Fu tra i docenti a cui venne consegnato l’avvio della facoltà di ingegneria civile dell’Università degli studi di Trieste (siamo nel 1949-50). Fu pittore, scultore e incisore. Fu — come attività professionale — progettista. Antonio Guacci fu tutto questo, e per questo ha lasciato un segno decisamente indelebile sia nella storia di Trieste, che nel suo panorama, inteso stavolta nel suo significato più stretto: sua è infatti la firma del Tempio Mariano di Monte Grisa, ma anche della sede Fincantieri in via Valdirivo, di alcune case a Gretta e della scuola materna di Barcola. Proprio in occasione dei cinquant’anni dall’inaugurazione del Tempio Mariano (e a venti anni dalla sua scomparsa) l’Università di Trieste gli ha dedicato un convegno sul tema, avente come ospiti alcuni allievi e poi colleghi del professore (Edino Valcovic e Giovanni Ceiner), nonché professionisti quali Diana Barillari, Giovanni Tubaro e due ospiti di rilievo come Sergio Poretti e Tullia Iori dell’Università di Roma Tor Vergata.
L’ARCHITETTO
«Caratteristica fondamentale di Antonio Guacci — spiega Edino Valcovic — è innanzitutto il costante intersecarsi dei tre percorsi che hanno segnato la sua vita (l’arte, l’insegnamento e l’attività professionale, ndr). Molti lo collocano all’interno del movimento del “brutalismo” (parola derivata dal francese béton brut, il calcestruzzo armato lasciato a vista nella costruzione degli edifici, ndr), o lo assimilano a Le Corbusier (l’architetto francese da cui derivò la corrente brutalista, ndr), ma in realtà Antonio Guacci è una cosa a sé. A dimostrarlo la sua costante ricerca di relazione e correlazione tra le parti, quella ricerca di armonia che è propria nell’umano e che è facile riconoscere ad esempio nella sua scultura. Un’armonia che deriva dalla ricerca di regole semplici che ritornano, così come avviene in natura». Quindi la scelta del calcestruzzo come materiale dal forte carattere espressivo, concepito come una “seconda pietra”
facile da lavorare quasi come i materiali naturali.
MONTE GRISA
Armonie e relazioni, dunque, che ritornano e trovano la loro massima espressione nel Tempio Mariano di Monte Grisa. «Una costruzione dal valore altamente simbolico», prosegue Valcovic. Da un lato c’è il
messaggio voluto da Mons. Santin, con il Tempio eretto a simbolo della cristianità visibile anche da lontano, in particolare dalle terre italiane perse. Dall’altro c’è il valore architettonico identificabile, ad esempio, nella presenza delle due chiese orientate rispettivamente in direzione Est-Ovest (quella inferiore) e Nord-Sud (quella superiore), o nella scelta di una torre campanaria introversa, quindi non visibile dall’esterno, a significare il cuore del singolo piuttosto che il collettivo. Senza dimenticare l’utilizzo di un
microelemento — il triangolo isoscele — che si ripete all’infinito proprio per ricreare quell’armonia tra le parti alla base della ricerca dell’architetto e progettista triestino. Il risultato sarà la sottile trama che si propone di smorzare il ruvido e materico calcestruzzo. Un’architettura nella quale è «quasi impossibile
separare i fatti statici da quelli spaziali», secondo la definizione di Sergio Musmeci, l’ingegnere strutturista che viene chiamato a certificare i calcoli statici.
L’EREDITA’ DI GUACCI
Cosa resta, oggi, dell’arte di Antonio Guacci? «L’architettura è cambiata molto nel frattempo — commenta il suo ex allievo —, non c’è più molto interesse verso questo tipo di “correnti”. Quel che di sicuro è rimasto è la ricerca di un’architettura armonica con l’essere umano e la sua sensibilità, ma anche elementi sui cui riflettere e, magari, da adattare all’attualità».
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