S. Em. mons. Carlo Caffarra intervistato da Luigi Amicone, Tempi, 19 giugno 2015

«Bisogna che il popolo combatta per la legge come per le mura della città»




S. Em. mons. Carlo Caffarra intervistato da Luigi Amicone
Tempi, 19 giugno 2015

 «Unioni gay e gender. Fossero teorie sarebbe più facile il dialogo», ci dice il cardinale. «Poiché le teorie sono ipotesi che non temono di sottoporsi alla prova di falsificazione. E invece sono ideologia. Dunque bramano solo imposizione e non vogliono dialogare con chicchessia».

 

«Io ho fatto diversi pensieri a partire da quella mozione votata al Parlamento europeo. Il primo pensiero è questo: siamo alla fine. L’Europa sta morendo. E forse non ha neanche più voglia di vivere. Poiché non c’è stata civiltà che sia sopravvissuta alla nobilitazione dell’omosessualità. Non dico all’esercizio dell’omosessualità. Dico: alla nobilitazione della omosessualità. Faccio un inciso: qualcuno potrebbe osservare che nessuna civiltà si è mai spinta ad affermare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. E invece bisogna ricordare che la nobilitazione è stata qualcosa di più del matrimonio. Presso vari popoli l’omosessualità era un atto sacro. Infatti l’aggettivo usato dal Levitico per giudicare la nobilitazione della omosessualità attraverso il rito sacro è: “abominevole”. Rivestiva carattere sacrale presso i templi e i riti pagani».

 

«Tanto è vero che le uniche due realtà civili, chiamiamole così, gli unici due popoli che hanno resistito lungo millenni – e in questo momento penso innanzitutto al popolo ebreo – sono stati quei due popoli che soli hanno condannato l’omosessualità: il popolo ebreo e il cristianesimo. Dove sono oggi gli assiri? Dove sono oggi i babilonesi? E il popolo ebreo era una tribù, sembrava una nullità al confronto di altre realtà politico-religiose. Ma la regolamentazione dell’esercizio della sessualità quale ad esempio noi troviamo nel libro del Levitico, è divenuta un fattore altissimo di civiltà. Questo è stato il mio primo pensiero. Siamo alla fine».

 

«Secondo pensiero, di carattere prettamente di fede. Davanti a fatti di questo genere io mi chiedo sempre: ma come è possibile che nella mente dell’uomo si oscurino delle evidenze così originarie, come è possibile? E la risposta alla quale sono arrivato è la seguente: tutto questo è opera diabolica. In senso stretto. È l’ultima sfida che il satana lancia a Dio creatore, dicendogli: “Io ti faccio vedere che costruisco una creazione alternativa alla tua e vedrai che gli uomini diranno: si sta meglio così. Tu gli prometti libertà, io gli propongo la licenza. Tu gli doni l’amore, io gli offro emozioni. Tu vuoi la giustizia, io l’uguaglianza perfetta che annulla ogni differenza”».

 

«Apro una parentesi. Perché dico “creazione alternativa”? Perché se noi ritorniamo, come Gesù ci chiede, al Principio, al disegno originario, a come Dio ha pensato alla creazione, noi vediamo che questo grande edificio che è il creato, si regge su due colonne: il rapporto uomo-donna – la coppia – e il lavoro umano. Noi stiamo parlando adesso della prima colonna, ma anche la seconda si sta distruggendo. Vediamo, per esempio, con quanta difficoltà oggi si possa ancora parlare del primato del lavoro nei sistemi economici. Ma qui mi fermo perché non è il tema della nostra conversazione. Siamo dunque di fronte al tentativo diabolico di edificare una creazione alternativa, sfidando Dio nel senso che l’uomo finirà col pensare che si sta meglio in questa creazione alternativa. Si ricorda la Leggenda del Grande Inquisitore?».

 

«Il terzo pensiero mi è venuto in forma di domanda: “Fino a quando Signore?”. E allora risuona sempre nel mio cuore la risposta che dà il Signore nell’Apocalisse. Nel libro si narra che ai piedi dell’altare celeste ci sono gli uccisi per la giustizia, i martiri, che dicono continuamente “fino a quando Signore non vendicherai il nostro sangue?” (cfr. Ap 6, 9-10). E così, mi viene da dire: fino a quando Signore non difenderai la tua creazione? Ed ancora la risposta dell’Apocalisse risuona dentro di me: “Fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni”. Che grande mistero è la pazienza di Dio! Penso alla ferita del Suo cuore, diventata visibile, storica, quando un soldato ha aperto il costato a Cristo. Perché di ogni cosa e creatura creata la Bibbia dice “e Dio vide che era cosa buona”. Infine, al culmine della creazione, dopo quella dell’uomo e della donna, “e Dio vide che tutto era molto buono”. La gioia del grande artista! Adesso questa grande opera d’arte è totalmente sfigurata. E lui è paziente e misericordioso. E dice, a chi gli domanda “fino a quando?”, di aspettare. “Fino a quando il numero degli eletti non è compiuto”».

