Athanor: i colori della vita




La creazione e la creatività. La materia informe, matrice originaria, e le forme che ne vengono tratte, con i colori che le riempiono, imprimendovi un senso e una direzione.

Il gruppo di artisti del Friuli Venezia Giulia “Formae Mentis”, in mostra con i loro dipinti presso la Sala d’arte di piazza unità d’Italia 4 fino al 2 aprile (dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 20.00), ci regala un “bagno” nei colori base del processo alchemico: il nero, il giallo, il rosso e il bianco, variamente sfumati e combinati. L’impressione complessiva è una rutilante ondata di puro colore riversato con mano sapiente e tecnica raffinata sulla tela, celando il disegno per sua natura definito dietro un’apparente ed evocativa indefinitezza.

Il processo creativo stesso diventa l’oggetto dell’atto creativo. Come sono state create e continuamente si creano le forme manifeste? E in che misura l’artista partecipa con la sua anima, la sua intelligenza e la sua preparazione a questo processo che scava nella realtà alla ricerca dei suoi archetipi?

A connotare le leggi di questo percorso sono chiamati proprio i colori. Il quadro di Luigi Brolese, che apre la mostra, è tutto giocato su un calibratissimo gioco tra il verde, il giallo, il nero e un tenue blu verde che domina anche lo sfondo, sfumato qua e là di aloni leggeri che riprendono le altre tinte. Le due figure nere, appena tratteggiate, sono figure umane che sbocciano su questo fondale oscuro ma brillante, in cui vibra una pulsazione profonda che pare al contempo attrarre e respingere le forme da essa scaturite. Una metafora della condizione umana, sempre sospesa tra l’esistenza e il nulla, tra la forma e la sua dissoluzione?

Lo spumeggiante ribollire della materia e delle sue forze vitali solca letteralmente i due dipinti di Loris Agosto, preparati a rilievo: simili a superfici laviche con profondi solchi in cui la materia ha depositato tutti i suoi detriti, le tele evocano un tempo geologico primordiale in cui gli elementi sono colti nell’impercettibile attimo in cui oscillano tra la il caos e l’ordine, tra la commistione di colori e di forme e il loro lento venire ad un’ esistenza separata e distinta.

Nelle due tele di Daniele Ghin, costruite sul nero, il grigio e il bianco, incontriamo una personale “opera al nero”, in cui il colore è disteso in morbide e voluminose forme che sembrano traboccare dal quadro, ora dissolvendosi ora addensandosi in figure germinanti. Un corpo umano colto in una dolorosa torsione? Una donna dalle ampie biancheggianti forme appena celate da una veste tinta nella notte? Qui la materia è al livello più basso della sua decantazione, è greve e vischiosa, solo una luce interna appena la rischiara, tetra e funerea.

Questa fase dell’Opera viene ripresa e raffinata da Domenica Ghin che inventa un laborioso incastro di forme architettoniche ruotanti in un nero vuoto che sfuma sul grigio. La materia qui ha preso forma. Forse ad opera di quella mano che sovrasta la costruzione della seconda tela? Imperiosa, netta, decisa. L’orchestrazione degli elementi rivela qui il lavoro dell’intelligenza e della ragione umane che edificano palazzi, chiese, colonnati maestosi, ponti e architetture ornamentali. Sono forme ingegnose, potenti, solide, Ma il loro colore è pur sempre il nero, le tinte brillanti della vita ne sono escluse, la luce è quella di un pomeriggio autunnale di pioggia o di un cielo invernale prima di una tempesta di neve. La stessa calma immota. Lo stesso desolato silenzio. Il silenzio di una metropoli in una grigia e brumosa alba domenicale.

Spiragli di vita, di colore e di luce dominano la fine del percorso con i tre dipinti di Giuditta Dessy: protagonista il cielo, ora inondato dai colori della terra, sia pure sublimati in un caldo fulgore dorato, ora da un verde azzurro brillante increspato in sequenze ondeggianti di nubi, ora in un singolare impasto di un grigio-nero aureolato di rosa su cui si affaccia una sfera rosso fuoco. Il sole, la rubedo dell’Athanor, l’occhio di Dio che guida e sorveglia tutta la creazione, i suoi movimenti, le sue forme, il suo continuo divenire ? O forse un’ideale metafora conclusiva della forza primordiale dei colori di “Athanor”, assaggio del velato splendore nascosto in tutte le forme della vita?

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