Leggere nel cuore degli uomini è un’ardua impresa. Dio solo scruta fino alla radice l’anima. Guardandoci gli uni gli altri vediamo solo l’esteriorità fatta di gesti e parole e dietro questo involucro, se siamo appena un po’ perspicaci, cogliamo in modo incerto qualche scorcio della mente e non andiamo oltre una generica cognizione psicologica.
Se ci dovessimo fermare alle molte parole che ciascuno dice durante il giorno, l’impressione non sarebbe delle migliori: chiacchiere, maldicenze, lamentele, giudizi affrettati, banalità. Per giustificare questa abitudine a macinare tante parole, il più delle volte insensate e inutili, possiamo servirci di una metafora. Come la polvere, quando viene sollevata dal vento, ci appanna gli occhi e ci fa tossire, così il “pulviscolo” finissimo e insidioso delle pene e delle noie quotidiane ci vela lo sguardo e ci fa emettere un sacco di parole sconclusionate e in tutto simili a colpi di tosse, essendo entrambe l’esito di un’invasione all’interno del nostro corpo o del nostro essere di elementi estranei e dunque mal tollerati. Per fortuna vengono anche i momenti in cui l’aria è pulita, gli occhi vedono chiaramente e il respiro è agevole e piano. Allora non si “tossisce” né si parla. Si rimane in silenzio, si ascolta e ci si concentra così intensamente sulla propria interiorità da dare veramente il meglio di sé: siamo noi stessi, muti, assorti, rilassati eppure attenti, sintonizzati su qualcosa che non ci opprime, ma ci comprende dolcemente.
Queste riflessioni mi sono state ispirate da un concerto che si è tenuto venerdì 31 maggio nella chiesa di San Giacomo Apostolo, dove la Cappella Tergestina, diretta da Marco Podda, ha eseguito alcuni brani di musica sacra. Titolo della serata: “Lodate Dio con arte”, ispirato ad una serie di riflessioni sulla musica di Benedetto XVI lette negli intermezzi tra un’esecuzione e l’altra.
Non si può dire che ci fossero tante persone, ma quelle presenti mi hanno colpito per la concentrazione, per la capacità di cogliere la bellezza del canto e soprattutto per la qualità dell’ascolto. Tutto il fardello delle cose ordinarie, incluso il corteo di chiacchiere che felicemente abbondano ogni giorno proprio sulla piazza della stessa chiesa e magari con quelle stesse persone ora così rapite e come trasfigurate, spazzato via dalla scia di suoni e voci potenti e purissime. Quella sublimazione, quella trazione verso l’alto, che nei momenti di forte tensione spirituale toglie a tutti noi la maschera non sempre molto bella che ci nasconde il volto, ha abbracciato ogni persona.
Le riflessioni di Benedetto XVI sulla potenza della musica che apre allo sguardo interiore la visione dell’eternità e dell’infinito e fa sentire all’udito spirituale la sinfonia di Dio, erano lì presenti, incarnate in quell’ascolto comune. La musica, come avvicina l’uomo a Dio e Dio all’uomo, così avvicina gli uomini gli uni agli altri nel grembo dell’Altissimo, perché solo lì noi siamo veramente ciò che siamo, liberi dalla “polvere” delle nostre debolezze e dei nostri affanni.
La musica ci fa più belli, più elevati, più veri, forse proprio perché siamo obbligati a tacere e ad ascoltare.
Certo, alla fine del concerto tutti ritorniamo alle nostre case, molti dei presenti quella sera stessa o il giorno dopo hanno ripreso a chiacchierare nella piazza, a lagnarsi, malignare, in una parola a “tossire” per colpa di quella “polvere” noiosa che l’alito della musica e del canto aveva per breve tempo spazzato via. Per questo sarebbe bello che in città ci fossero più momenti di musica e canto sacri e che entrambi fossero molto curati nella liturgia.
Più si impara ad ascoltare, più si impara a tacere, ad apprezzare le virtù purificanti del silenzio o della musica. La musica sacra è la lingua del cielo e degli angeli, universale e unica, luogo supremo ove recarsi per porre un qualche rimedio alle tante frantumate lingue che ci separano, ci limitano e tengono basso il nostro volo.
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