Paola Liberace in un suo libretto ci spiega come fare a riconsegnare l'educazione n mano ai genitori, altro che Welfare State.

“Ci vogliono più asili nido!”, ma è proprio vero? Restituire i figli ai genitori




Nel dibattito pubblico si possono constatare degli assunti da tutti asseriti senza bisogno alcuno di fornirne ragione, delle “verità” che nessuno osa contestare e che mettono magicamente d’accordo tutti. Una di queste è: “Servono più asili nido!”. Ogni qualvolta si affrontino tematiche attinenti la maternità, il welfare per le famiglie, la questione demografica, etc. non c’è politico, giornalista, opinionista che non si trovi d’accordo nel sentenziare “Servono più asili nido!”. Il più laicista dei radicali e il navigato democristiano, la femminista marxisteggiante e l’ex missino passando per ogni altra declinazione del vasto spettro ideologico sono tutti perfettamente concordi sul punto: “Servono più asili nido!” Chi li vorrà pubblici e gratuiti, chi espressione della libera iniziativa privata, chi per “liberare” le donne e chi per favorire la natalità ma tutti sicuri e convinti che “Servono più asili nido!”.

Così quando mi è capitato tra le mani il volumetto “Contro gli asili nido. Politiche di conciliazione e libertà di educazione”, essendo per natura un bastiancontrario, non ho saputo resistere e me lo sono letto d’un fiato. Il libro è agile, 82 pagine in tutto, edito da Rubettino nel 2009. Autore non è un pericoloso reazionario magari appartenente a qualche gruppetto tradizionalista, non è neppure un Amish dell’Ohio (curiosamente tradotto in italiano) ma una  giornalista de Il Sole 24 ore, sposata con due figli, Paola Liberace. E, come non bastasse, il volume è prefato dall’onorevole Valentina Aprea di Forza Italia, insegnante, dirigente scolastico e allora Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

Si legge con piacere per chiarezza e serenità nell’esporre argomenti sempre suffragati da dati e riferimenti precisi. Interessante come l’Autrice riconduca il modello che vuole “asili nido per tutti” alla DDR (la Germania Est socialista) sottolineando come siano stati proprio i regimi comunisti a pensare l’accudimento e l’educazione dei bambini sottratta ai genitori e affidata a strutture pubbliche. Nel 1989 nella DDR gli asili nido accoglievano l’80% dei bambini, le scuole materne il 95%. Da anni, senza dirlo apertamente, si sta proponendo il modello DDR all’Italia! Scrive a commento la Liberace: “L’opzione unica e incondizionata per gli asili nido […] avrebbe l’effetto di istituzionalizzare – come nel precedente della DDR – la lontananza dei bimbi dai genitori, sin dai primi mesi. Ci troveremmo di fronte alla manifestazione su larga scala di conseguenze psicologiche e sociali ancora non perfettamente note; e laddove siano già state indagate, come abbiamo visto, i risultati sono tutt’altro che confortanti. Prepariamo la strada a una generazione senza famiglia” (p. 34).

Conseguenze psicologiche e sociali … perché non dimentichiamo che è profondamente innaturale sottrarre un bimbo alle cure materne per affidarlo a strutture artificiali come asili e simili. Un tempo nessuna persona di buon senso avrebbe accettato per i propri figli ciò che oggi è considerato grande progresso sociale; gli asili (nido e non) non nascono infatti come opportunità perfettiva per i bimbi delle famiglie “normali” ma come estrema ratio filantropica per sottrarre all’abbandono e al degrado i figli delle operaie più povere e disagiate nei quartieri industriali delle periferie sub-urbane, l’ideologia socialista ne ha poi fatto un mezzo per collettivizzare la cura e l’educazione dell’infanzia, noi europei d’oggi riusciamo persino a vedervi un optimum educativo. Ciò che nacque come estrema alternativa alla strada e all’abbandono oggi è presentato come meta da agognare rivendicandone il diritto: “diritto ad asili nido per tutti!”.

Si è completamente perso di vista l’ordine naturale delle cose per il quale i figli debbono essere curati, accuditi ed educati dai genitori e non da strutture pubbliche. E per curare, accudire ed educare è necessario che i genitori stiano con i figli, che i figli crescano in famiglia! Ecco allora la parte propositiva del libro: un modello di società che rimetta al centro la famiglia, il ruolo educativo dei genitori, la maternità che non si esaurisce nel parto ma è missione di cura e di formazione dei figli.

La Liberace parla, ad esempio, di un welfare che sussidi le mamme che scelgono di non lavorare fuori casa per dedicarsi alla cura dei figli e, scrive, sondaggi alla mano: “messi [i genitori] di fronte a un’alternativa realmente aperta, questi preferirebbero allevare personalmente i loro bambini” (p. 39). È proprio un altro modello, un’altra idea di società! E và ben oltre la questione degli asili nido, porta con sé il principio non negoziabile della competenza genitoriale dell’educazione riconoscendo che “l’educazione dei figli spetti in ultima istanza ai genitori […] che hanno indiscutibilmente l’ultima parola sull’allevamento dei figli” (p. 42).  È il principio a base della scuola parentale e dell’homeschooling.

“Disfarsi dei figli, magari per affidarli allo Stato, non può e non deve restare l’unica alternativa” (p. 55), così Paola Liberace presenta “la donna a casa con i bambini” (p. 43) non come un tuffo nel passato ma, piuttosto, come un ritorno al futuro in un nuovo modello capace di conciliare famiglia e lavoro rispettando la maternità, il diritto/dovere dei genitori ad educare i figli, il diritto dei figli a crescere in famiglia con le cure di mamma e papà. La Liberace parla così di un welfare che sostenga la scelta “casalinga” delle mamme (la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre insegnato la doverosità del “salario familiare”), di una organizzazione del lavoro che favorisca il tele-lavoro da casa o la micro imprenditorialità domestica  (una mamma che resta a casa coi figli ma non rinuncia alla sua professionalità e dedica qualche ora al giorno al lavoro non-familiare dovrebbe essere agevolata), di un fisco pensato a favore delle famiglie.

