Duro rapporto dell’arcidiocesi di Bangui racconta gli attacchi subìti dalle comunità della capitale e accusa la missione Minusca di «complicità con gli estremisti»

Centrafrica, islamisti bruciano chiese e sgozzano cristiani. E i soldati Onu? «Non fanno niente»




Mentre nella capitale del Centrafrica, Bangui, estremisti islamici bruciano chiese, sgozzano cristiani e seminano il terrore tra la popolazione, la missione dell’Onu (Minusca) incaricata di riportare la sicurezza nel paese dopo una sanguinosa guerra civile e falliti accordi di pace, non fa niente. A parte costare alle Nazioni Unite almeno un milione e mezzo di euro al giorno.

IL RAPPORTO. Gli scontri ricominciati a settembre sono tanti e tali, che pochi giorni fa l’arcidiocesi di Bangui li ha riassunti in un documento dettagliato inviato al governo, nel quale si chiede: «Più volte sono state riscontrate complicità tra i contingenti di Burundi, Ruanda, Francia e gli “estremisti”. Che cosa ne pensa il governo? Quando finirà il mandato della Minusca», che in base alla risoluzione 2149 dell’Onu deve pacificare il paese e disarmare le fazioni armate?

CHIESA BRUCIATA. Nel documento, Padre Guy-Charly Mamoundayen, curato della parrocchia Saint-Michel, racconta come la sua chiesa sia stata assaltata il 26 settembre. «La parrocchia Saint-Michel è situata nel centro della capitale, in pieno quartiere senegalese. Quando il 26 settembre il corpo senza vita di un compatriota [musulmano] è stato trovato, un gruppo armato proveniente dal Km5 (quartiere musulmano, ndr) ha preso d’assalto la parrocchia e il personale ha trovato rifugio nei bagni e sul tetto. Gli uomini armati hanno devastato il presbiterio, hanno rubato un’auto e sono tornati nel Km5. (…) Il 27 settembre sono tornati a devastare le camere dei sacerdoti, incendiare la chiesa, il presbiterio e alcune sale. È un miracolo che il tabernacolo sia stato ritrovato intatto. Oggi non ci è rimasto più niente». Né il 26, né il 27 settembre i soldati dell’Onu sono intervenuti.

CRISTIANI SGOZZATI. Nel rapporto dell’arcidiocesi di Bangui è raccolta anche la testimonianza di suor Inès Badela. La religiosa spiega che nella capitale regna il caos, e racconta di un bambino di cinque anni rifugiatosi nella loro parrocchia dopo avere assistito al massacro di suo padre e dei suoi fratelli da parte di un gruppo di giovani. Padre Bonaventure Baou, vicario della parrocchia della Santa Trinità, ricorda invece: «La nostra parrocchia è situata vicino al Km5. Il 26 settembre un gruppo di uomini armati provenienti da lì ha preso d’assalto il nostro quartiere. Il signor Yakite, di fianco a noi durante l’assalto, è stato sgozzato insieme a sua moglie. Altre tre persone sono state uccise. Le ostilità sono cominciate alle 11, la Minusca è arrivata sul posto alle 17. Ora il quartiere è vuoto», tutti gli abitanti sono rifugiati a migliaia in altre parrocchie.

DOPO IL PRIMO MASSACRO. Anche padre Giorgio Aldegheri accusa i soldati dell’Onu di essere inutili. «Dopo che nel 2014 la nostra parrocchia Nostra Signora di Fatima ha subìto un primo massacro, abbiamo messo in piedi delle attività per assicurare di nuovo un avvenire alla nostra gente. Poi però un gruppo armato proveniente dal Km5 ha distrutto il piccolo mercato di Kete-Nguéré, vanificando tutti i nostri sforzi, e bruciando le case degli abitanti. Una nuova ondata di sfollati è stata provocata e i soldati del Burundi, che proteggono la nostra chiesa lì vicino, ci hanno detto che non erano autorizzati a fare niente al di fuori dei cancelli della chiesa. Ma lì nessuno in quel momento aveva bisogno di loro!».

SOLDATI A PASSEGGIO. Il 30 ottobre 2015, mentre alcuni soldati della missione francese Sangaris passeggiavano per il quartiere dove si trova la chiesa San Giuseppe Mukassa, «un gruppo di uomini armati provenienti dal Km5 ha iniziato a fare fuoco nel quartiere, spingendo tantissime persone a rifugiarsi nella chiesa», racconta il sacerdote Albert Toungoumale Baba. «Quando gli uomini armati hanno capito dove erano scappati tutti, si sono diretti verso la nostra parrocchia e i fedeli hanno dovuto aprire una breccia nel muro per salvarsi. I soldati della Sangaris intanto passeggiavano per il quartiere».

«LA MINUSCA NON HA MEZZI». L’ultima testimonianza è di suor Simone Bemba, della congregazione delle suore oblate del cuore di Gesù. Avendo assistito personalmente all’assalto della parrocchia di San Giuseppe Mukassa, ha telefonato subito al responsabile del contingente congolese per chiedere un aiuto immediato, «ma lui ci ha fatto capire che la Minusca non disponeva dei mezzi per venire in nostro soccorso».

L’ONU RISPONDA. Alla luce di queste testimonianze, l’arcidiocesi chiede al governo: «Quando sarà disarmato il Km5 come annunciato nel 2014 dopo il massacro di Fatima? Quando nascerà un nuovo esercito nazionale? Quali accordi ci sono tra il governo centrafricano, la Sangaris e le forze Onu? Perché i malfattori non vengono fermati? Perché alcuni civili possono disporre di armi? Quando finirà il mandato della Minusca?». Lo stesso documento è stato inviato al rappresentante Onu in Centrafrica con queste domande aggiuntive: «Qual è il mandato di Minusca e Sangaris? Perché i soldati arrivano sempre in ritardo? Perché gli estremisti sono lasciati liberi di agire? Che cosa pensa di questa complicità acclarata? Volete davvero portare la pace in Centrafrica?».

di Leone Grotti

Fonte: http://www.tempi.it

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