 

«Ed ecco l’ultimo pensiero. Un giorno, quando ero arcivescovo a Ferrara, mi trovavo in uno dei paesini più sperduti, nel delta del Po. Un posto che sembra la fine della Terra, in mezzo a una di quelle gincane che fa il grande fiume, che va un po’ dove vuole prima di andare in mare. Vi incontrai per motivo di catechesi un gruppo di pescatori, gente che letteralmente passa la maggior parte della sua vita in mare. Uno di loro mi fece questa domanda: “Lei pensi al mondo come a uno di quei vasi cilindrici in cui noi mettiamo i pesci appena pescati, ecco il mondo è questa specie di barile e noi siamo come pesci appena pescati. La domanda è: il fondo di questo barile come si chiama, che nome ha?”. Pensi, un pescatore che pone la domanda che è all’inizio di tutta la filosofia: come si chiama il fondo di tutte le cose? E allora io, molto colpito da questa domanda, gli risposi : “Non si chiama caso, il fondo; si chiama gratuità e tenerezza di uno che ci tiene tutti abbracciati”. In questi giorni ho ripensato alla domanda e alla risposta che diedi a quel vecchio pescatore perché mi chiedo: tutto questo tentativo di sfigurare e distruggere la creazione, ha una tale forza che alla fine vincerà? No. Io penso che c’è una forza più potente che è l’atto redentivo di Cristo, Redemptor Hominis Christus, Cristo redentore degli uomini».

 

«Ma faccio un’altra riflessione, suscitata proprio dai pensieri di questi giorni. Ma io, come pastore, come faccio ad aiutare la mia gente, il mio popolo, a custodire nella mente e nella coscienza morale, la visione originaria? Come faccio a impedire l’oscuramento dei cuori? Penso ai giovani, a chi ha ancora il coraggio di sposarsi, ai bambini. E allora penso a cosa si fa normalmente nel mondo comune quando si deve affrontare una pandemia. Gli organismi pubblici responsabili della salute dei cittadini cosa fanno? Agiscono sempre secondo due direttrici. La prima: intanto curano chi è malato e cercano di salvarlo. Seconda, non meno importante e, anzi, decisiva, cercano di capire perché e quali siano le cause della pandemia, in modo da elaborare una strategia di vittoria. Così adesso la pandemia è qui. E come pastore ho la responsabilità di guarire e di impedire che le persone si ammalino. Ma nello stesso tempo ho il grave dovere di avviare un processo, cioè un’azione di intervento che esigerà pazienza, impegno, tempo. E la lotta sarà sempre più dura. Tanto è vero che dico a volte ai miei sacerdoti: io sono sicuro che morirò nel mio letto. Sono meno sicuro per il mio successore. Probabilmente morirà alla Dozza (carcere di Bologna, ndr). Dunque, stiamo parlando di un processo lungo e che ci vedrà impegnati in un combattimento duro. Ma insomma, siamo chiamati a fare entrambe le cose: pronto intervento e lotta di lunga durata, una strategia d’urgenza e un lungo processo educativo».

 

«Ma chi sono gli attori di quest’ultimo, cioè di un’impresa per la quale occorrerà tempo e capacità di sacrificio? Sono fondamentalmente due, a mio avviso: i pastori della Chiesa, più precisamente i vescovi. E gli sposi cristiani. Per me questi saranno coloro che ricostruiranno le evidenze originarie nel cuore degli uomini».

«I pastori della Chiesa: perché loro esistono per questo. Hanno ricevuto una consacrazione finalizzata a questo, la potenza di Cristo è in loro. “Sono duemila anni che in Europa il vescovo costituisce uno dei gangli vitali, non soltanto della vita eterna, ma della civiltà” (G. De Luca). E una civiltà è anche l’umile, magnifica vita quotidiana del popolo generato dal Vangelo che il vescovo predica. E poi gli sposi. Perché il discorso razionale viene dopo la percezione di una bellezza, di un bene che tu vedi davanti agli occhi, il matrimonio cristiano».

 

«Debbo confessare che io stesso mi trovo in difficoltà. E questo perché non raramente mi viene a mancare l’alleato che è il cuore umano. Penso alla situazione tra i giovani. Vengono e mi chiedono: “Perché dobbiamo impegnarci definitivamente, quando non si è neppure sicuri di arrivare a volersi bene fino a sera?”. Ora, di fronte a questa domanda io ho solo una risposta: raccogliti in te stesso e pensa a che esperienza hai fatto quando tu hai detto a una ragazza o a un ragazzo “ti voglio bene, ti voglio veramente bene”. Hai forse pensato nel tuo cuore: “Dono tutto me stesso a un’altra, ma solo per un quarto d’ora o al massimo fino a sera”? Questo non è nell’esperienza di un amore, che è dono. Questo è nella natura di un prestito, che è calcolo».