Purtroppo anche noi cattolici, in questi ultimi decenni, siamo caduti nell’inganno socialdemocratico facendo nostra una idea di welfare che, se analizzata, si rivela in verità incompatibile con la Dottrina sociale della Chiesa perché incompatibile con l’antropologia cristiana. Anche sul tema “asili nido” e più in generale della cura e dell’educazione dell’infanzia non sono pochi gli abbagli in casa cattolica, anche per paura d’andar contro corrente. Dovremmo invece rimettere al centro i diritti/doveri della famiglia, il principio non negoziabile della competenza genitoriale alla educazione dei figli, il valore sociale della maternità, la diversità complementare di uomo e donna, di marito e moglie, di padre e madre, la nobiltà della vita domestica che per una moglie e madre può costituire una vera e propria vocazione.

Ciò detto non trovo miglior conclusione che ringraziare Paola Liberace per il coraggioso volumetto, invitare tutti a leggerlo e lasciare a lei l’ultima parola: “Le radici della cosiddetta emergenza educativa sono qui. […] Per arrestare la deriva è indispensabile tornare alle sue radici; restituire alla famiglia la responsabilità di educatrice che le compete […] Il miglior antidoto all’emergenza educativa è la presenza costante e avvertita della famiglia: soprattutto nel momento cruciale della prima infanzia, in cui tutti gli altri successivi saranno fondati. È qui che bisogna agire, se si vuole innescare un cambiamento. Essere genitori è una questione di libertà e di responsabilità […] Mettere padri e madri in condizioni di operare una scelta effettiva, considerando la possibilità di seguire personalmente i figli, vuol dire riconoscere loro la responsabilità della decisione, mettendoli di fronte all’onere della genitorialità. Perché fare un figlio significa molto più che mettere al mondo un nuovo individuo, trasmettergli il cognome, allattarlo a oltranza, magari per poi affidarlo alle puericultrici di Stato. Così come fare un padre e una madre significa molto più che spingerli a procreare, tra una timbratura di cartellino e l’altra, magari assicurando loro che potranno contare su una rete capillare di asili nido pubblici. La vita dei figli è legata alle scelte dei genitori che li hanno messi al mondo: dipende da loro, ben oltre la rescissione del cordone ombelicale. Genitori si diventa realizzando che i figli sono affare proprio: un affare impossibile da delegare, da accantonare, da far passare in secondo piano. Nessun’altra esigenza – quella collettivista, quella produttiva, quella emancipazionista – può essere anteposta al diritto dei bambini di crescere nell’equilibrio, nella serenità e nell’amore: un diritto che nessuna legge sancisce, ma che solo la libertà e la responsabilità della mamma e del papà possono difendere” (pp. 80-82).

3 risposte a ““Ci vogliono più asili nido!”, ma è proprio vero? Restituire i figli ai genitori”

  1. Valentina ha detto:

    Da donna ritengo questo vostro articolo aberrante!!! Le donne, che siano mamme o no, hanno diritto a poter lavorare e a poter godere di una loro indipendenza economica: chi è contrario commette un reato che si chiama violenza economica. Il loro diritto ad avere un reddito è uguale a quello degli uomini. Una donna, dopo che ha studiato e investito nella sua formazione per anni, con notevole fatica e impegno, non deve essere costretta a rinunciare alla propria autorealizzazione e alla propria soddisfazione lavorativa per chiudersi in casa. Restare per anni fuori dal mercato del lavoro produce discriminazioni in fatto di carriera e di stipendio, si veda l’elevatissimo gender pay gap e il basso tasso di occupazione femminile. Quello che serve sono priprio asili nido (se entrambi i genitori lavorano come deve essere non si può lasciare il bambino solo) e una più corretta distribuzione del carico famigliare che ancora oggi pesa putroppo maggiormente sulle donne, molto spesso incapaci di pretendere una vera divisione dei compiti al loro compagno

    • Maria ha detto:

      Nell’articolo non si parla di obbligare le donne a restare a casa con i figli. Si propone di lasciarle invece LIBERE DI SCEGLIERE senza che l’eventuale scelta – (ripeto: SCELTA) di restare a casa o di limitare l’impegno lavorativo non sia economicamente un suicidio.
      Sono una mamma che lavora part time come ingegnere e che (con 6 figli) non può e non ha mai potuto scegliere di restare a casa.
      È proprio questa coercizione ad essere ingiusta secondo me. Perché ad es. dovrebbero darmi 600 euro al mese x mettere mio figlio in un nido e non potrebbero darmi la stessa cifra se me lo tenessi a casa x tre anni?Comunque sono d’accordo sulla divisione dei compiti: anche i padri dovrebbero avere il loro periodo di “congedo di paternità”. Per esperienza però sarebbe meglio che scattasse all’ingresso del figlio nella preadoloscenza!!

  2. Amedeo Rossetti ha detto:

    I padri hanno a disposizione il periodo di “congedo di paternità”.Pochi lo sanno e meno ancora ne usufruiscono.
    Riguardo alle donne, ritengo che queste debbano essere messe in condizione di poter rinunciare al lavoro in favore della maternità senza troppi aggravi economici.
    Se invece una donna costruisce la sua vita sull’ “io” ( ho studiato, voglio realizzarmi nelle carriera, ecc.), evidentemente non ha la vocazione della mamma, quindi forse meglio rinunci ad avere figli, che richiedono sacrifici, presenza e dedizione da parte di mamma e papà.

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