Attenzione a giocare con i primi mattoni della vita




Un ovocita può essere stimolato artificialmente a replicarsi senza bisogno di essere fecondato da uno spermatozoo. È un processo che prende il nome di partenogenesi. L’insieme delle cellule così prodotte, chiamate partenoti, non è un essere umano, ma appunto solo un grumo di cellule.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ieri ha stabilito che i partenoti  possono essere oggetto di brevetti industriali proprio perché non sono embrioni umani. La vicenda parte da lontano.

Sempre la Corte di Giustizia nel 2011 si trovò a dirimere il caso Greenpeace vs Brüstle. La materia del contendere riguardava una possibile cura per il morbo di Parkinson ottenuto grazie all’utilizzo delle cellule staminali embrionali. I giudici, applicando la Direttiva 98/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, avevano così stabilito: sì alle sperimentazioni sugli embrioni anche nel caso in cui la sperimentazione portasse alla morte degli embrioni stessi – come nel caso del prelievo di cellule staminali embrionali –; no invece a brevettare queste sperimentazioni. In buona sostanza la sentenza lasciava mani libere ai ricercatori, anche a costo del sacrificio di molte vite umane, però considerava disdicevole lucrarci su.

Inoltre la Corte aggiungeva che i partenoti erano da considerarsi anch’essi come embrioni e quindi non brevettabili. Infine specificava che erano vietati i brevetti su cellule, tessuti e organi dato che non sono un’invenzione umana. Di contro, semaforo verde per tutte quelle tecniche escogitate dalla mente umana che si applicano su cellule, tessuti ed organi.

A luglio di quest’anno approda presso i giudici europei un caso sollevato dall’International Stem Cell Corporation (Isc), la quale aveva chiesto all’Ufficio britannico dei brevetti la brevettabilità di cellule staminali prodotte da ovociti attivati tramite partenogenesi. L’Ufficio brevetti e poi L’Alta Corte di Giustizia di Inghilterra e Galles negarono la possibilità di brevettare questa procedura proprio perché, rifacendosi alla sentenza della Corte di Giustizia del 2011, anche i partenoti non potevano essere brevettati perché considerati esseri umani.

L’Isc però non si è arresa e ha proposto ricorso alla Corte di Giustizia. Questa ha cambiato parere rispetto a quanto stabilito nel 2011. Infatti nel luglio scorso Cruz Villalon, dell’Avvocatura generale della Corte, redasse un parere in cui così si espresse: «La mera circostanza che un ovulo non fecondato possa avviare un processo di divisione e differenziazione cellulare, analogo a quello di un ovulo fecondato, non basta a considerarlo un embrione umano». Ergo i partenoti non sono un essere umano e dunque sono brevettabili. L’avvocato però chiarì che se «tale ovulo viene manipolato geneticamente (ad es. usandolo per una clonazione umana) in modo che possa svilupparsi in un essere umano, esso va considerato un embrione umano e come tale dev’essere escluso dalla brevettabilità». Inoltre aggiunse che gli Stati membri non si devono comunque sentire obbligati a concedere i brevetti sui partenoti. Che ogni Nazione si regoli da sé.

Ieri i giudici hanno confermato il parere dell’Avvocatura, però hanno specificato che spetta ai giudici britannici verificare che nel caso concreto si tratti davvero di partenoti e non di esseri umani ottenuti tramite clonazione di una o più cellule estrapolate dai partenoti.

Dal punto di vista del giudizio morale la sentenza di ieri, in senso stretto, non viola i principi etici del rispetto della persona umana, proprio perché, come accennato, i partenoti non sono esseri umani, ma aggregati di cellule. Però vi sono da appuntare due riserve.

La prima concerne il fatto che i giudici hanno affermato che i partenoti per virtù propria non possono dar luogo alla formazione di un essere umano (ma semmai solo per un processo artificiale come quello della clonazione). Se avessero questa capacità dovrebbero essere tutelati anche se, in quella loro primissima fase di sviluppo, non sono ancora persone. Implicitamente – ma è solo una nostra ipotesi – i giudici ci stanno dicendo che nemmeno lo zigote, la prima cellula nata dall’incontro tra spermatozoo ed ovocita, è un essere umano, perché è solo lo sviluppo successivo che lo porterà ad essere – non si sa quando – un organismo appartenente alla nostra specie. Lo zigote sarebbe un uomo in potenza non in atto. Insomma pare che per i giudici un grumo di cellule composte da partenoti o a livello di morula (la primissima fase di sviluppo dell’essere umano dopo la fecondazione) non possano essere mai considerate un essere umano perché il loro sviluppo è troppo precoce.

Seconda riserva. Che si faccia attenzione a giocare con i primi mattoni della vita: ovociti, spermatozoi, partenoti etc. Il salto è breve per poi giocare con l’essere umano nei primissimi momenti del suo sviluppo. Già oggi, come abbiamo visto, è possibile sperimentare sugli embrioni, ma non guadagnarci soldi grazie ai brevetti. Domani, chissà: ti potrai trovare un figlio concepito in provetta, geneticamente modificato e brevettato da una multinazionale. Un Figlio ® con il logo della Isc su un gluteo.

di Tommaso Scandroglio

Fonte: http://www.lanuovabq.it

 

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