 

«Ora se riesci ancora a guidare la persona a questo ascolto interiore (Sant’Agostino), tu l’hai salvata. Perché il cuore non inganna. La grande tesi dogmatica della Chiesa cattolica: il peccato non ha corrotto radicalmente l’uomo. Questo la Chiesa l’ha sempre insegnato. L’uomo ha fatto dei disastri enormi, però l’immagine di Dio è rimasta. Io vedo oggi che i giovani sono sempre meno capaci di questo ritorno in se stessi. Lo stesso dramma di Agostino quando aveva la loro età. In fondo Agostino da che cosa fu commosso alla fine? Il vedere un vescovo, Ambrogio; il vedere una comunità che cantava con il cuore più che con le labbra la bellezza della creazione, Deus creator omnium, l’inno bellissimo di Ambrogio».

«Oggi questo è molto difficile con i ragazzi, però secondo me questo è l’intervento d’urgenza. Non ce n’è un altro. Se perdiamo questo alleato, che è il cuore umano – il cuore umano è l’alleato del Vangelo, perché il cuore umano è stato creato in Cristo in corrispondenza a Cristo –, se perdiamo dicevo questo alleato, io non vedo più strade».

 

«Un’ultima cosa vorrei dire. Più sono andato avanti nella mia vita, più ho scoperto l’importanza che hanno nella vita dell’uomo, in ordine ad una vita buona, le leggi civili. Ho capito quello che dice Eraclito: “Bisogna che il popolo combatta per la legge come per le mura della città”. Più sono invecchiato e più mi sono reso conto dell’importanza della legge nella vita di un popolo. Oggi sembra che lo Stato abbia abdicato al suo compito legislativo, abbia abdicato alla sua dignità, riducendosi a essere un nastro registratore dei desideri degli individui. Con il risultato che si sta creando una società di egoismi opposti, oppure di fragili convergenze di interessi contrari. Tacito dice: “Corruptissima re publica, plurimae leges”. Moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto. Quando lo Stato è corrotto si moltiplicano le leggi. È la situazione di oggi».

 

«È un circolo vizioso perché da una parte le leggi sembrano appunto ridursi a nastro registratore di desideri. Questo inevitabilmente genera un sociale conflittuale, di lotta, di supremazia del più prepotente sul più debole, cioè la corruzione dell’idea stessa del bene comune, della res publica. Allora si cerca di rimediare con le leggi dimenticando che non ci saranno mai delle leggi così perfette da rendere inutile l’esercizio delle virtù. Non ci saranno mai. Qui, secondo me, noi pastori abbiamo una grande responsabilità, di aver permesso la irrilevanza culturale dei cattolici nella società. L’abbiamo permessa, quando non giustificata. Quando mai la Chiesa ha fatto questo? Quando mai i grandi pastori della Chiesa han fatto questo?».

 

«Non ho nessun dubbio nel dire che [la grande mobilitazione del 20 giugno] è una manifestazione positiva perché, come le dicevo, noi non possiamo tacere. Guai se il Signore ci rimproverasse con le parole del profeta: cani che non avete abbaiato. Lo sappiamo, nei sistemi democratici la deliberazione politica è presa secondo il sistema della maggioranza. E mi va bene perché le teste è meglio contarle che tagliarle. Però, di fronte a questi fatti non c’è maggioranza che mi possa far tacere. Altrimenti sarei un cane che non abbaia. Mi preme soprattutto, e ho molto apprezzato che quella giornata sia impostata su questo: la difesa dei bambini. Papa Francesco ha detto che il bambino non può essere trattato come una cavia. Si fanno degli esperimenti pseudo pedagogici sul bambino. Ma che diritto abbiamo di farlo? La cosa più tremenda, il logos più severo detto da Gesù, riguarda la difesa dei bambini».

 

«Quindi secondo me l’iniziativa romana è una cosa che andava assolutamente fatta. Il giorno dopo il Parlamento magari farà questa legge che riconoscerà le unioni tra persone dello stesso sesso. La faccia. Però sappia che è una cosa profondamente ingiusta. E questo glielo dobbiamo dire quel pomeriggio a Roma. Quando il Signore dice al profeta Ezechiele: “Tu richiama” e sembra che il profeta dica: “Sì, ma non mi ascoltano”. Tu richiama e sarà chi è da te richiamato responsabile, non tu, perché tu l’hai richiamato. Ma se tu non lo richiamassi, sei responsabile tu. Se noi tacessimo di fronte a una cosa così, noi saremmo corresponsabili di questa grave ingiustizia verso i bambini, che sono stati trasformati da soggetto di diritti come ogni persona umana, in oggetto dei desideri delle persone adulte. Siamo tornati al paganesimo, dove il bambino non aveva nessun diritto. Era solo un oggetto “a disposizione di”. Quindi, ripeto, secondo me è un’iniziativa da sostenere, non si può tacere».

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