L'inchiesta della Digos di Pavia. Il bimbo costretto a dormire una notte con i genitori biologici e una con la coppia gay. Legale incastrato dal test del Dna.

Avvocato gay “compra” un neonato: 70mila euro per dichiararlo suo




L’avvocato gay 38enne, il suo compagno e una donna incinta albanese di 25 anni. Nel mezzo un bimbo appena nato, “pagato” dal legale omosessuale per rivendicarne la paternità che non gli spettava.

Sullo sfondo l’adozione alle coppie gay, la legge Cirinnà e il timore che dopo l’utero in affitto possa essersi aperta una nuova frontiera con cui coppie omosessuali soddisfano il desiderio di paternità negato loro dalla natura: il pagamento di ragazze incinta da sposare in Italia per registrare il bambino come figlio legittimo di un padre non biologico.

Le indagini della Digos

Sono questi i risvolti della drammatica vicenda emersa dopo una delicata indagine condotta dalla Digos di Pavia che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per tre persone. Tutto inizia nell’autunno del 2015, i mesi caldi della discussione sulla stepchild adoption ipotizzata dalla nascitura legge Cirinnà. La ragazza albanese, in dolce attesa, viene contattata e invitata in Italia per contrarre matrimonio con l’avvocato pavese e “cedergli” il figlio in cambio di 70 mila euro. L’uomo e la 25enne si sposano in Comune con rito civile e tutto sembra andare per il meglio, se non fosse che in paese molti sono a conoscenza dell’omosessualità del legale e la sua convivenza stabile con un uomo albanese. Così, quando a gennaio si presenta negli uffici comunali per registrare il bambino appena partorito, qualcuno storce il naso e contatta la polizia. Facendo scattare le indagini. Dati, bonifici sospetti, partenze da e per l’Albania, riscontri sull’impossibilità che i due si siano incrociati per procreare, dichiarazioni del personale sanitario e di chi ha celebrato il matrimonio: tutti gli indizi portano alla stessa conclusione: l’avvocato avrebbe promesso 70 mila euro (solo 3mila versati e accertati dagli investigatori) per diventare padre, strappando il bimbo all’amore della madre che nel Paese d’origine versava in condizioni di profonda indigenza.

Un mese dopo il parto, la 25enne torna in Albania lasciando il bambino con la coppia omosessuale. Solo pochi mesi dopo, a giugno 2016, viene fatta rientrare in Italia insieme al padre biologico, un ragazzo albanese che risulterà essere il fratello del compagno del legale. Lo scopo dell’avvocato- sospetta la Digos – è quello di “dissipare i dubbi” sulla reale paternità del bimbo. Il 38enne pavese, infatti, nel frattempo viene a conoscenza della indagini a suo carico e di fronte agli investigatori dichiara di essere innamorato della ragazza.

Il bambino condiviso

Nel profilo Facebook del legale, però, gli agenti trovano foto della coppia gay in posa sorridente con il bambino, senza che compaia mai la madre biologica. Come se il neonato lo avessero partorito loro. La Digos allora monitora l’appartamento dove vivono l’avvocato, il compagno, la madre e il padre del bimbo e altri due uomini. Un macello. Sarà la madre, nel luglio 2016, a recarsi in Questura per raccontare i particolari del dramma: l’offerta di denaro, i pagamenti mai arrivati, le liti, i maltrattamenti e la tratta cui era sottoposto il piccolo, costretto a dormire una notte insieme ai genitori biologici e un’altra nel letto della coppia gay. La donna esibisce agli investigatori le ricevute del pagamento (tramite Western Union) dei 5mila euro transitati dal conto dell’avvocato al suo. Doveva essere un primo acconto, poi qualcosa è andato storto: i soldi non sono più arrivati e la coppia albanese decide di vuotare il sacco. L’ultimo tassello dell’indagine è il test del Dna, che conferma come quel neonato, registrato dal 38enne gay come proprio figlio, in realtà abbia un altro padre biologico.

La richiesta di rinvio a giudizio con l’accusa di “alterazione di stato civile” riguarda il legale, il suo compagno e la madre del neonato. Il codice penale italiano non prevede un reato specifico per la “compravendita di bambini”, ma i tre indagati rischiano da 5 a 15 anni di galera qualora un eventuale processo confermasse le accuse a loro carico. Al momento non è stato accertato il desiderio di riconoscere il bimbo come figlio della coppia gay, visto che l’avvocato sostiene di essersi prestato come “mecenate” per aiutare una famiglia povera in difficoltà. Di certo c’è che il piccolo è stato trasferito insieme alla madre in una comunità protetta. Lui, l’unica vera vittima di tutta questa storia.

di Giuseppe De Lorenzo

Fonte: http://www.ilgiornale.it

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