Il Wall Street Journal seppellisce i falsi allarmi malthusiani: sono denatalità e invecchiamento della popolazione le vere “bombe demografiche” per l’economia

Così il declino demografico del mondo minaccia l’economia




«Nel 1798 Thomas Malthus, un saggista britannico, sostenne che l’umanità si sarebbe riprodotta più rapidamente di quanto potesse aumentare la produzione alimentare, causando povertà e inedia. Aveva torto». Tanto è vero che se «le scorse generazioni erano preoccupate perché nel mondo c’erano troppe persone», per noi oggi se mai «il problema è che ce ne sono troppo poche». Lo scrive Greg Ip per il Wall Street Journal, in un articolo contenuto nello speciale che il quotidiano americano ha dedicato al “destino demografico” del mondo. Il dossier approfondisce da diversi punti di vista le proiezioni elaborate dalle Nazioni Unite per il 2050, aggiungendo non solo contenuti ma anche notevole cura grafica e ricchezza di illustrazioni interattive.

QUESTIONE ANCHE ECONOMICA. Per il Wall Street Journal il problema della demografia è talmente universale ormai che tutti gli economisti dovrebbero interessarsene. È dall’inizio della crisi finanziaria globale, infatti, che gli addetti ai lavori si chiedono come mai la ripresa stenti tanto a decollare un po’ ovunque, scrive Ip. La colpa di questa sciagura è stata attribuita alle cause più disparate, dall’austerità alla dissoluzione dell’euro. Ma ora comincia a prendere piede una chiave di lettura fin qui abbastanza trascurata: tra i vari elementi che aggravano la situazione dell’economia, un peso di primo piano va attribuito al declino demografico del pianeta.

SENZA LAVORATORI. Secondo l’Onu, ricorda il Wall Street Journal, l’anno prossimo per la prima volta dal 1950 la popolazione in età lavorativa delle economie sviluppate registrerà un segno meno, e «entro il 2050 si ridurrà del 5 per cento. Le fasce dei lavoratori si restringeranno anche in mercati emergenti chiave come la Cina e la Russia. Allo stesso tempo in questi paesi la quota di abitanti sopra i 65 anni di età andrà alle stelle». Le cause del fenomeno sono quelle che i lettori di Tempi conoscono bene: invecchiamento della popolazione e declino della fertilità. Il Wall Street Journal ne osserva le «conseguenze economiche». «Semplificando, le aziende restano senza lavoratori, senza clienti o senza entrambi. In ogni caso, la crescita economica ne risentirà». Senza dimenticare che mano a mano che invecchiano, i consumatori cambiano abitudini, comprese le abitudini di spesa.

FATTORE GLOBALE. Tutte queste cose, continua l’articolo, possono contribuire a spiegare, per esempio, perché negli Stati Uniti una ripresa debole tutto sommato abbia sortito effetti notevoli sulla disoccupazione (non c’è bisogno di tanti posti se gli ingressi nel mercato del lavoro diminuiscono). O perché, per fare altri esempi, la Grecia abbia così tanti problemi con le pensioni, o perché Germania sia così restia a stimolare la propria economia (molti pensionati = pochi consumi e molto risparmio).

SCENARIO IMPREVISTO. «Si tende a credere che le forze demografiche siano lente e prevedibili», scrive Greg Ip, ma lo scenario che abbiamo davanti sta prendendo tutti in contropiede. Il Wall Street Journal raccoglie in merito l’opinione di Amlan Roy, analista demografico di Credit Suisse, che definisce la tendenza «eccezionale e senza precedenti». Ci sono voluti 80 anni – osserva Roy – perché l’età mediana della popolazione degli Stati Uniti aumentasse di 7 anni raggiungendo i 30 nel 1980. Da allora di anni ne sono passati solo 35 e l’età mediana ha raggiunto i 38 (con un aumento di otto).

IL CASO GIAPPONE. Il quotidiano statunitense rinuncia a indicare soluzioni universali al problema, anche perché ha cause e sviluppi diversi da paese a paese. Tuttavia – è già qualcosa – archivia definitivamente gli antichi allarmi sulla sovrappopolazione del pianeta «compendiati da La bomba demografica di Paul Ehrlich nel 1968 e da I limiti dello sviluppo del Club di Roma nel 1972» (i libri-manifesto che diedero le basi ideologiche alla campagna globale per il controllo della popolazione). Quarant’anni dopo, suggerisce il Wall Street Journal, visti i tassi di fecondità in discesa ovunque, i leader del mondo farebbero bene a studiare piuttosto il caso del Giappone: «Nel 1996 la sua popolazione in età da lavoro ha iniziato a contrarsi, e pochi anni fa la stessa cosa ha fatto la popolazione totale».

LA STRADA SBAGLIATA. Scrive Ip: «Il Giappone è un caso estremo ma il resto del mondo sviluppato e molte economie emergenti stanno seguendo strade simili. Entro il 2050 la popolazione mondiale sarà cresciuta del 32 per cento, ma la popolazione attiva (tra 15 e 64 anni di età) aumenterà solo del 26 per cento. Tra i paesi avanzati, secondo le Nazioni Unite, la popolazione in età lavorativa si contrarrà del 26 per cento in Corea del Sud, del 28 in Giappone e del 23 sia in Germania che in Italia. Per i paesi a reddito medio crescerà del 23 per cento, guidata dall’India con il 33 per cento. Ma il Brasile arriverà appena al 3 mentre Russia e Cina ne perderanno il 21 per cento. Tra i paesi ricchi, gli Stati Uniti restano demograficamente fortunati: la loro popolazione attiva dovrebbe crescere del 10 per cento entro il 2050. Ma il suo peso sulla popolazione totale calerà dal 66 al 60 per cento».

Fonte: http://www.tempi.it

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