostra città l’idea di una specie di isola di “Bengodi” in cui si passa il tempo a mangiare, bere e andare per “osterie”. Si è parlato di vino terrano, di cotto in crosta, di pesce, di dolciumi vari — per fortuna che qui il sapore si è un po’ addolcito grazie anche ai cristalli e alle deliziose chicche di una delle nostre pasticcerie più raffinate e fiabesche, dall’aspetto ben più gradevole dell’antro fumoso di un nostro amatissimo buffet ―, di ortaggi e di tavolate di porzina.

Della nostra storia, della nostra tradizione culturale e delle nostre bellezze artistiche – non solo quelle che si possono masticare e gustare saporitamente -, non più di qualche cenno sporadico e fugace, così, tanto per levare un poco il tono. Trieste, un tempo capitale culturale e anche economica della Mitteleuropa, caleidoscopio di popoli, religioni e culture, avamposto letterario del primo Novecento, nonché luogo dotato di una straordinaria ricchezza paesaggistica, si è così ridotta a quella scena del programma, più grottesca che folkloristica, in cui il presentatore brinda con gli avventori non del tutto sobri di un nostro celebre buffet davanti a una tavolata di salsicce e porzina fumante. “Evviva”, brindano tutti insieme gli allegri commensali, felici di entrare nelle case degli italiani con le loro facce rubiconde e ravvivate dal profumino della ben rosolata carne di suino. Anche noi siamo contenti, specie per esserci fatti un bel nome, ovvero: Trieste, la città del cotto in crosta, del corroborante vino e dei prosciutti trionfanti.

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